Punti di Vista | Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

Architetti e ingegneri possono pattuire ribassi fino al 100%

Per la Cassazione il costo delle prestazioni non è riferibile all’interesse pubblico. Al nuovo Governo spetta quindi il difficile compito di sciogliere un nodo essenziale per il progresso del Paese, mentre al sistema delle professioni, Ordini e Associazioni sindacali, spetta la responsabilità di fare fronte unito, per suggerire le formule più idonee per introdurre nella legislazione un nuovo equilibrio, per la remunerazione delle prestazioni d’architetti e ingegneri.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

La sentenza della Cassazione del 4 giugno, conferma l’interpretazione secondo la quale i minimi tariffari non sono fissati per tutelare un interesse generale della collettività, ma soltanto quello dei professionisti e che l’ordinamento non prevede la nullità dei patti derogatori:

«costituisce principio largamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, …, quello secondo il quale il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa …, solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non comporta, secondo il richiamato orientamento, la nullità …, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo a un interesse della categoria professionale …».

Nel caso della contesa a cui questa motivazione si riferisce si trattava di un incarico privato affidato a un architetto, riteniamo in vigenza dell’abrogata L. n. 340 del 1976, che stabiliva come inderogabili, i minimi della tariffa degli ingegneri e degli architetti.

Quindi trova conferma il principio per cui il contratto sottoscritto tra le parti, che determina il compenso del libero professionista è liberamente determinabile dalle parti stesse e che pertanto il professionista può anche legittimamente rinunciarvi. II professionista in questo caso, rischia (o rischiava) solo una sanzione disciplinare dell’ordine d’appartenenza.

La sentenza è stata emessa dopo l’entrata in vigore del dm 17.06.2017, che stabilisce un livello minimo di corrispettivo per i professionisti, definito “equo compenso”, per gli incarichi affidati dalla pubblica amministrazione e dai committenti cosiddetti forti, quali, banche, compagnie d’assicurazione e altri analoghi soggetti.

Da notare che anche l’Anac aveva considerato necessario introdurre l’equo compenso, per contrastare favoritismo e corruzione, mascherati dal presunto risparmio sui costi delle prestazioni.

Mentre il mondo delle professioni era in attesa che l’equo compenso venisse esteso anche ai contratti tra i professionisti e i privati, la sentenza riconduce tutti bruscamente alla realtà, anche perché al momento non vi sono nemmeno norme che vietano il ribasso sul dm 17.06.2017 e non risulta che gli ordini professionali abbiano emanato regolamenti in proposito.

Sul tema è però necessario riconoscere anche l’estrema delicatezza di ogni sistema di tariffe minime. Le ben note asimmetrie informative (tra professionista e cliente) rendono infatti pericoloso applicare, come sarebbe accaduto nel caso che ha condotto alla sentenza sopra richiamata, la nullità di pattuizioni al ribasso liberamente sottoscritte tra privati e professionisti, poiché ciò aprirebbe la strada a possibili abusi, nei confronti del soggetto meno informato.

Di contro, le prestazioni di architetti e ingegneri non possono essere considerate ininfluenti sull’interesse pubblico primario, di garanzia della qualità e sicurezza dell’ambiente costruito.

Le due professioni sono fondamentali per la sicurezza dei cittadini e per la qualità delle trasformazioni del territorio e delle infrastrutture e per questo chi le esercita è gravato da un rilevante carico di responsabilità civili e penali. Invece proprio la presunta irrilevanza del lavoro d’architetto e d’ingegnere rispetto all’interesse pubblico è causa non secondaria della debolezza di questi professionisti, in sede di pattuizione del compenso per le prestazioni; ovviamente ciò avviene nel momento in cui per la prima volta, la sovrabbondanza dell’offerta di prestazioni ha tolto ogni potere contrattuale agli architetti, creando una nuova asimmetria tutta a loro svantaggio.

La Cassazione invece non sembra aver considerato questo vero e proprio sconvolgimento sociale che ha coinvolto le due categorie professionali e i loro utenti e di conseguenza non ha aggiornato le proprie valutazioni, quando afferma che le tutele dell’art. 36 c.1 della Costituzione, possono essere riferibili soltanto al lavoro dipendente, come appariva assodato nel 1948.

Al nuovo Governo spetta quindi il difficile compito di sciogliere un nodo essenziale per il progresso del Paese, mentre al sistema delle professioni, Ordini e Associazioni sindacali, spetta la responsabilità di fare fronte unito, per suggerire le formule più idonee per introdurre nella legislazione un nuovo equilibrio, per la remunerazione delle prestazioni d’architetti e ingegneri.

di Bruno Gabbiani,
presidente Ala Assoarchitetti

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