Guida Pratica | Recupero & Conservazione

Compatibilità degli interventi sul Minareto della moschea di Platani

L’intervento ha interessato il Minareto nel villaggio di Platani nell’isola di Coo in Grecia. Si è trattato di una drastica opera di restauro con uso di più del 30% dei materiali lapidei combinata con materiali contemporanei.

Secondo i documenti ritrovati in loco, la moschea di Platani (o di Kermetés) fu costruita tra il 1784 e il 1785 e testimonia il passaggio degli Ottomani sull’isola di Coo, in Grecia.

Il minareto è situato all’angolo nord-ovest della moschea, è alto 15,78 m ed è composto da cinque elementi: il basamento, la parte cilindrica principale, la parte della modanatura strutturale (a spicchi angolari sporgenti) che sostiene il terrazzo e la parte superiore cilindrica con il tetto a cono.

Dall’analisi mineralogica risulta che sono stati usati minerali di tipologie diverse tra i quali minerali vulcanici (soprattutto perliti ma anche rioliti e rocce calcaree) per l’involucro principale e travertino per il basamento.

La porta di accesso si trova all’interno della moschea, un’altra porta è situata a livello del tetto della moschea e una terza all’uscita in cima al minareto. Il basamento si sviluppa su pianta ottagonale e presenta delle nicchie su ogni lato.

Il corpo cilindrico principale ha raggio esterno di 80 cm e interno di 60 cm; è composto di conci in pietra uniti tra loro con malta e giunti metallici. Per sostenere il terrazzo, il corpo principale si trasforma in cono rovesciato.

La scala elicoidale fu progettata in modo da formare un fulcro centrale di pianta circolare del diametro di 20 cm, mentre l’estremità larga di ogni gradino triangolare si incastra come elemento strutturale nella parete del minareto. Il modello costruttivo in pietra include una serie di armature diverse in direzione verticale (perni) e orizzontale (graffe) tra gli elementi lapidei.

Una volta costruita ogni fascia di muro, tramite appositi strumenti veniva inserito in «canali» scolpiti nella pietra del piombo fuso, sia a protezione dell’armatura sia come punto di assorbimento delle sollecitazioni.

I primi due restauri

Il terremoto del 23 aprile 1933, che distrusse la città di Coo, provocò dei danni soprattutto alla parte superiore del minareto. L’ufficio tecnico del Governo delle Isole italiane dell’Egeo, nella «Stima dei lavori», descrisse le operazioni effettuate, che riguardarono soprattutto la parte superiore.

Vennero riparati i giunti e fu rafforzata l’uscita al terrazzo del minareto, con applicazione di una lastra di ferro di spessore di 18 mm lungo l’intelaiatura. Inoltre fu rafforzato l’estradosso della parte superiore, con applicazione di un rivestimento in cemento armato e il rinnovo dell’intonaco di cocciopesto nella parte superiore.

Nel 1985 il minareto venne giudicato costruzione a rischio e nel 1989 ebbe luogo un secondo progetto di restauro. I lavori compresero:

  • la costruzione di un manto di cemento armato a spruzzo di spessore 5 cm nell’intradosso del minareto;
  • la sostituzione della malta nei giunti con una nuova della stessa composizione;
  • la sostituzione, laddove possibile, delle lastre metalliche ossidate;
  • la sostituzione del tetto con uno nuovo (ma realizzato con la stessa tecnica tradizionale);
  • la chiusura delle fessurazioni tramite iniezioni;
  • il rafforzamento dei parapetti con applicazione di giunti metallici.

Successivamente ai progetti di restauro, o piuttosto di risanamento, del ‘34 e dell’89, ce ne fu un terzo, come descritto in seguito, che ha analizzato più in dettaglio le cause del degrado.

Tra i conci di pietra si usava malta con pozzolana.

Rischi e criticità del minareto oggi

Dall’analisi mineralogica risulta che sono stati usati minerali di tipologie diverse tra i quali minerali vulcanici (soprattutto perliti ma anche rioliti e rocce calcaree) per l’involucro principale, e travertino per il basamento. L’armatura interna era di ferro.

Una volta costruita ogni fascia di muro, tramite appositi strumenti veniva inserito in «canali» scolpiti nella pietra del piombo fuso, sia a protezione dell’armatura che come punto di assorbimento delle sollecitazioni. Tra i conci di pietra si usava malta con pozzolana.

Una delle problematiche fondamentali del minareto consiste nell’inclinazione rispetto alla verticalità. Le analisi rivelano che essa è dovuta principalmente a un errore costruttivo, dato che non si sono riscontrati segni tali da giustificare un effetto proveniente da azioni sismiche. Di conseguenza la costruzione subisce un momento torcente, anche solo per effetto del suo stesso carico.

A causa della bassa resistenza a trazione dell’involucro in pietra, sommata ai carichi orizzontali (ordinari quali il vento ed eccezionali quali gli eventi sismici) ai quali la costruzione è sempre stata sottoposta, i giunti non hanno resistito e col tempo si sono create le fessure.

Questo, insieme all’invecchiamento naturale della materia prima e alle condizioni atmosferiche, ha permesso l’ingresso dell’acqua, che ha provocato danni quali distacchi nei giunti e ossidazione delle staffe metalliche, con conseguente rottura dei conci di pietra.

Una delle problematiche fondamentali del minareto consiste nell’inclinazione rispetto alla verticalità. Le analisi rivelano che essa è dovuta principalmente a un errore costruttivo, dato che non si sono riscontrati segni tali da giustificare un effetto proveniente da azioni sismiche.

Il progetto di restauro del 2016

Dall’ultima analisi di degrado si è concluso che le cause del degrado non sono state mai analizzate in modo globale e particolarmente approfondito. Ciò ha comportato una ripetizione nel tempo delle stesse problematiche: il minareto ha continuato a essere inclinato con una conseguente dannosa distribuzione delle tensioni.

Inoltre gran parte delle staffe metalliche sono risultate ossidate, e ciò ha provocato una catena di effetti dannosi; il manto di cemento armato dell’intradosso del volume cilindrico, pur avendo contribuito alla stabilità della costruzione, rimane un elemento estraneo rispetto alla logica costruttiva del minareto.

In quest’ultimo restauro, tenendo in considerazione il rischio sismico, i fenomeni di degrado e i principi di compatibilità e minimizzazione degli interventi, è stato realizzato quanto segue:

  1. Scomposizione della costruzione dal colmo fino alla quota +5,67 m e rimozione del manto di cemento armato. Esecuzione di attento rilievo e numerazione degli elementi in modo da riutilizzare le parti sane nella ricostruzione seguendo la stessa identica logica costruttiva.
  2. Nelle parti non scomposte è stata rinnovata la malta dei giunti con malta a base di pozzolana arricchita di altri additivi per aumentarne la resistenza a trazione.
  3. Scomposizione, pulizia e ricomposizione della scala elicoidale e applicazione di materiali di sostegno traspiranti.
  4. Laddove sono stati sostituiti degli elementi metallici (graffe in senso orizzontale e perni in senso verticale), è stato usato acciaio inossidabile austenitico e piombo fuso.
  5. Scomposizione, pulizia e ricollocazione dei parapetti.
  6. Per il basamento (dalla quota zero fino alla quota +5,67 m) è stata effettuata la pulizia da incrostazioni nere e patina biologica. Inoltre è stato effettuato il risanamento dei giunti e delle fessurazioni con applicazione di materiali traspiranti.
  7. Costruzione di un nuovo tetto conico secondo l’originale tecnica costruttiva, eccetto per la parte dell’estradosso. Per garantire una resistenza ottimale nel tempo, è stata applicata la logica di un sistema termoisolante a cappotto, con uso di polistirene espanso tra il tavolato del tetto e la finitura.

Questa drastica operazione di restauro, con uso di più del 30% dei materiali lapidei combinata con materiali contemporanei, è riuscita a garantire la sopravvivenza di questo storico modello costruttivo ed ha dato la risposta più idonea alle criticità e alle cause di degrado.

L’ operazione di restauro è riuscita a garantire la sopravvivenza di questo storico modello costruttivo e ha dato la risposta più idonea alle criticità e alle cause di degrado.

Riflessioni a margine dell’esperienza

Anche in questo contesto territoriale, come d’altra parte è già da diverso tempo evidente in Italia, sempre di più intervenendo su strutture storiche ci si deve occupare d’interventi di restauro eseguiti in passato. Tali interventi spesso si sono mostrati inadeguati a contrastare i fenomeni di degrado e in taluni casi, anche dannosi. Una linea di tendenza attuale, nel campo del restauro, è quella di mantenere anche questi segni di restauri passati, considerandoli storicizzati. Questo, però, è possibile quando l’intervento realizzato non sia esso stesso causa di ulteriore degrado. In caso contrario, invece, ne viene proposta la rimozione come d’altra parte per ogni causa di degrado che sia eliminabile, avendo però l’avvertenza di documentare l’intervento eseguito.

Una seconda considerazione che questo esempio stimola è la seguente: ogni volta che in un intervento si preveda lo smontaggio di un elemento costruttivo e il relativo rimontaggio, è bene essere consapevoli che l’intervento effettuato non è privo di «perdite». L’elemento architettonico, sia esso un pavimento, o come nel caso descritto nella scheda, una muratura, non è solo costituito dai singoli elementi (mattoni, mattonelle, conci lapidei) ma anche dal legante che li tiene insieme (la malta di allettamento nel giunto orizzontale tra un filare della muratura e un altro, la malta del giunto verticale tra un elemento e l’altro). Nel momento in cui si opera lo smontaggio del pavimento, della scala o della muratura, verranno conservati i singoli elementi (numerandoli per poi poter effettuare il successivo rimontaggio nel migliore dei modi), ma sarà distrutto l’elemento della loro connessione: la malta. Dunque nel momento in cui verrà ricomposto il tutto, verrà immessa malta di nuova produzione al posto di quella storica.

Lo stesso si può dire per un pavimento e il suo sottofondo. Anche in una struttura lignea che apparentemente sembra essere più vicina al concetto di smontaggio-rimontaggio abbiamo lo stesso problema. I chiodi, le staffe, le colle in operazioni di smontaggio-rimontaggio vanno perdute e con esse le loro informazioni.

È d’altra parte chiaro, come nell’esempio mostrato, che in taluni casi l’operazione di smontaggio-rimontaggio è inevitabile per poter ovviare a problemi di portata maggiore. Nel caso, sarà bene comunque avere la consapevolezza della situazione modificata, tenerne memoria e prevedere dei leganti opportuni tra gli elementi che risolvano la situazione di degrado precedente e che siano compatibili con gli elementi della struttura storica.

Chi ha fatto Cosa

Progettista: ing. civile K. Chatziantoniou
Collaborattori: arch. P. Papadopoulos, ing.civile M.Tsitsinaki
Responsabile cantiere: ing. civile K. Chatziantoniou
Impreditore edile: N. Paraskevopoulos
Proprietario: Organizzazione gestionale delle proprietà Vakuf di Coo
Alta Sorveglianza: Soprintendenza dei Beni Bizantini di Dodecaneso
Tempistiche del restauro: maggio – dicembre 2016

Maria Tzaneti, architetto, libero professionista
Daniela Pittaluga, Università di Genova, Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio

Glossario

Smontaggi/rimontaggi
Una definizione interessante della parola «smontaggio» e «rimontaggio» viene data da Stefano F. Musso nel libro «Tecniche di Restauro», ed. Utet, Torino 2003. Egli, infatti, parte dall’etimologia delle singole parole per poi vederne le conseguenze operative sull’architettura «Smontare, dal francese «monter» con il suffisso sottrattivo: s. L’italiano ha dunque mutuato il verbo da una lingua neolatina, ma in latino il corrispondente del francese «monter» è il verbo «instruere», nuovamente composto dal verbo «struere» con il suffisso «in», che indica in senso lato, «unione». Se è dunque vero che, in latino, il corrispondente del verbo smontare è resolvere o dissolvere, resta il fatto che, se il termine montare può essere associato a instruere, l’opposto termine smontare può essere ricondotto al verbo destruere. Destruere può quindi essere interpretato non solo come «distruggere», nel senso di «demolire», ma anche come «smontare», posto che «costruire» corrisponde a «con-struere» e che «montare» corrisponde a «in-struere». In italiano il significato di «montare» è compiere una operazione di montaggio, ove per montaggio si intende una operazione per mezzo della quale i diversi elementi costitutivi di un dispositivo, di un meccanismo, di una macchina o di una struttura vengono collocati secondo lo schema di fabbricazione al loro posto funzionale, in modo da formare un unico complesso funzionante»(P. B. Torsello, S. F. Musso, Tecniche di Restauro ed. Utet, Torino, 2003, pp.1004).

Operazioni legate a «smontaggi-rimontaggi»
Salvo le particolarità dei singoli casi, vi sono alcune avvertenze che è sempre bene tenere in considerazione.
A) rilievo accurato del manufatto, oggetto di intervento, con particolare attenzione all’individuazione dei pezzi componenti, dei punti e delle linee di giunzione; in questa fase sarà bene anche valutare accuratamente il peso e la consistenza dei singoli elementi in modo da evitare che nella loro manipolazione possano verificarsi dei danni agli elementi stessi;
B) accurata numerazione dei pezzi e marcatura delle facce combacianti. La numerazione e la marcatura dovranno, per quanto possibile, tenere conto anche dell’ordine con il quale i pezzi sono stati rimossi, in modo da ritrovare poi la loro posizione nel momento del rimontaggio.
C) Individuazione della quantità, del tipo, delle forme, della posizione e della consistenza delle giunzioni esistenti tra i pezzi che compongono il manufatto, per progettare correttamente lo smontaggio scegliendo gli strumenti, i materiali e i metodi necessari nonché la successione ottimale delle azioni a sciogliere tali giunzioni.

Per saperne di più

K. Chatziantoniou, «Restauro del minareto della moschea di Platani di Coo», Soprintendenza dei Beni Archeologici del Dodecaneso. Coo 2008.

Le foto presenti nell’articolo sono dall’archivio personale dell’ing. civile K. Chatziantoniou. Si ringrazia l’ing. K. Chatziantoniou per il prezioso contributo a questa ricerca.

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