Edilizia Storica | Chiesa Longobarda di San Martino, Vicenza

Consolidamento e restauro conservativo dei materiali della chiesa di S. Martino a Vicenza

All’insegna di interventi secondo tradizione e attraverso una moderna concezione del restauro, i progettisti hanno permesso di ottenere un ottimo risultato per le finalità conservative del manufatto, anche attraverso un’attenta azione di consolidamento della struttura muraria della chiesa dell’VIII secolo ubicata sul territorio di Vicenza. L’opera diretta dagli architetti Blandini e Zorzetto ha avuto la menzione d’onore alla sesta edizione del Premio Internazionale Domus Restauro e Conservazione ideato da Fassa Bortolo e dall’Università di Ferrara.

Gabriele Zorzetto | Progettista

Gabriele Zorzetto | Progettista.

«L’intervento ha riguardato il completo recupero dell’antica (VIII sec.) chiesa di S. Martino presso Ponte del Marchese a Vicenza, prezioso esempio di architettura altomedievale del territorio, che da decenni versava in condizioni di gravissimo degrado ed è ora restituita alla fruizione da parte del pubblico e, in particolari occasioni, al culto. Nel corso dei lavori è stato effettuato il consolidamento delle strutture murarie della chiesa e dell’edificio annesso, con il ripristino dei solai ormai pericolanti e delle coperture staticamente compromesse; sono state rimosse tutte le superfetazioni e le aggiunte di epoca recente, sia all’interno sia all’esterno della chiesa, e si è provveduto al completo restauro conservativo dei materiali, dei paramenti murari e delle finiture originarie, compresi lacerti di pavimentazione, e ampi brani d’intonaci medievali e di decorazioni ad affresco che sono affiorati durante i lavori, e di cui non era nota l’esistenza; la riapertura delle forometrie originarie dell’abside ha riportato alla luce un’originaria finestra cruciforme sagomata in mattoni, secondo una rarissima tipologia di origine bizantina. Si sono infine eseguiti interventi di ripristino funzionale con la posa in opera di serramenti, pavimentazioni, impianti a norma e l’allestimento di un espositore per gli antichi reperti reperiti in loco e, superficialmente, nei terreni adiacenti».

La chiesa di S. Martino costituisce uno dei più rilevanti esempi di architettura religiosa altomedievale del territorio di Vicenza. Benché ristrutturata nel XV e ancora nel XVII secolo, la chiesa venne probabilmente eretta in epoca longobarda, tra il VII e l’VIII secolo d. C., sfruttando preesistenze di epoca romana, come documentato da elementi lapidei e laterizi inglobati nelle murature e affioranti anche nei campi circostanti.

Trascurata per lungo tempo, la Cappella ha subìto un lento ma inesorabile decadimento. Nel 2012 l’attuale proprietà ha intrapreso un importante e oneroso percorso di recupero di questo manufatto, poi concretizzatosi in una fase esecutiva avviata nel maggio 2014.

L’intervento aveva come obiettivo primario il recupero di un bene importante, sia dal punto di vista storico sia artistico, e come fine ultimo la donazione del bene recuperato alla Comunità dei fedeli, da sempre devota al Santo protettore dell’edificio.

L’edificio è situato nella parte settentrionale della città di Vicenza, immediatamente a sud di un ramo del fiume Bacchiglione. La chiesa di San Martino si trovava quindi in un punto strategico; la vicinanza allo stesso ponte la portava a essere al centro di un importante traffico, non solo viario, ma anche fluviale.

La presenza di un insediamento è suffragata dal ritrovamento di significative testimonianze archeologiche affioranti nel terreno circostante la chiesa, quali resti fittili e ossei, frammenti di coppi ed embrici di epoca romana derivanti anche da sepolture del tipo ‘alla cappuccina’, nonché numerose schegge di pasta vetrosa di colore nero, identificabili come scarti di una lavorazione del ferro eseguita secondo tecniche arcaiche.

Il controsoffitto è stato restaurato e consolidato.

Il fabbricato si compone di due parti, una adibita ad abitazione e l’altra a luogo di culto; quest’ultima è di forma rettangolare e misura 9,3 metri di lunghezza per 4,8 metri di larghezza. Nel corso dei secoli ha subìto parecchie manomissioni e per tale motivo molte parti non sono appartenenti all’impianto originario.

La costruzione addossata al fianco meridionale, ricordata come casa dell’eremita, si sviluppa su due piani, e potrebbe essere la dimora voluta dalla famiglia possidente per garantire un ministro del culto (forse un monaco) sempre presente per le celebrazioni private; l’epoca della sua erezione è ignota.

Lo stato di conservazione e le cause di degrado

La facciata della chiesa, in origine, doveva presentarsi a capanna con il campanile a vela in asse con il portale. Il complesso architettonico prima del restauro si presentava in pessimo stato conservativo. Le murature della Chiesa costituite da elementi lapidei (prevalentemente di reimpiego), calcari compatti, calcari teneri, marmo di Asiago, trachite e da filari di mattoni (eterogenei sia per dimensioni sia per colore) manifestavano uno stato conservativo non buono.

Dopo aver eliminato ogni residuo cementizio e descialbato gli affreschi si è proceduto al loro consolidamento e al loro restauro.

Questa condizione era ascrivibile sia a problemi di tipo strutturale sia a patologie legate al degrado dei materiali componenti la struttura. I giunti di malta si presentavano estremamente degradati e decoesi.

Causa secondaria di degrado era costituita dai giunti cementizi e questo a causa delle loro caratteristiche chimico-fisico-meccaniche estremamente differenti da quelle di mattoni e materiali lapidei. Un’altra causa di degrado era rappresentata dal contatto diretto tra muratura e terreno che favoriva la proliferazione di muschi e piante infestanti.

I prospetti sud, est e nord presentavano un quadro fessurativo localizzato, soprattutto, in corrispondenza delle aperture, causato sia dal cedimento degli architravi sia dalla presenza di mancanze in sede muraria.

Prospetto nord

Le fessurazioni più importanti si trovavano nel prospetto nord, indebolito sia dalla presenza di una grande finestra di epoca recente sia dalle sollecitazioni provenienti dalla volta dell’abside, dalla copertura e dalle strutture del controsoffitto.

La volta dell’abside manifestava delle lesioni, visibili all’intradosso, lungo i meridiani e una rottura in chiave sintomo di un cedimento strutturale innescato, probabilmente, dal degrado generale in cui versavano strutture portanti verticali e orizzontali.

Per quanto riguarda la copertura, i coppi erano ricoperti da patine biologiche e presentavano rotture localizzate. Tra i coppi c’era molto terriccio, su cui trovavano terreno fertile vari tipi di erbe infestanti. Gli elementi lignei manifestavano uno stato conservativo non buono a causa, soprattutto, delle infiltrazioni d’acqua meteorica.

Le travi in legno, di copertura e degli orizzontamenti (nel caso dell’edificio annesso) presentavano evidenti fenomeni di deformazione (per sottodimensionamento, fluage…), i segni di un grave attacco fungino in corso, carie bruna prevalentemente, e d’insetti di tipo xilofago.

Il complesso architettonico prima del restauro si presentava in pessimo stato conservativo.

Le travi appartenenti all’edificio dell’eremita si presentavano inoltre fortemente annerite e danneggiate a causa di un incendio divampato nella seconda metà del secolo XX. Il controsoffitto che ricopre la navata della chiesa è costituito da una struttura portante in legno, in parte connessa alle travi di copertura (attraverso chiodature), e da un rivestimento a incannicciato. Il controsoffitto si presentava in pessimo stato conservativo a causa delle continue infiltrazioni d’acqua attraverso il manto di copertura.

Finestrelle circolari

L’aula della chiesa termina con il presbiterio rialzato, accolto totalmente dall’abside che, fino a poco tempo fa, ospitava un altare di piccole dimensioni (anche questo di reimpiego) di fattura ottocentesca, con cornici e intarsi marmorei, sormontato da una statua della Vergine col Bambino, di fattura molto semplice.

Le tre finestrelle circolari che si aprivano in antico nella zona absidale vennero occluse in epoca non definita, probabilmente per ragioni statiche. Gli intonaci, prevalentemente cementizi, manifestavano un degrado diffuso imputabile principalmente alla presenza di patine biologiche, vegetazione infestante e depositi superficiali di tipo incoerente e parzialmente coerente.

Inoltre si presentavano decoesi e staccati dal supporto. Nessun ricercatore, tra coloro che nel passato hanno preso in esame la chiesa di San Martino, aveva mai analizzato compiutamente l’interno, che era interamente intonacato e decorato con affreschi in corrispondenza dell’abside.

Prima del restauro, tuttavia, gli intonaci erano ricoperti da tinteggiature di epoca recente, non traspiranti e degradate a causa sia della massiccia presenza di umidità di risalita sia delle infiltrazioni d’acqua.

Il fabbricato prima del restauro. Si compone di due parti, una adibita ad abitazione e l’altra a luogo di culto; quest’ultima è di forma rettangolare e misura 9,3 metri di lunghezza per 4,8 metri di larghezza. I materiali lapidei più importanti si trovano in corrispondenza del prospetto ovest e si tratta principalmente di frammenti scultorei appartenenti alla fine del sec. VIII e lastre di pietre calcaree appartenenti ai sec. XV e XVI. Le lastre in pietra calcarea manifestavano un degrado dovuto all’erosione e all’esfoliazione superficiale; in alcune zone gli apparati figurativi risultavano pressoché illeggibili.

Prospetto ovest

I materiali lapidei più importanti si trovano in corrispondenza del prospetto ovest e si tratta principalmente di frammenti scultorei appartenenti alla fine del sec. VIII e lastre di pietre calcaree appartenenti ai sec. XV e XVI.

Le lastre in pietra calcarea manifestavano un degrado dovuto all’erosione e all’esfoliazione superficiale; in alcune zone gli apparati figurativi risultavano pressoché illeggibili. L’architrave d’ingresso alla chiesetta è costituito da un elemento in calcare tenero di colore grigio giallastro sulla cui superficie è incisa una formula di benedizione e accoglienza dei fedeli: «Hic accipias benedictionem et misericordiam a domino, salutari nostro».

Le parole bibliche sono ricavate dal verso V del Salmo 23 della Clementine Vulgate. La superficie esterna dell’architrave risultava completamente rovinata e dissestata nella parte centrale a causa della frantumazione della pietra in senso verticale. La pavimentazione della navata della chiesa era in battuto di cemento color cotto risalente ai restauri eseguiti nel corso del ‘900 dagli ultimi proprietari.

L’intervento in copertura è stato oneroso e articolato; l’obiettivo era consolidare gli elementi lignei senza sostituirsi a essi e senza nascondere gli interventi effettuati.

Conservazione e minimo intervento reversibile

Il progetto sviluppato si fonda sui princìpi della conservazione e del minimo intervento che deve essere necessariamente reversibile e mantenere autentici, per quanto tecnicamente possibile, le strutture e i materiali che costituiscono il complesso edilizio.

In questo senso è stata fondamentale una riflessione attenta sui concetti di autenticità, materica e storica, e di stratificazione di ogni elemento fisico presente nella fabbrica per ognuno dei quali è stato indicato l’intervento di conservazione più appropriato. Al fine di definire gli interventi di restauro, la struttura è stata analizzata nel dettaglio, in tutte le sue componenti architettoniche, mediante la metodologia utilizzata per l’analisi statigrafica degli edifici d’interesse archeologico.

L’analisi stratigrafica quindi come strumento atto a perseguire l’obiettivo ultimo e ineludibile della conservazione, ossia il mantenimento dell’autenticità dell’opera. In questa accezione progettare non è significato tanto attribuire un disegno o una forma agli strati da costruire, quanto prevedere globalmente le relazioni che vengono conservate e quelle che s’istituiscono tra strati esistenti e strati di nuova costruzione. Per fare ciò, è stato effettuato un confronto continuo tra le azioni previste con le loro conseguenze stratigrafiche.

Una parte della copertura, tuttavia, quella presente in corrispondenza della casetta, è stata sostituita, per l’impossibilità di recuperare gli elementi lignei.

Le murature

Nello specifico, per quanto riguarda le murature, l’intervento ha provveduto in primis a rimuovere i giunti e i rappezzi cementizi da tutti i prospetti. In corrispondenza delle superfici è stata poi effettuata un’accurata e blanda pulitura, dapprima a secco (ponendo particolare attenzione a non eliminare e/o alterare le evidenze di tipo archeologico) e in seguito mediante acqua demineralizzata (in taluni casi additivata con carbonato d’ammonio) a bassa pressione, spingendo la pulizia sino allo strato naturale di patinatura del materiale.

Nelle zone in cui erano presenti le patine biologiche è stato necessario utilizzare un prodotto biodeteriogeno. Per ciò che concerne i giunti di malta si è proceduto sempre seguendo il principio dell’autenticità e del minimo intervento.

In corrispondenza delle stilature medioevali ed alto-medievali, che in generale presentavano un buon grado di conservazione e di resistenza, ci si è limitati ad effettuare un consolidamento superficiale, al pari degli elementi lapidei e laterizi.

Le porzioni più recenti sono state invece interamente ristilate. Per la ristilatura, in questo caso, è stata utilizzata una malta di calce simile a quella esistente, ma comunque distinguibile rispetto a quella appartenente alle murature originarie. La distinzione tra ‘nuovo’ e ‘vecchio’ non risulta quindi compromessa.

La pavimentazione in cemento è stata rimossa e al suo posto è stato posizionato un pavimento in mattoni pieni posati a spina pesce, adagiati su un letto di sabbia.

Gli elementi in pietra

In corrispondenza del prospetto principale si è poi proceduto al restauro conservativo degli elementi in pietra e alla stesura finale di un prodotto consolidante e protettivo al tempo stesso tipo «Bio-Estel».

L’architrave in pietra, gravemente dissestato, è stato consolidato mediante l’inserimento, al suo interno, di una barra in acciaio inossidabile, resa solidale al materiale lapideo con un’apposita malta antiritiro.

Sopra questo è stato poi riportato alla luce un bel frammento di affresco, di epoca imprecisata, rimasto sepolto per decenni sotto una terracotta di San Martino a cavallo di fattura popolare.

Consolidamento delle strutture murarie

Le strutture murarie sono state consolidate con localizzati interventi di cuci-scuci effettuati con mattoni vecchi e malta di calce. All’interno della navata della chiesa sono stati poi posizionati dei tiranti metallici, al fine di assorbire la spinta cui è sottoposta la parete nord.

Le murature, inoltre, sono state consolidate mediante l’impiego di barre elicoidali in acciaio inossidabile «Tcs Twist» che consentono di ripristinare la continuità muraria sfruttando una tecnologia a secco, senza l’impiego di resine.

La grande finestra presente in corrispondenza della parete nord, la cui apertura aveva pesantemente indebolito la muratura, è stata tamponata e il tamponamento riammorsato alla muratura esistente.

Intervento sugli intonaci

All’interno si è proceduto alla rimozione completa degli intonaci cementizi, fatiscenti e pericolanti. Quest’intervento ha rivelato che gli strati d’intonacatura degli ultimi decenni avevano coperto un interessante, e inedito, palinsesto di intonaci originali di epoca tardo-medievale, nonché alcuni lacerti di affreschi e di altre decorazioni, a loro volta su strati successivi.

Sia gli uni sia gli altri si presentavano in pessimo stato conservativo. Dopo aver eliminato ogni residuo cementizio e descialbato gli affreschi (sia attraverso impacchi chimici sia mediante sistemi meccanici manuali) si è proceduto al loro consolidamento e al loro restauro.

La riapertura delle forometrie originarie dell’abside ha riportato alla luce un’originaria finestra cruciforme sagomata in mattoni, secondo una rarissima tipologia di origine bizantina. È stata inoltre rinvenuta e ripristinata l’originale nicchia tabernacolo altomedievale presente al centro dell’abside.

Gli intonaci, prevalentemente cementizi, manifestavano un degrado diffuso imputabile alla presenza di patine biologiche, vegetazione infestante e depositi superficiali di tipo incoerente e parzialmente coerente.

Serramenti, pavimenti e impianti

Al fine di non alterare il microclima interno della Chiesa si è deciso di non inserire alcun serramento in corrispondenza degli oculi. Il portone d’ingresso è stato invece completamente restaurato.

La pavimentazione in cemento è stata rimossa e al suo posto è stato posizionato un pavimento in mattoni pieni posati a spina pesce, adagiati su un letto di sabbia. L’aspetto impiantistico è stato curato nel dettaglio, con l’obiettivo di non alterare le superfici murarie, di non eseguire tracce nelle murature e di mascherare, dove possibile, le canalizzazioni con sottili tubi in rame e con una lamina in acciaio corten posata al piede delle murature interne.

Controsoffitto e copertura

Il controsoffitto è stato accuratamente restaurato e consolidato, gli elementi lignei di sostegno gravemente ammalorati sostituiti, gli altri consolidati con fettonature e piccoli incalmi. Anche il canniccio degradato è stato sostituito e integrato. Infine, è stato effettuato un intervento di disinfestazione contro gli insetti di tipo xilofago che ha riguardato altresì le strutture di copertura.

L’intervento in copertura è stato oneroso e articolato; l’obiettivo era consolidare gli elementi lignei senza sostituirsi a essi e senza nascondere gli interventi effettuati. Una parte della copertura, tuttavia, più precisamente quella presente in corrispondenza della casetta, è stata sostituita, per l’impossibilità di recuperare gli elementi lignei.

L’intero manto in coppi è stato rimosso, e riposato dopo la stesura di una guaina impermeabilizzante (ma permeabile al vapore) e la sostituzione delle tavelline e degli arcarecci lesionati.

Restituzione del complesso edilizio alla città

Il restauro della Chiesa di San Martino ha restituito alla fruizione della comunità e della città un bene di primaria importanza per la storia dell’alto medioevo vicentino. Ancor di più ha restituito dignità e bellezza a uno splendido edificio che si è trovato a vivere in una condizione d’incuria e abbandono sempre più grave.

L’approccio progettuale, mescolando interventi assolutamente tradizionali a una concezione moderna del restauro, fondata sui princìpi conservativi nei quali la comunità scientifica nazionale e internazionale si riconosce, ha permesso di ottenere un risultato del tutto compatibile sia sotto l’aspetto delle finalità conservative del manufatto sia sotto quello più propriamente scientifico: le opere realizzate avendo sempre come obiettivo la conservazione dell’autenticità materica del bene, rimarranno sempre e comunque perfettamente identificabili.

Chi ha fatto Cosa

Angela Blandini | Progettista.

Progettisti: Studio Vetere, arch. Angela Blandini, arch. Gabriele Zorzetto, Vicenza
Opere edili: Zambello Impresa Costruzioni srl, Vicenza
Opere di restauro: Arcart srl, Montecchio Maggiore, Vicenza
Opere in ferro: Zospa sas di E. Spagnolo & M. De Zorzi, Costabissara, Vicenza
Pavimenti in legno: Trevisan Luigino & Figli snc, Vicenza
Serramenti: Falegnameria Novello, Vicenza
Impianti elettrici: Alfonso Argeo, Este
Impianti idro-termo-sanitari: Beggiato Emanuele Termoidraulico, Abano Terme, Padova

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