Punti di Vista | Prof. Enrico Dassori, direttore dipartimento di Scienze per l’architettura Università di Genova

Corso Italia: la promenade che Genova vorrebbe

Il prof. Enrico Dassori pone l’accento sulla necessità, a Genova, di ripensare corso Italia, facendo presente la difficoltà di superare alcune criticità, tra le quali spiccano la mancanza di zone di sosta, l’inutilità di sedute e piantumazioni, la mancanza della pista ciclabile. Non ultimi i problemi e le necessità legate all’affaccio a mare e alle strutture balneari.
Prof. Enrico Dassori
Prof. Enrico Dassori

Ogni città della nostra «meravigliosa Italia» presenta luoghi ove il degrado, nelle sue diverse forme e dimensioni, impedisce il pieno utilizzo o, se non altro, il pieno godimento di beni architettonici e ambientali. Genova non sfugge a questa realtà e fra i suoi tanti «vuoti» (in primis l’infinita vicenda del centro storico più grande d’Europa) uno, in particolare, vorrebbe continuare a proporsi come patrimonio della collettività. Stiamo parlando di Corso Italia, un nastro veicolare-pedonale di oltre due chilometri interamente affacciato sul mare. Esso fa parte del quartiere residenziale di Albaro (zona est della città) e collega il quartiere della Foce al bellissimo borgo marinaro di Boccadasse, scenario di innumerevoli dichiarazioni d’amore eterno e di indimenticabili «marinate» scolastiche.

Corso Italia è stato realizzato (con sbancamenti a monte e riporti e impalcati a mare) fra il 1909 e il 1915 su progetto dell’ing. Dario Carbone. Su di esso insistono alcune importanti emergenze architettoniche quali l’abazia di S. Giuliano (infinito cantiere di recupero e fonte di degrado), il forte di S. Giuliano (sede del comando provinciale dell’Arma), la villa Canali/Gaslini (opera di Gino Coppedè e sede fino alla seconda guerra mondiale del consolato giapponese), lo stabilimento balneare del Lido (il più grande d’Europa con una potenzialità di 10mila utenti e un illustre passato nell’intrattenimento, ricordi che vanno dalle grandi orchestre argentine degli anni ‘20 e ‘30 fino alle elezioni di Miss quali Sophia Loren e Rosanna Schiaffino).

Restyling precedenti. L’infrastruttura è stata oggetto di restyling nel 1935 e alla fine degli anni ’80, su progetto dell’arch. Orazio Dogliotti, con finanziamenti collegati a Italia ’90 e alle Colombiadi. In anni più recenti un progetto di recupero dell’area del Lido è naufragato in pastoie politico-burocratiche-giudiziarie.
I genovesi, e molti turisti, vivono il corso con sentimenti bivalenti: da un lato ne sono fedeli e diversificati fruitori (l’affollamento nelle stagioni intermedie e nelle tiepide giornate invernali è notevole), dall’altro non risparmiano lamentazioni (del tutto condivisibili) circa lo stato di manutenzione del percorso e le carenze/disfunzioni infrastrutturali che limitano la migliore percezione dell’esclusivo scenario naturale e la completa fruizione di uno spazio tanto vitale.

Elementi d’arredo. Il progetto Dogliotti fu elaborato con accurata competenza tecnica e grande impegno economico (90mila mq di pavimentazione in klinker con grandi rosoni artistici, 12mila m di bordi in massello di granito rosa, 40 fioriere-panchine da 14 m lineari, ciascuna sempre in granito), ma si limitò sostanzialmente, queste erano evidentemente le specifiche, alla cura degli elementi d’arredo. Nessuna possibilità di lavorare sulle modalità d’approccio dell’utenza alle potenzialità della promenade, nessuna analisi di fabbisogni e modelli comportamentali, processi sociologici che sarebbero comunque da aggiornare alla siderale distanza di un quarto di secolo.
Ripensare corso Italia sembra dunque essere un tema di estrema attualità, un tema che trova sensibili cittadini (affezionati a un bene così prezioso), comune (sensibile ai problemi del decoro urbano ma sempre più in difficoltà a sostenere oneri di manutenzione significativi), imprenditori delle attività prospicienti il percorso (convinti dei benefici che il loro lavoro potrebbe trarre da un rinnovato senso di polarità e di qualità del percorso).

Cosa fare? La complessità del problema, che interseca i campi sociologico-urbano, tecnologico, ambientale, normativo ed economico-finanziario, in ordine all’entità degli investimenti, per il pubblico, e dei tempi di ritorno, per l’inevitabile intervento di risorse private, sconsiglia di avventurarsi in taumaturgiche proposte o di dar seguito alle semplificazioni degli «opinionisti» di professione che, anche a Genova, certamente non mancano. Alcune riflessioni possono aiutare a stimolare gli interessi comuni, nella speranza che ai buoni propositi seguano concrete iniziative.

Foto 1
Foto 1

La prima incertezza di corso Italia si può rilevare, già alla scala urbana, proprio nel suo essere un tracciato mancante di significative polarizzazioni di inizio/fine: da un lato quartiere della Foce (foto 1), l’anonimo innesto all’enorme distesa d’asfalto del parcheggio della Fiera (avvio reso anche squallido da un’infilata di strutture precarie, fra le quali l’immancabile mini-casinò), dall’altro, a Boccadasse, il muro laterale della chiesa di S. Antonio (foto 2), fisicità netta che racconta l’interruzione brusca del progetto a causa dei veti incrociati posti, già in origine, alla prosecuzione del percorso.

Foto 2
Foto 2

Il tema della raggiungibilità apre poi alla constatazione di quanto controverso sia il rapporto del quartiere di Albaro con corso Italia: da un lato coglie i notevoli benefici (anche immobiliari) della sua presenza, dall’altro vive con non celato fastidio l’«invasione» domenicale ed estiva dei molti (quasi tutti) che, in mancanza di un efficiente collegamento con trasporto pubblico, tentano di raggiungere il sito col mezzo privato.

Criticità. Un ulteriore livello di considerazioni riguarda il modello funzionale della struttura del percorso in ordine a diverse criticità facilmente rilevabili: l’infelice convivenza sulla stessa sede di fruizioni diverse (passeggiata, jogging, pattinaggio, biciclette), la mancanza di zone di sosta/relazione confortevoli rispetto ai pesanti effetti dell’impatto solare, l’inutilità, in questo senso, di sedute e piantumazioni ridotte a spartitraffico rispetto al retrostante asse veicolare (foto 3), l’irrisolto bisogno di una pista ciclabile che costringe i praticanti a convivere con un traffico relativamente veloce, fatte salve le occasioni in cui (con simmetrico disappunto dei non ciclisti) la strada viene totalmente o parzialmente chiusa agli autoveicoli. Del tutto lasciata a sé stessa la soluzione del conferimento dei rifiuti, soluzione che regala alla promenade esempi di raro autolesionismo (foto 3).

Foto 3
Foto 3

L’accenno alla multifunzionalità del percorso introduce la questione dell’inadeguatezza della pavimentazione (quadrati di klinker con giunti larghi sigillati), che risulta rigida per il passeggio e particolarmente inadatta allo jogging e al pattinaggio, stante il forte riverbero sulla zona lombare degli sportivi. L’eccesso di ricerca formale nel disegno del fondo viene oggi pagato in termini di difficoltà dell’amministrazione pubblica a mantenere efficiente il manto, sia riguardo alla semplice pulizia che alla sostituzione di lastre ammalorate (foto 4).

Foto 4
Foto 4

Affaccio al mare e parco urbano. Ultimi, non certo per importanza e per difficoltà di soluzione, i temi dell’affaccio a mare, della fruibilità delle spiagge, del ruolo delle strutture balneari private che occupano quasi totalmente la fascia litoranea al di sotto della quota della promenade. Questi argomenti si intrecciano fra loro e costituiscono forse il cuore di ogni ragionamento sul futuro del corso, stante il loro esorbitare da una dimensione essenzialmente tecnica e, quindi, di per sé risolvibile. La questione della privatizzazione dei litorali è nota e la recente direttiva Bolkestein, relativa, fra l’altro, alle concessioni demaniali marittime, sta agitando da parecchio tempo concessionari e mondo politico. Nello specifico nostro, pur essendo oggettiva un’eccessiva ristrettezza delle zone libere, rispetto anche ad altre realtà litoranee paradigmatiche quali Nizza, in Francia, va riconosciuta agli stabilimenti balneari una funzione di presidio del territorio (forse impossibile per l’amministrazione pubblica) che non può essere sottovalutata. Proprio a Genova i casi delle spiagge libere di Pegli e Voltri fanno scuola su ciò che comporta l’abbandono del litorale. L’ambizione dei concessionari degli stabilimenti balneari sarebbe quella di fare sistema e costituire un vero e proprio «parco urbano» che funzioni al di là del quadrimestre maggio-settembre. L’idea va considerata con il dovuto rispetto ma ogni ipotesi in questo senso deve passare anche attraverso un significativo ridisegno delle strutture d’accoglienza cresciute nel tempo con la logica di un fai da te non sempre ineccepibile sul piano formale (criticabile in molti casi l’eccessiva cementificazione (foto 5), il disordine delle volumetrie e dei materiali, la presenza di funzioni non sempre compatibili).

Foto 5
Foto 5

È evidente che, nel rispetto delle singole finalità, il recupero di corso Italia non può prescindere da una profonda interazione fra pubblico e privato, nella doverosa ricerca di un equilibrio fra istanze imprenditoriali, libero godimento del bene naturale e tutela della sicurezza e del decoro.

Prof. Enrico Dassori, direttore dipartimento di Scienze per l’architettura Università di Genova

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