Editoriale | Livia Randaccio

Crescita: se non ora, quando?

Mentre le istituzioni e le forze politiche sono bloccate da veti incrociati e non è riuscita la formazione di un nuovo governo, il potere d’acquisto delle famiglie italiane si è ridotto in 4 anni del 5% e l’imposizione fiscale è salita del 2,6%.
Livia Randaccio, direttore editoriale Imprese Edili e impresedilinews.it

Siamo arrivati alla stretta finale. L’on. Pierluigi Bersani si è apprestato a riferire al Presidente della Repubblica la mancata possibilità di portare a termine il mandato esplorativo con la formulazione del nuovo Governo. Giorgio Napolitano ha scelto 10 esperti bipartisan divisi in due gruppi (il primo per l’emergenza economica e il secondo per le riforme) che avranno il compito di definire le priorità per i partiti politici ancora alle prese con insanabili divergenze.
Da oggi dunque sono al lavoro per far convergere le forze politiche su un progetto di riforme condivise, come ha detto lo stesso Napolitano «precise proposte programmatiche oggetto di condivisione» da parte degli esponenti politici in vista di un possibile governo.

Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana.

Al governo c’è ancora Mario Monti: a lui e ai suoi tecnici toccherà gestire gli affari correnti. Nell’agenda Monti c’è la stangata estiva dell’aumento dell’Iva al 22% che vale 4 miliardi di gettito e l’entrata in scena della Tares, la nuova tassa sui rifiuti. Sull’Imu sembra essere calato il sipario, ma mettiamoci il cuore in pace, presto se ne tornerà a parlare.
Intanto non sono mancati ulteriori appelli a dar vita entro breve a un nuovo esecutivo che seriamente metta mano a quei provvedimenti che permettano un’inversione di tendenza in campo economico favorendo la crescita dell’economia e del paese.

Le urgenze di Ance e di Federcostruzioni
Riportiamo le affermazioni di Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance, che ha evidenziato la necessità che il governo «faccia chiarezza sull’entità delle somme destinate ai pagamenti delle spese per le infrastrutture essendo ancora incerto il quadro dei pagamenti che si dovranno sbloccare per le imprese di costruzioni: è giunto il momento che si facciano scelte basate sull’efficienza della spesa, che premino quella maggiormente virtuosa, come le spese per le infrastrutture e non solo quella corrente a discapito dello sviluppo del paese… e ulteriore chiarezza sarebbe auspicabile che giungesse dall’Unione Europea da cui, invece, giungono a noi messaggi contraddittori».
Anche il consiglio direttivo di Federcostruzioni (anch’esso presieduto da Buzzetti) ha ribadito l’urgenza di uno sblocco dei debiti della p.a. come primo passo per dare liquidità a un’industria ormai allo stremo. «Non vorremmo che dietro le continue richieste di chiarimenti a cui abbiamo assistito in questi giorni si celasse la volontà di sacrificare le esigenze delle imprese a un rigore meramente formale. Non possiamo essere più realisti del re, ovvero perseguire a tutti i costi l’obiettivo del 3% del rapporto deficit/Pil, senza preoccuparci del destino di centinaia di migliaia d’imprese che hanno il diritto di essere pagate per i lavori svolti» ha continuato Buzzetti informando che il direttivo di Federcostruzioni ha approvato all’unanimità la richiesta al Governo di rendere immediatamente operativo il decreto relativo al pagamento dei debiti commerciali, che per le imprese della filiera delle costruzioni ammontano ormai a 20 miliardi.

Paolo Buzzetti, presidente Ance e Federcostruzioni.

Secondo Buzzetti, «il caso Spagna dimostra che saldare le imprese è possibile anche con l’assenso delle autorità europee. Ci vuole però una volontà politica precisa ed è essenziale che le risorse disponibili siano utilizzate esclusivamente per restituire liquidità alle imprese e non siano trasformate in un nuovo strumento a sostegno del sistema creditizio».
È dunque, secondo Federcostruzioni, priorità assoluta sbloccare gli 11 miliardi che sono nelle casse dei comuni e delle Province, per spese in conto capitale non utilizzabili a causa del Patto di stabilità, risorse che immesse nel mercato si possono trasformare immediatamente in nuove attività economiche e in nuovi posti di lavoro.

Occupazione e crescita
Occupazione, credito alle imprese, crescita della produzione e dei mercati di riferimento sono i capisaldi sui quali le imprese e le famiglie italiane chiedono ai governanti di intervenire per migliorare una situazione che sembra stia diventando impossibile da sopportare.
Basta dare una lettura alla nota che proponiamo a fine editoriale per avere chiaramente i connotati di come si sia impoverito in 5 anni (dal 2007 al 2011) il potere d’acquisto delle famiglie italiane, in particolare siamo alla presenza di una vasta classe media sempre più povera. Con i salari dei lavoratori scesi dal 2007 al 2013 del 2% a fronte di un’imposizione fiscale salita del 2,3%.

Anche in Europa sta cambiando qualcosa
Anche a livello europeo si è presa coscienza che, per uscire dalla crisi, non si poteva più continuare con la politica e i provvedimenti di Monti e già dalla riunione del Consiglio europeo del 15 marzo è emerso l’impegno a promuovere con forza su tutto il territorio europeo la crescita e la competitività delle imprese per giungere a incrementare l’occupazione. Per far questo le leve da utilizzare si chiamano in sintesi snellimento della pubblica amministrazione, rinnovata adozione della politica dei prestiti dalla banche alle imprese, una pressione fiscale fortemente ridotta e l’abbattimento del tasso di disoccupazione.
Proprio su quest’ultimo punto la Banca centrale europea, in una nota del bollettino di marzo, specificava che è da ritenersi «di particolare importanza che i governi affrontino questa situazione di disoccupazione, in primis quella giovanile, considerando che sono necessarie ulteriori riforme dei mercati del lavoro per creare nuove opportunità professionali e occupazionali nell’Eurozona promuovendo un’economia flessibile, dinamica, concorrenziale».

Fondo monetario internazionale
Come accennato, un altro aspetto riguarda gli istituti bancari. Il Fondo monetario internazionale, da mesi con un suo studio, addebita la situazione difficile sui mercati dell’Eurozona alla debolezza del settore bancario e alla vasta frammentazione del sistema finanziario.
La soluzione proposta dall’Fmi fa riferimento a un sistema bancario unico europeo con un fondo comune di garanzia sui depositi, un sistema centralizzato di sorveglianza sugli istituti di credito e una regolamentazione dei fallimenti bancari.
Tutto questo si può considerare l’autentica Unione bancaria. In questo momento di stasi e di confusione istituzionale è più che mai utile un governo che sappia prendere le decisioni necessarie per uscire dalla crisi e, per forza, un governo che cambi la politica economica in Italia e si relazioni diversamente in Europa.
Occorre dar vita a una crescita del paese fondata sul lavoro e sull’occupazione vera (non quella assistita), bisogna che ci si convinca che a dar lavoro non sono i politici bensì le imprese: per questo s’invoca un sistema bancario funzionante, che ritorni a dar credito all’imprenditoria. Ricordiamo cosa scrisse il Financial Times sulla politica e le strette di Monti?

Famiglie e potere d’acquisto
Attenzione a questi dati emersi dal Rapporto Bes 2013 redatto da Istat e Cnel: 5 punti percentuali, di tanto si è ridotto dal 2007 al 2011 il potere d’acquisto delle famiglie italiane. Una contrazione che tuttavia si è riflessa solo in parte sui consumi che in termini reali sono diminuiti dell’1,2%. Questo perché nei primi ani della crisi le famiglie hanno intaccato il patrimonio nel tentativo di mantenere il proprio standard di vita.
Nello stesso quadriennio la propensione al risparmio è passata dal 15,5% al 12% per arrivare nel secondo trimestre del 2012 all’11%. Il Rapporto evidenzia come in presenza di un sistema di welfare che ha sempre riguardato soprattutto la componente previdenziale, la famiglia ha funzionato da ammortizzatore sociale a difesa dei più deboli (minori, giovani senza occupazione, anziani).
La crisi economica degli ultimi 5 anni sta mostrando però i limiti di questo modello, accentuando le disuguaglianze tra classi sociali e le profonde differenze territoriali. Alcuni segmenti di popolazione e certe zone del paese, in questo lasso di tempo, sono stati particolarmente colpiti sia dalla riduzione dei posti di lavoro (la percentuale degli individui in famiglie senza occupati è passata dal 2007 al 2011 dal 5% al 7,2%) sia dalla diminuzione del potere d’acquisto. Secondo il rapporto poi vi sono sempre più italiani che vivono in condizione di gravi difficoltà economica.
A fine anno saranno più di 10 i miliardi a favore dell’erario che arriveranno dal prelievo sui redditi. La triste notizia la si legge nel rapporto curato da Cer e Ires per la Cgil che dice che tra il 2007 e il 2013 la combinazione tra inflazione e progressività dell’imposta risulta la prima causa di aumento del gettito Irpef, con ricadute annuali che in alcuni casi hanno sfiorato i due miliardi e che nel 2013 finiranno per superarli. Lo studio dimostra che i salari dei lavoratori sono scesi del 2% mentre l’imposizione fiscale è salita del 2,6%.
Livia Randaccio 

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