Costruire in Laterizio | Speciale Cupola del Brunelleschi

Osservare «ad oggetto di impedir il progresso de’ mali» di una Cupola e del suo danno

Si vuole raccontare qui la lunga storia delle lesioni della cupola di Santa Maria del Fiore, attraverso le operazioni di monitoraggio storico-strutturale, eseguite con l’obiettivo di chiarirne il comportamento e definire affidabili strategie di conservazione.

Il tranello delle cupole

1. Il tranello delle cupole e il meccanismo di spinta alla base.

(Cil 176) – Per secoli, gli archi – così come le volte e le cupole, che ne costituiscono la diretta evoluzione – hanno rappresentato la migliore soluzione costruttiva per il “materiale muratura”, in virtù del perfetto funzionamento a compressione che sta alla base della loro stabilità. In accordo con Auguste Choisy [1], si potrebbe perfino avanzare l’ipotesi che la storia dell’architettura non sia altro che l’evoluzione delle diverse soluzioni (stilistiche e dimensionali) che nel tempo sono state trovate per questi particolari elementi costruttivi.

La questione di fondo è rimasta sempre la stessa: trovare quella forma, perfetta, che garantisse a tali elementi la stabilità nel tempo e che limitasse l’insorgere di un “tranello” più o meno noto (la spinta sulle strutture di sostegno e la formazione di ineliminabili stati tensionali di trazione alla base) [2].

È noto che una cupola di rotazione, in condizioni assial-simmetriche di carico e di vincolo, si trasforma automaticamente in funicolare dei propri carichi, e anche se questa descrizione si riferisce al funzionamento “in regime di membrana”, offre comunque un’idea intuitiva degli sforzi che si generano al suo interno e ne anticipa l’insidia per i materiali – come la muratura, appunto – non resistenti a trazione: nel tempo, fratture verticali hanno attraversato infatti più o meno tutte le cupole in muratura, evidenziandone insieme il principio meccanico fondante (gli archi contigui di cui queste si compongono) e il principale meccanismo di dissesto (fig.1).

Le fratture variano per ampiezza e posizione, ma al loro insorgere il tranello può dirsi compiuto, trasformando una membrana compatta in una sequenza di archi a sezione variabile, mutuamente contrastantisi nei paralleli rimasti compressi [3].

2. Il sistema di centine rampanti riferito ad un unico centro – di tracciamento e costruttivo – (a sinistra) e (a destra) l’invenzione della “corda blanda”.

A questa teoria “membranale” si è arrivati dopo secoli di pratica costruttiva e attraverso la soluzione di equazioni sconosciute agli antichi costruttori [4], che però dovevano averne ben chiaro l’effetto: la fessurazione, che si manifestava subito dopo la costruzione delle grandi strutture cupolate e, a volte, ne determinava il crollo(1).

La soluzione del tranello è arrivata per gradi, osservando empiricamente ciò che funzionava, o ancora meglio, correggendo l’errore – dimensionale o costruttivo – attraverso approssimazioni successive e avanzamento tecnologico. Proprio quest’ultimo, di frequente, permette di abbandonare schemi teorici (sperimentati e consolidati) per creare strutture più stabili e nei “trucchi” usati da Brunelleschi per costruire l’apparecchio murario della sua cupola di Santa Maria del Fiore qualcuno legge un primo passaggio da “tecnicismo empirico” a “scienza di pre-visione” [5].

È evidente come Brunelleschi occupi un posto privilegiato nella storia di queste particolari costruzioni e – anche se alcune erano note(2) [6] – le sue “invenzioni” contro il tranello hanno permesso a Santa Maria del Fiore di rimanere l’unica, tra le grandi cupole in muratura, a non essere stata oggetto di un intervento di consolidamento successivo. Almeno non consapevole, come vedremo più avanti.

I trucchi di Brunelleschi contro il tranello

La complessa geometria di Santa Maria del Fiore è ben nota almeno dagli anni Ottanta [7,8] e studi più recenti hanno ulteriormente indagato alcune questioni [9, 10]: una magnifica costruzione ottagonale formata da due cupole (una interna più massiccia e una esterna più sottile), le cui superfici sono cilindri a sezione ellittica [11] collegate strutturalmente da massivi e massicci costoloni, tutti convergenti al centro della cupola stessa.

I trucchi escogitati da Brunelleschi per compiere il suo prodigio, sono almeno quattro, messi in campo per anticipare o risolvere gli errori sperimentati e osservati in altre fabbriche.

  • Il primo sta tutto in una profonda conoscenza geometrico- proporzionale che, partendo dall’applicazione dei rapporti corretti (perché consolidati dall’esperienza) di spessore e diametro della cupola (tra loro nel rapporto di 1/10 alla base e decrescenti fino a 1/12 al colmo, in una trascrizione proporzionale del vicino Battistero di San Giovanni), riesce a ridurre ad un unico centro il riferimento geometrico per il tracciamento e insieme la costruzione delle otto vele, unendo così alla capacità di prefigurazione matematica l’invenzione tecnologica di centine rampanti (fig.2).
3. Il quadro fessurativo della cupola di Santa Maria del Fiore.
  • Sempre a metà tra intuizione geometrica e capacità costruttiva stanno gli altri due stratagemmi impiegati per costruire, all’interno dello spazio divaricato dei due gusci, una cupola di rotazione, di cui già Alberti aveva riconosciuto la superiorità statica: per evitare soluzioni di continuità in corrispondenza degli spigoli della sua cupola ottagonale, Brunelleschi sceglie la particolare disposizione dei letti di posa a “corda blanda”, determinata dall’intersezione tra i coni e le superfici cilindriche, con l’obiettivo di evitare la creazione di zone deboli in corrispondenza degli sproni angolari (che anche intuitivamente avevano un ruolo fondamentale nella stabilità della cupola, soprattutto in fase costruttiva).
  • Sarebbe poi ingeneroso liquidare come semplice stratagemma costruttivo (per voltare la cupola senza centine di sostegno) l’adozione della particolare disposizione dei mattoni a spinapesce, il cui sviluppo in eliche radiali – che seguono, con le normali ai giunti di malta, le linee isostatiche all’interno della calotta – crea di fatto una cupola di rotazione nello spessore dei muri. Poco importa che poi, proprio i giunti verticali, abbiano costituito una via preferenziale al propagarsi delle fratture; è un fatto che Brunelleschi, “con molto artificio e magistero”3 abbia cercato di impedire l’innescarsi del tranello, costruendo una forma perfetta [12].
  • Se poi la perfezione geometrica e costruttiva non fosse bastata ad opporsi all’insorgere delle lesioni, egli aveva dotato la sua cupola di una quarta invenzione, in parte dichiarata e in parte nascosta, che rappresenta il suo trucco finale: tre ordini di cerchiatura, articolati rispettivamente in una prima catena di macigno (inserita tra il primo e il secondo camminamento e costituita da 6 cerchiature in “pietra forte”, saldamente unite da staffe in ferro), una catena lignea (anche questa trasposizione del vicino Battistero, ma inserita in una posizione più efficace) e infine nel funzionamento “a piattabanda” pensato per ciascuno dei lati del suo padiglione [13, 14].

Tutte queste invenzioni hanno assicurato la stabilità della cupola per secoli, in virtù di un funzionamento quasi-perfetto ma, nonostante i trucchi messi in campo dal suo geniale costruttore, qualcosa non ha funzionato e anche la cupola di Santa Maria del Fiore appare ora affetta da un diffuso e importante quadro fessurativo, innescatosi poco dopo la sua costruzione4 [15,16] e ancor oggi in costante aumento, che evidenzia – a meno di alcune variazioni (anche sensibili) – una sostanziale simmetria.

4. “Monitoraggio storico”: evoluzione della lesione nella vela 4 valutata in base a documenti d’archivio e dati rilevati sulla cupola, ipotizzando l’apertura della lesione in occasione del sisma del 1453.

Il quadro fessurativo della cupola e la sua evoluzione nel tempo

Seguendo la numerazione classica delle vele (in senso antiorario dalla vela 1 che guarda la navata), due ampie lesioni passanti campeggiano nelle vele 4 e 6, mentre altre due fessurazioni, quasi simmetriche (di ampiezza sensibilmente inferiore e formatesi successivamente) sono visibili nelle vele 2 e 8 (fig.3).

Ulteriori lesioni inclinate a 45° sopra gli oculi, costituiscono un sistema minore nelle vele dispari, mentre altre fessurazioni non passanti tagliano la cupola interna in corrispondenza degli otto spigoli. La ragione della disomogeneità del quadro fessurativo appena descritto è da ricercarsi nella diversità degli appoggi delle vele, con una concentrazione delle lesioni lì dove la rigidezza delle strutture di sostegno risulta maggiore(5) [17].

Questo ben noto quadro fessurativo è stato oggetto, nei secoli, di numerosi studi e dibattiti e di altrettante osservazioni o monitoraggi, più o meno consapevoli. Non sempre i dati di ampiezza delle maggiori lesioni della cupola sono stati ottenuti attraverso veri e propri strumenti di misura (comunque posizionati in ogni epoca a controllo della loro apertura: dalle spie di marmo, leghe di pietra, biette di ferro, fino ai più moderni sistemi elettronici).

Il più delle volte, sono state invece indicazioni indirette a fornire importanti informazioni per la ricostruzione di quello che si può chiamare “monitoraggio storico” della cupola(6), che ha permesso di scoprire un incremento uniforme (di circa 5,5 mm al secolo) del quadro fessurativo prima descritto, con un conseguente lento e costante indebolimento delle strutture (fig.4).

A ben guardare, il primo sistema di monitoraggio “consapevole” installato sulla cupola sono le biffe inserite a cavallo delle due maggiori lesioni da Giovan Battista Nelli, nel 1695, e trovate rotte poco dopo, a seguito di un evento sismico non particolarmente rilevante; sono le medesime lesioni rilevate nel dettaglio (e misurate) da Leonardo Ximenes, nel 1757, insieme alle altre 11 che egli attribuisce a cedimenti differenziali dei pilastri, dei quali aveva notato una certa inclinazione [18, 19].

Tra queste non figurano le lesioni sulle vele 2 e 8, comparse solo successivamente e credibilmente dopo un evento sismico (quello del 18 maggio del 1895)7. È solo nel tratto finale di tale ipotesi di evoluzione, che s’inseriscono i due sistemi di monitoraggio attualmente presenti sulla cupola, che – per durata e precisione di osservazione, oltre che per varietà e numero di misurazioni raccolte (strutturali e ambientali) – fanno di Santa Maria del Fiore un caso eccezionale, non solo dal punto di vista costruttivo, ma anche sotto l’aspetto dell’analisi dei dati.

  • Il primo sistema, di tipo meccanico e a rilevazione manuale, è costituito da 22 deformometri installati, all’intradosso e all’estradosso della cupola interna, nel 1955 dall’Opera del Duomo (su indicazione di Pier Luigi Nervi e Padre Alfani);
  • il secondo, più ricco e articolato, a rilevazione automatica – installato dall’Ismes – registra, con i suoi 166 strumenti, non solo la variazione di ampiezza delle lesioni (su entrambe le cupole) ma anche i più significativi movimenti strutturali utili a descriverne (e comprenderne) il meccanismo di dissesto (temperatura e livello di falda oltre a inclinazione dei pilastri ed eventuali cedimenti differenziali) [20].
5. Le tre ipotesi sulla causa del danno. Da sinistra: la spinta della cupola
(V. Viviani e poi A. Charugi); il cedimento differenziale (L. Ximenes e A. Cecchini) e infine il “respiro” della cupola (P.L. Nervi).

Alla ricerca della soluzione del danno, partendo dall’osservazione

I dati raccolti da tali sistemi raccontano – se pure in modo estremamente preciso – solo l’ultima parte della storia del monumento e delle sue lesioni, e la loro analisi acquista un diverso e più complesso significato solo se messa in relazione all’osservazione storica del danno e, più ancora, alle interpretazioni che nei diversi secoli si sono succedute circa la sua più probabile origine.

Di una – quella avanzata da Ximenes – si è già anticipato il senso: basandosi su rilevazioni geometriche di precisione e sulla mancata simmetria del quadro fessurativo allora presente (sostanzialmente limitato alle vele 4 e 6), l’ipotesi suggerita per l’origine del danno era un cedimento differenziale, testimoniato dall’inclinazione dei pilastri verso l’Arno.

Tale suggestione era nata in effetti, qualche tempo prima – pur non potendosi basare su altrettante evidenze geometriche – in opposizione alla tesi avanzata da Vincenzo Viviani(8), che riconosceva invece nei grandi screpoli della cupola (pur nell’asimmetria rilevata), null’altro che la manifestazione del meccanismo tipico degli organismi cupolati, con l’abbassamento del colmo e la mobilitazione di spinte radiali alla base: in una parola, l’ormai noto (anche se non ancora scientificamente dimostrabile) “tranello” [21].

L’ipotesi del Viviani viene ripresa poi dall’ultima Commissione Ministeriale, con il conforto, questa volta, della scienza delle costruzioni e dei risultati numerici delle prime modellazioni [22]. Le conclusioni di tale Commissione tuttavia, sono apparse per molto tempo confuse e non definitive, lasciando aperto il campo a quella che, almeno nell’immaginario collettivo, è rimasta l’ipotesi più suggestiva, forse per la sua paternità o forse anche per una sottesa proiezione animistica sulla vita di questa grande cupola: il noto “respiro” in risposta alle azioni termiche, (fisiologiche e dunque non preoccupanti) agenti sulla cupola (fig.5).

6. La variazione di trend evidenziata durante la presenza del ponteggio per il restauro degli affreschi della cupola (1980-1996).

Può essere quindi interessante, considerare i dati di monitoraggio disponibili come uno strumento, numerico ed empirico insieme, per validare o scartare definitivamente una di queste ipotesi, partendo proprio dall’osservazione del danno e recuperandone – a ritroso – il più realistico nesso causale.

L’analisi statistico-strutturale eseguita sui dati di lungo periodo della cupola fiorentina ha evidenziato in maniera inequivocabile (sfruttando il possibile confronto diretto tra dati manuali e automatici sulle lesioni principali) un sensibile rallentamento nell’evoluzione del danno in corrispondenza di quella che si può a tutti gli effetti considerare “una cerchiatura inconsapevole” installata sulla cupola tra il 1980 e il 1996: il ponteggio aereo inserito all’intradosso, nelle buche pontaie, in occasione del restauro degli affreschi.

Tale ponteggio, oggetto di aspre polemiche negli anni d’installazione, sembra avere avuto un benefico effetto cerchiante, riducendo in modo significativo, nel periodo della sua presenza sulla struttura, il trend di accrescimento di ampiezza delle lesioni, che è passato da circa 5,5 mm/secolo a meno 2 mm/secolo (fig.6).

Di contro, l’analisi comparata dei dati registrati dagli 8 vasi livellometrici installati sulle vele, ha evidenziato una sostanziale uniformità, permettendo così di escludere qualsiasi cedimento differenziale, così come ipotizzato da Ximenes.

Rappresentazione dei dati manuali, vela 4.

Più complesse sono state le operazioni effettuate sui dati per escludere con sufficiente affidabilità la terza ipotesi, dopo avere utilmente correlato le variazioni di ampiezza delle lesioni con l’andamento della temperatura all’interno della cupola.

Si è potuto alla fine rintracciare, dopo le necessarie operazioni di “depurazione” dai noti (perché misurati) effetti di temperatura, un significativo trend residuo nelle variazioni di ampiezza delle lesioni, riuscendo così a separare, nell’interpretazione dei movimenti della cupola, la quota di variazione fisiologica dovuta alla nota risposta della muratura alle escursioni termiche (quello che Nervi chiamava appunto il “respiro della cupola”) da patologiche – e quindi più preoccupanti – evoluzioni del danno, definitivamente attribuibili al ben noto tranello, complicato (se non, a volte, addirittura “innescato”) dall’azione sismica.

Cercare la soluzione al danno, una volta individuatane realisticamente la causa più probabile, è sembrato il modo migliore per concludere il racconto della sua osservazione, e per rilanciare un progetto di conservazione lasciato in sospeso: l’inserimento di un elemento di cerchiatura, diretta conseguenza, empirica-sperimentale, dell’“osservare ad oggetto di impedir il progresso de’mali”(9) [23].

Federica Ottoni
Ricercatore in Restauro (ICAR19),
Dipartimento di Ingegneria e Architettura, Università degli Studi di Parma
Carlo Blasi
Già Professore Ordinario di Restauro (ICAR19),
Dipartimento di Ingegneria e Architettura, Università degli Studi di Parma

Note
1. Si legge nel dialogo I, “Sulle cupole”, di Ermenegildo Pini: “Non egli vero che queste cupole, o tutte, o quasi tutte hanno patito in se stesse ovvero hanno recato danno alle altre parti delle chiese? […] Aggiungete che molte Cupole anche delle più recenti o sono cadute, o si dovettero rifare, perché erano prossime a rovina; e quindi conchiuderete, se questi edifizi abbiano una conveniente fermezza” [3].
2. Tra le prescrizioni date da Leon Battista Alberti sulla costruzione delle volte, si leggono alcune intuizioni sulla superiorità statica delle cupole di rotazione e sull’utilizzo della disposizione a spinapesce, in particolare si veda il Capo XIV, “Che le volte sono di varie forme, in che sieno differenti fra loro, con quali linee si stabiliscano, e qual sia il modo di
allentarle”, Libro III, p.133, in bibliografia [6].
3. “A ragione può lodarsi Santa Maria del Fiore fatta a padiglione per assicurarsi del grave peso della lanterna tutta di marmo, e fondata sopra, opera in vero fatta con molto artificio e magistero” V. Scamozzi, Parte II, Libro VI, Cap. II, p. 4 [12].
4. Una possibile causa d’innesco delle lesioni può essere il primo violento terremoto che ha coinvolto la cupola subito dopo la sua costruzione, il 28 settembre 1453. Si veda a
tale proposito l’articolo di C. Blasi, V. Gusella riportato in bibliografia [15]. È doveroso qui ricordare che altri studiosi, come F.P Di Teodoro [16], affermano invece che le lesioni
abbiano avuto origine subito dopo la costruzione, senza però individuare per queste una causa scatenante.
5. Le lesioni passanti si trovano a metà delle vele pari, che poggiano sui quattro grandi pilastri, notevolmente più rigidi rispetto agli ampi arconi che reggono invece le vele dispari.
6. Il più delle volte, i dati ottenuti sono confronti tra misure: la differenza di ampiezza tra la lesione di sud-est – misurata in corrispondenza del tamburo, all’altezza della cornice, e quindi nella loggia di Baccio D’Agnolo (riportata dal Nelli nella sua relazione) – fornisce l’ampiezza di tale lesione nel 1515 (1,7 cm), e il dato successivo (del 1579, data di completamento degli affreschi) è direttamente desumibile dalla differenza di misura tra la lesione nell’intonaco e quella misurabile tra i due lembi di muratura. La relazione completa di Giovanni Battista Nelli è riportata a pp.177-179, documento 391, di C. Guasti [19].
7. Si deve aspettare la relazione della Commissione Ministeriale del 1934 (Commissione Sabatini) per registrare la presenza delle lesioni sulle vele 2 e 8. È comunque interessante
notare come, ipotizzando la formazione delle lesioni dopo l’evento sismico del 1895 e applicando a queste la medesima evoluzione evidenziata per le loro simmetriche precursori
dal monitoraggio storico, si otterrebbe una previsione di ampiezza di circa 2,5 cm, misura in effetti corrispondente a quella attualmente registrata.
8. Ci si riferisce qui alle tesi di Alessandro Cecchini, che si oppone al Viviani e alle conclusioni della Prima Commissione Granducale nel 1695, bloccando di fatto la prevista produzione (e installazione) delle cerchiature proposte. Per maggiori approfondimenti si veda F. Ottoni, 2012 [20] e il bel saggio di P. Galluzzi [21].
9. V. Viviani, Manoscritto Galileiano 222, Tomo CXII. Vincenzo Viviani. Parte III. Meccanica dei solidi: Relazioni di Fabbriche, vol.8. c. 125r.

Bibliografia

[1] A. Choisy, Historire de l’architecture, Gautier- Villar, Parigi, 1899.
[2] F. Ottoni, Delle cupole e del loro tranello. La lunga vicenda delle fabbriche cupolate tra dibattito e sperimentazione, Aracne editrice, Roma, 2012.
[3] E. Pini, Dell’Architettura. Dialoghi, Stamperia Marelliana, Milano, 1770.
[4] J.Heyman, On shell solution for masonry domes, International Journal of Solid Structures” 3 (1967) 227-241.
[5] P. Rossi, I filosofi e le macchine 1400-1700, Feltrinelli, Milano, 1962.
[6] L. B. Alberti, De re aedificatoria, 1452, (testo latino e traduzione di Giovanni Orlandi, con introduzione e note di Paolo Portoghesi, Edizioni Il Polifilo, Milano, 1966).
[7] S. Di Pasquale, Primo rapporto sulla Cupola di Santa Maria del Fiore, CLUSF, Firenze, 1977.
[8] H. Saalman, Filippo Brunelleschi. The Cupola of Santa Maria del Fiore, Zwemmer, London, 1980.
[9] L. Giorgi, P. Matracchi, New studies on Brunelleschi’s Dome in Florence, in D. D’Ayala, E. Fodde (Eds.) Proceedings of SAHC 2008, Taylor & Francis Group, London, 2008, 191-198. [10] G. Conti, R. Corazzi, Il segreto della cupola del Brunelleschi a Firenze, Pontecorboli Editore, Firenze, 2011.
[11] A. Chiarugi, D. Quilghini, Tracciamento della cupola del Brunelleschi. Muratori e geometria, Critica d’Arte 3 (1984), pp. 38-47.
[12] V. Scamozzi, Idea dell’architettura universale, 1615, Venezia.
[13] F. Ottoni, C. Blasi, M. Betti, G. Bartoli, Enhancing resilience of historic domes to earthquakes. The historic chains of the baptistery of San Giovanni and of the dome of Santa Maria del Fiore in Florence, in Resilienza delle città d’arte ai terremoti, XXXIII giornata dell’ambiente, Atti dei Convegni Lincei, pp. 287-308.
[14] G. Fanelli, M. Fanelli M., La cupola del Brunelleschi. Storia e futuro di una grande struttura, Mandragora, Firenze, 2004.
[15] C. Blasi, V. Gusella, Evoluzione nel sistema fessurativo della Cupola di Santa Maria del Fiore, in G. Bartoli, C. Blasi, F. De Robertis, R. Foraboschi (Eds), Metodi di elaborazione dei dati provenienti da sistemi di monitoraggio: il caso della Cupola di Santa Maria del Fiore, Bollettino degli Ingegneri, XXXVIII (1991)
[16] L. Barbi, F.P. Di Teodoro, Le lesioni della cupola di Santa Maria del Fiore: una proposta di datazione, Bollettino degli ingegneri XXXI-9  (1983), pp.13-18.
[17] C. Blasi, The geometry, the cracks and static situation of the Brunelleschi’s Dome in Florence, Proceedings of 7th North America Masonry Conference, South Bend, Indiana (USA), 1996, pp. 1154-1167.
[18] L. Ximenes, Del vecchio e del nuovo gnomone fiorentino, Firenze, 1757.
[19] C. Guasti, La cupola di Santa Maria del Fiore illustrata con i documenti dell’Archivio dell’Opera secolare, Firenze 1857.
[20] F.Ottoni, C. Blasi, E. Coisson, The Crack Pattern in Brunelleschi’s Dome in Florence: Damage Evolution from Historical to Modern Monitoring System Analysis, Advanced Materials Research 133-134 (2010), pp. 53-64.
[21] P. Galluzzi, Le colonne “fesse” degli Uffizi e gli “screpoli” della Cupola. Il contributo di Vincenzo Viviani al dibattito sulla stabilità della cupola del Brunelleschi (1694-1697), Annali dell’Istituto e Museo della Storia della Scienza di Firenze, 2 (1977) pp.71-111.
[22] A. Chiarugi, Orazione in onore di Vincenzo Viviani, Bollettino Ingegneri, 9 (1996) pp. 8-10.
[23] F. Ottoni, Dome Strengthening By Encircling Ties: A Monitored Experiment. International Journal of Architectural Heritage 9:1 (2015), pp.82-95.

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