60° congresso nazionale ordini ingegneri | Centro studi Cni

Dal binomio ingegneri & industria lo sviluppo del valore tecnologico del Paese

Dal dibattito dell’assise nazionale degli ingegneri alcuni orientamenti che il sistema produttivo italiano deve necessariamente seguire per ritornare a positivi livelli di crescita. Appositi capitali e attenzioni sono stati rivolti al ruolo professionale dell’ingegnere in uno scenario di possibile trend di ripresa economica.

Dal 60° congresso nazionale degli ingegneri, appena conclusosi a Venezia, una serie di considerazioni e di dati sulla situazione del sistema produttivo italiano, sui presupposti che possono favorire il percorso della crescita, sul ruolo che l’innovazione e la categoria professionale degli ingegneri possono svolgere per comporre uno scenario di ripresa del mercato e di sviluppo per le imprese.

Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Infocamere.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Infocamere.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Infocamere.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Infocamere.

Dopo la grande crisi serve ricostruire il tessuto d’impresa. Negli anni della crisi il sistema produttivo ha perso poco più del 2% delle imprese. Pesante è il bilancio soprattutto per l’industria manifatturiera, con una fuoriuscita dal mercato, negli ultimi sette anni, di 49.700 imprese e una flessione del 9%. La crisi sembra controbilanciata dall’incremento delle imprese dei servizi, in particolare quelli cosiddetti avanzati e a maggior contenuto di know-how (servizi legati alle Ict, R&S, consulenza gestionale, marketing): tra il 2009 e la metà del 2015 lo stock di questa tipologia d’imprese è aumentato dell’11%. Questa maggiore terziarizzazione dell’economia nasconde, tuttavia, ancora diverse incognite, perché, se il numero delle imprese del terziario (sia tradizionale che avanzato) è aumentato, in termini di valore aggiunto vi è stato un peggioramento, come per il resto dei comparti. Per il terziario avanzato la flessione del valore aggiunto (che misura le performance di ciascun comparto) è stata dell’8%, per i servizi tradizionali è stata dell’1%, per l’industria manifatturiera del 14%. La lunga recessione ha dunque profondamente ridimensionato e trasformato il sistema produttivo, imponendo la ricerca di nuovi equilibri e di nuove strade per riguadagnare la crescita.

Fonte: elaborazione Centro studi CNI su dati Istat.
Fonte: elaborazione Centro studi CNI su dati Istat.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Eurostat.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Eurostat.

Comparti tradizionali e alta tecnologia. Uno degli effetti della crisi iniziata sette anni fa è stata l’accelerazione del processo di deindustrializzazione in Italia. Se nel 2005 il valore aggiunto del manifatturiero rappresentava il 18% del Pil nazionale, nel 2014 esso è sceso al 16,6%. Questo fenomeno di deindustrializzazione ha riguardato tutti i principali Paesi europei, ad eccezione della Germania. Nonostante questo arretramento, l’Italia resta una delle economie più industrializzate e a maggiore specializzazione manifatturiera. La crisi ha rivelato non soltanto una consistente capacità di esportazione da parte dei settori più tradizionali (il cosiddetto made in Italy, in cui rientrano l’abbigliamento, l’alimentare, l’arredamento e il comparto degli elettrodomestici), ma anche un’elevata capacità competitiva di comparti manifatturieri cosiddetti medium e hi-tech. Le esportazioni ad elevato contenuto tecnologico, in particolare (farmaceutico, aerospaziale e componenti Ict) sono cresciute del 39% tra il 2008 ed il 2014. Anche sul fronte dell’esportazione dei servizi non siamo all’anno «0». In particolare, le esportazioni dei cosiddetti servizi tecnologici (consulenze, engineering, formazione, marchi, brevetti) sono passate da 10 miliardi di dollari Usa nel 2010 a 15,4 miliardi di dollari nel 2014.

Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Eurostat.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Eurostat.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Eurostat.
Fonte: elaborazione Centro studi Cni su dati Eurostat.

Mix industria-servizi. Le possibilità di ripresa risiedono nelle nuove forme che la manifattura, a livello internazionale, sta assumendo, in una commistione sempre più forte tra industria e tecnologie informatiche, nella disponibilità diffusa di tecnologie abilitanti, in un nuovo ciclo espansivo, anche nel nostro Paese, delle spese per la ricerca, la sperimentazione e lo sviluppo di nuovi prodotti. Il tavolo di discussione ha focalizzato l’attenzione su fenomeni emergenti diversi:

  • la manifattura 4.0, ovvero i processi produttivi che fanno ampio ricorso alle tecnologie Ict: si tratta di una delle forme di massima compenetrazione tra manifattura tradizionale e servizi avanzati, con effetti stimati di forte crescita e modernizzazione delle produzioni tradizionali
  • la manifattura additiva, con il ricorso alle stampanti 3D: gli studi più recenti stimano che in Italia la maggiore diffusione di tale tecnica di progettazione e produzione determinerebbe anche e soprattutto nelle imprese italiane di ridotte dimensioni un cospicuo recupero di produttività
  • il rafforzamento dei cluster tecnologici
  • la diffusione capillare della banda ultra larga
  • la maggiore spinta alle esportazioni hi-tech.
Fonte: indagine Centro studi Cni, 2015.
Fonte: indagine Centro studi Cni, 2015.

Ingegneri come protagonisti. L’innovazione e la riorganizzazione dei processi produttivi sono i primi fattori per tornare a crescere, anche perché il Paese ha bisogno di un cambio di passo attraverso processi che incorporino elevate competenze e know-how specifico. Sono oltre 200mila gli ingegneri che operano nei comparti dell’industria e dei servizi e dopo un periodo di crisi, contrassegnato dall’incremento del tasso di disoccupazione anche per questa categoria, il mercato sembra ritornare gradualmente verso una fase espansiva. Tra il 2014 e il 2015 la domanda prevista di ingegneri da parte delle imprese aumenta del 31%, uno degli incrementi più accentuati degli ultimi 15 anni. Anche il tasso di disoccupazione, dopo avere raggiunto negli anni passati punte del 6%, si riporterà verosimilmente a livelli più fisiologici del 4% per il settore dell’ingegneria, a fronte del 12% a livello nazionale. Questo scarto molto forte indica la peculiarità dei profili ingegneristici, riconosciuti per le elevate competenze tecniche possedute. Per la fine dell’anno si prevede che il sistema produttivo nazionale «assorbirà» quasi 10mila ingegneri elettronici e dell’informazione, 7mila ingegneri industriali, più di 2mila ingegneri civili.

Fonte: indagine Centro studi Cni, 2015.
Fonte: indagine Centro studi Cni, 2015.

Non sprechiamo un capitale ad elevato valore aggiunto. Molti ingegneri, specie tra quelli che operano o intendono operare nel settore privato, prendono la strada dei mercati esteri. Dall’indagine realizzata dal Centro studi Cni >> a settembre, risulta che ben il 5% degli ingegneri che operano nell’industria o nei servizi lavora attualmente all’estero e il 18% ha lavorato all’estero in passato. Nel complesso, il 23% ha esperienza di lavoro oltreconfine, una percentuale elevata che, almeno in parte, testimonia di un ruolo di rilievo e di elevate competenze riconosciute agli ingegneri italiani. Il 31% ha, inoltre, in programma di cercare lavoro all’estero. Le motivazioni dell’emigrazione sono:

  • la ricerca di migliori condizioni remunerative e contrattuali che l’Italia non offre (53%)
  • le possibilità di crescita professionale (45%)
  • gli avanzamenti di carriera per più stringenti criteri meritocratici (30%).

Il lavoro all’estero è considerato un’opportunità di crescita, ma forte è anche la sensazione che per molti ingegneri sia una fuga da un Paese, il nostro, in cui l’eguaglianza delle opportunità manca. Non sprecare i molti talenti che il Paese possiede, in termini di capitale umano, è una sfida da affrontare, anche perché da questo capitale umano dipendono molte delle possibilità di ripresa.

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