Punti di Vista | Angelo Luigi Camillo Ciribini, Dicatam, Università degli Studi di Brescia e Itc Cnr

Digital&Bim Italia 2018: ipotesi e conclusioni di policy making

«Serve una classe dirigente, di decisori politici, finanziari, professionali e imprenditoriali di straordinaria ambizione e di notevole coraggio che ritenga che non si possa alcuna «buona» digitalizzazione se non si introducono prodotti e servizi a elevato valore aggiunto, se non si aumentano anche i margini di remunerazione, oltre che di utilità, che si debba originare solo giochi a somma positiva».
Angelo Luigi Camillo Ciribini | Professore Ordinario, Dicatam, Università degli Studi di Brescia.

Si tenta, con queste annotazioni, di riassumere alcuni esiti della conferenza internazionale e del premio legati a Digital&Bim Italia 2018, enucleandoli per punti salienti, punti che evidenziano una notevole difficoltà nel far evolvere la transizione digitale, ma anche il suo effettivo avvio operativo.

È importante ricordare come ciò che, nel presente punto di vista, è intravisto come «pessimismo» non sia altro che una ragionevole mediazione tra scenari di straordinaria innovatività e condizioni reali assai più problematiche, tra la percezione «accademica» e quella «politica».

Si tratta di proporre ipotesi di policy making in grado di proporre sollecitazioni e stimoli propositivi sulla digitalizzazione a un settore che ha sofferto la più grave crisi strutturale della sua storia, le cui cause sono certo in parte esogene (dalla crisi finanziaria alla complicazione amministrativa), ma anche endogene e non scevre delle conseguenze del periodo aureo precedente al 2008, iniziato nell’ultimo decennio del secolo precedente.

1. La domanda pubblica

Il regime, pur progressivo e privo di un quadro sanzionatorio, relativo all’obbligatorietà della digitalizzazione nei contratti pubblici, non pare aver innescato, almeno su larga scala, specialmente presso gli enti locali, una seria preoccupazione e una sensibile reazione.

I contenuti principali dell’obbligo legislativo sembrano, inoltre, non essere stati compresi appieno dai dirigenti e dai funzionari delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni concedenti.

Il tema, indubbiamente, s’interseca con la mancata, almeno per ora, «qualificazione» di queste ultime e colla rivendicata «semplificazione» amministrativa che non investe ovviamente solo il Codice dei Contratti Pubblici, su cui, però, si è avventato, assieme a osservazioni critiche giustificate, un pregiudizio alimentato da luoghi comuni ormai pressoché invalicabili.

Occorre prendere atto di una profonda «incultura» digitale nelle amministrazioni pubbliche che, in parte, potrà essere risolta con l’avvicendamento generazionale (sia pure con le debite cautele), oppure con remunerazioni incentivanti, ma che dev’essere affrontata con estremo realismo.

Il punto è che tale resistenza generale non è semplicemente una riottosità strumentale, ma verte sui contenuti metodologici, uniti all’ostilità verso i processi aggregativi.

Quale può essere, allora, il fattore scatenante per un’accelerazione dei processi di digitalizzazione? Servono davvero riferimenti operativi comuni? Potrà essere sufficiente una commissione di monitoraggio? A quali dati sensibili essa potrà accedere senza generare conflitti d’interesse?

Per il policy maker sarebbe necessario sgomberare il campo da tante superfetazioni retoriche inerenti alla «semplificazione», per dare vita a un più incisivo disegno di riconfigurazione del funzionamento della amministrazione pubblica, che non agisca solo sul piano del dettato legislativo per dare impulso concreto agli investimenti pubblici, ma che raggiunga tutte le dimensioni (da quelle culturali a quelle iuslavoristiche) che hanno contrassegnato storicamente la dirigenza tecnica e gli apparati funzionariali delle committenze pubbliche.

2. La domanda privata

La committenza privata, strumentale e immobiliare, inizia, nei casi più consapevoli, a utilizzare i metodi e gli strumenti della digitalizzazione all’interno di una prospettiva talora più ampia, quale quella degli Smart District e delle Agile City.

Essa, naturalmente, si dipana in questa direzione per quanto concerne i grandi sviluppatori immobiliari, ma potrebbe divenire rapidamente pervasiva attraverso l’edilizia privata e la semi-automatizzazione delle istruttorie finalizzate al rilascio dei titoli abilitativi.

In quest’ultimo caso, così come per i lavori pubblici infrastrutturali, la dimensione informativa legata ai manufatti si connette a quella geografico territoriale, intersecandosi con gli apparati già esistenti (ad esempio, catastali e conservatoriali).

È chiaro che, nonostante il regime obbligatorio inerente ai contratti pubblici ambisca a essere paradigmatico, la digitalizzazione attinente ai lavori privati possiede un più elevato potenziale trasformativo, o almeno una maggiore dinamicità, in quanto è più agevole e meno soggettiva la quantificazione dei benefici conseguibili, nonché vellica immediatamente i sistemi di convenienza.

La scala dell’operazione immobiliare rimanda evidentemente alla tematica della rigenerazione urbana, impattando sulle reti materiali e immateriali e sulla loro regolazione/interazione.

La permessualistica digitalizzata, inoltre, presenta un notevole potenziale di diffusione capillare, istituendo una situazione di cogenza indiretta dovuta ai tempi di rilascio dei titoli.

Non vi è dubbio che, mentre per lo sviluppo immobiliare l’innesco della digitalizzazione sia consustanziale a logiche economico finanziarie tese a incrementare la redditività delle operazioni, per l’edilizia privata la revisione del testo unico potrebbe giocare un ruolo decisivo.

Per il policy maker sarebbe opportuno agire sulle leve attinenti all’attrattività degli investimenti privati anche nella linea di una «produttività» sociale.

3. L’offerta professionale

Nella prassi corrente, l’adozione dei metodi e degli strumenti digitali (nel senso più avanzato) appare assai modesta in termini quantitativi, cosicché l’evoluzione presenta margini di crescita enormi.

Nelle applicazioni più importanti si assiste spesso a un certo disordine logico nell’articolazione geometrico dimensionale dei modelli informativi, mentre le carenze relative al piano alfa numerico sono piuttosto gravi.

Al contempo, le capacità computazionali sembrano progressivamente aumentare, sia pure sotto forma di ausilî piuttosto che non di coding.

Questa osservazione evoca la difficoltà del professionalismo a oltrepassare la finalizzazione inerente al «documento» piuttosto che non al «dato».

Le tendenze internazionali evidenziano, però, che il dato numerico apre molte declinazioni della progettazione, dai modelli informativi alla componente di simulazione ludica e agli ambienti immersivi.

La centralità del dato provoca, quindi, la dilatazione della concezione progettuale nella sfera digitale in termini di controllo e di verifica delle opzioni.

Questi approcci, che comportano certo logiche multi criteriali e inter disciplinari, spostano, però, il focus dagli elementi ai flussi, per il tramite degli spazi e dei comportamenti.

Oltre a ciò, emerge il fatto che le dimensioni del coordinamento, dell’integrazione e della collaborazione sollevino la questione dell’identità dei ceti progettuali e professionali in relazione a quelli imprenditoriali e alla nozione d’imprenditività, ai confini coll’imprenditorialità, con le conseguenze immaginabili per quanto concerne i ruoli e le responsabilità.

Per il policy maker, sarebbe auspicabile, magari rinunciando a sottolineare una finalità cooperativa alquanto improbabile nel breve termine, innescare gradualmente le condizioni culturali, societarie e contrattuali che rendano credibile l’integrazione inter professionale e coll’imprenditorialità.

4. L’offerta imprenditoriale

Le considerazioni proposte per il versante professionale valgono naturalmente anche per quello imprenditoriale, a cui, tuttavia, si aggiungono ulteriori elementi, legati sia al prodotto (inteso quale singolo componente o come cespite intero) sia alla sue modalità di produzione.

Non si tratta tanto di soffermarsi sull’alternativa tra On Site e Off Site ovvero tra Digital Fabrication e Additive Manufacturing, tra Automation e Robotics, bensì di comprendere quali effetti essi generino sui business model.

I due principali aspetti da considerare riguardano la frammentarietà/ricomposizione degli operatori e l’allungamento/accorciamento della catena di fornitura.

La digitalizzazione non è, infatti, neutra, poiché, nei fatti, vengono a contrapporsi il modello del cambiamento e dell’innovazione di carattere incrementale e quello di natura radicale.

Abbandonando le false dicotomie tra grandi e piccole opere (giacché ormai tutto è «sistemico» e «infrastrutturale», dall’alta velocità ferroviaria alla messa in sicurezza di un’area urbana), si tratta di decidere se favorire la conservazione di un tessuto dimensionale afflitto da nanismo e da conflittualità endemici oppure se concepire una ricomposizione che non impatta solo sull’aggregazione, bensì pure sul riordino del valore nella filiera.

Naturalmente, ciò si deve riferire a una contestuale azione di tutela della concorrenza leale e di ripristino di livelli di redditività adeguati.

Per il policy maker si tratta di proporre una precisa linea, più o meno conservativa, di politica e di strategia industriale che incida nella carne viva delle relazioni tra professionalismo e imprenditorialità e sulle rispettive filiere. In ogni caso, non si valorizza il comparto senza porre stimoli provocatori al settore.

5. La gestione dell’intangibile: una nuova domanda o un’inedita offerta?

«Liberare» il dato vuol dire scatenare il percorso del settore della costruzione e dell’immobiliare, vale a dire dell’ambiente costruito, verso la cognitività.

Molto si è discusso sulla digitalizzazione delle anagrafi immobiliari e sui sistemi di interconnessione (ben oltre l’interoperabilità).

Ciò che si è capito, anzitutto, che sensori e grandi moli di dati, in buona parte da essi generate, non assumono una reale significatività in assenza di un’intelligenza dei fenomeni a cui si riferiscono.

La locuzione «gemello digitale» non ha molto a che fare, infatti, colla replicabilità e la riproducibilità dell’originale fisico e analogico, bensì colla conoscenza e colla simulazione delle sue modalità di funzionamento, che permettono di generare conoscenza e intelligenza.

Questo spiega la ragione per cui la «virtualizzazione» più che con il ciclo di vita e la manutenzione, verta sulle Operations e sull’Occupancy, cioè sulla fruizione dell’edificio e dell’infrastruttura in termini interattivi tra contenitori e contenuti.

Tale relazione si rifà al tema degli ambienti, delle piattaforme e degli ecosistemi digitali, poiché esplicita la necessità di fuoriuscire da un’ottica limitata a singoli applicativi, sia pure d’inclusione di altri applicativi.

Le categorie dello Smart, dell’Agile e del Cognitive implicano la configurazione di ecosistemi numerici, computazionali, in cui agiscono soggetti ibridi che ideano, producono ed erogano entità difficilmente definibili, composte da oggetti e da servizi, che, in ultima analisi, fanno di questi entrambi veicoli di esperienza di vita e di lavoro.

Per il policy maker non è più questione, come per gli altri casi, di supportare la ripresa di una categoria di attori, committenti, professionisti e imprenditori nella loro essenza convenzionale, ma di creare, appunto, ecologie di sistemi competitivi inauditi, da proporre anche ai mercati internazionali.

Conclusioni

Serve una classe dirigente, di decisori politici, finanziari, professionali e imprenditoriali di straordinaria ambizione e di notevole coraggio che ritenga che non si possa alcuna «buona» digitalizzazione se non si introducono prodotti e servizi a elevato valore aggiunto, se non si aumentano anche i margini di remunerazione, oltre che di utilità, che si debba originare solo giochi a somma positiva.

Angelo Luigi Camillo Ciribini, Dicatam, Università degli Studi di Brescia e Itc Cnr

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