Punti di Vista | Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

Equo compenso e mercato, un tema comune per imprese e professionisti

Se i futuri Governo e Parlamento avranno a cuore l’interesse pubblico dovranno provvedere a definire le soglie di remunerazione delle prestazioni, al di sotto delle quali deve scattare il concetto di “anomalia dell’offerta” e di conseguenza di nullità delle pattuizioni anche nel settore privato, così come è del resto da tempo per l’appalto di opere.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

Dieci anni di crisi e di concorrenza senza regole, hanno falcidiato il settore delle costruzioni. Gli enormi sacrifici imposti ai singoli operatori e alle strutture organizzative non hanno tuttavia determinato una selezione qualitativa verso l’alto, proprio per l’insipienza di chi non ha saputo o voluto fissare regole, che favorissero, oltre all’economicità di prestazioni e interventi, il perseguimento dell’interesse pubblico alla crescita qualitativa dei prodotti.

La Legge di Bilancio 2018 (27.12. 2017, n. 205, pubblicata in G.U. n. 302 il 29.12. 2017) ha ora reso effettivo l’istituto del  cosiddetto equo compenso che, per le professioni tecniche, vedrà così l’applicazione delle tabelle del D.M. Giustizia e Infrastrutture, del 17. 06. 2016 (ex D.M. 143/143), precedentemente riservate al calcolo degli onorari per gli appalti pubblici.

Questo provvedimento costituisce sicuramente un’importante inversione di tendenza e fa rinascere la speranza di una risalita, verso una rinnovata considerazione della necessità d’incrementare la qualità dell’architettura e delle trasformazioni del territorio.

Tuttavia c’è qualcosa di surreale nella stessa necessità di dover procedere alla definizione di equità del compenso, in un settore così delicato. Il principio secondo il quale ogni prestazione debba essere adeguatamente retribuita, corrisponde al senso comune e a una normalità, che dovrebbe ritrovarsi implicita in uno stato ben amministrato, mentre la quantificazione di quanto sia da considerarsi effettivamente “equo” dovrebbe sorgere dalla logica e dall’equilibrio del mercato.

Bisogna però aggiungere che il mercato non è di per sé né giusto, né equo, quant’anche regolato dalla legge della domanda e dell’offerta, legge che ovviamente s’è svelata cieca e spietata, nel rispecchiare lo squilibrio delle forze in campo, i cui interessi risultano contrapposti.

Certamente il mercato può avere una funzione salutare quando è ben regolato e quando non è perturbato da situazioni dirigistiche o d’eccezionale criticità congiunturale.

Invece il ”mercato” delle professioni del territorio in Italia è stato fortemente perturbato da provvedimenti, che nel passato hanno trasformato la professione di architetto, necessariamente elitaria e riservata alle occasioni di particolare importanza, in professione di massa.

A ciò si è assommato il fatto noto, che fa si che in Italia, il ruolo di progettista d’architettura, che in tutto il mondo è riservato ai soli architetti, è invece aperto anche agli ingegneri  e ai geometri.

Tutti ricordano stupiti e increduli il grafico presentato nell’ambito della ricerca “Monditalia” alla Biennale di architettura 2014, dal quale risultava che in Italia vi erano un architetto ogni 414 abitanti, a confronto dei 789 della Germania, dei 2.227 della Francia e dei 40.000 (!) della Cina.

È evidente che la situazione italiana costituisce un’anomalia e che a quest’anomalia non è possibile porre rimedio con qualche provvedimento legislativo: in ogni caso, se con il Codice dei Contratti qualche effetto potrà riscontrarsi nel settore pubblico, in quello privato prevarrà sempre la legge della domanda e dell’offerta, che conduce la gran parte degli architetti, impoveriti e proletarizzati, a offrire prestazioni sotto costo, pur di potere in qualche modo lavorare.

Ovviamente l’interesse pubblico di conservare l’ambiente e il paesaggio, di risparmiare il territorio, di costruire opere sicure e di elevate prestazioni, richiede al contrario che il progetto sia una prestazione completa e approfondita e ciò non può avvenire al di sotto dei costi necessari per produrla.

Se i futuri Governo e Parlamento avranno a cuore l’interesse pubblico, dovranno quindi provvedere a definire le soglie di remunerazione delle prestazioni, al di sotto delle quali deve scattare il concetto di “anomalia dell’offerta” e di conseguenza di nullità delle pattuizioni anche nel settore privato, così come è del resto da tempo per l’appalto di opere.

Un tale accorgimento si rifletterà in modo favorevole anche sui dipendenti e sui collaboratori degli studi e delle imprese, che dalle presentazioni sotto costo non possono ricevere che sotto-salari.

In occasione delle elezioni politiche è quindi essenziale che tutte le componenti del mondo delle attività di trasformazione del territorio: Consigli Nazionali, Inarcassa e sua Fondazione, Associazioni sindacali delle professioni, si attivino, congiuntamente alle associazioni degli imprenditori, per informare i candidati del fatto che le giuste retribuzioni delle prestazioni professionali, come del lavoro dipendente e delle prestazioni d’impresa, sono fattori fondativi e di salvaguardia della democrazia e della giustizia sociale.

Così tutte assieme, devono  chiedere con forza e compattezza, che Governo e Parlamento s’impegnino ad apportare fattori correttivi in questo senso, anche alle norme che regolano gli incarichi professionali conferiti da soggetti privati.

Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

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