Inu | Designazione Capitale europea della cultura 2019

Inu: Matera Capitale europea della cultura è un successo della migliore tradizione urbanistica

La designazione della città della Basilicata a Capitale europea della cultura 2019 rappresenta il coronamento di 60 anni di attenzione della cultura urbanistica nazionale sulla città e sull’intero Mezzogiorno d’Italia. Attenzione rappresentata dall’opera significativa degli urbanisti contemporanei De Carlo, Piccinato, Quaroni, Aymonino e dalle lungimiranti azioni di Adriano Olivetti, allora al vertice dell’Inu.

Matera sarà la Capitale europea della cultura 2019. Tra le altre candidate finaliste (Ravenna, Siena, Perugia, Cagliari e Lecce) era quella che aveva più possibilità di riuscita e così è stato.

Matera - Sasso Barisano
Matera – Sasso Barisano

La città che un tempo è stata definita «vergogna nazionale» dopo la denuncia del «Cristo si è fermato a Eboli» di Carlo Levi, viene assunta nell’immediato secondo dopoguerra a città-emblema del sottosviluppo del Mezzogiorno d’Italia ed accompagnata, con l’apporto sostanziale di Adriano Olivetti (allora presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica >>), sulla strada del riscatto economico-sociale, del quale è parte integrante una decisa «modernizzazione» urbanistica, con il trasferimento degli abitanti dai suoi «impossibili» Rioni Sassi in moderni borghi e quartieri, disegnati dalle energie migliori dell’urbanistica e dell’architettura contemporanee (da Piccinato a Quaroni, da Aymonino a De Carlo, …): un’operazione di rigenerazione socio-economico ed urbanistica ancora di estrema attualità e modernità, non completamente realizzata.

La situazione del Paese allora… Era un’Italia, quella, che iniziava a guardare al boom economico, dopo le miserie di una guerra mondiale persa, dopo aver cercato di sanare le sue lacerazioni (sociali, politiche, strutturali …). Era un Paese caratterizzato dai treni della speranza, gli anni del grande esodo, quando milioni di italiani si trasferirono dal Mezzogiorno in alta Italia (in particolare nel cosiddetto triangolo industriale: Milano, Torino, Genova) oppure dal Nord-Est (soprattutto dal Veneto) verso la Lombardia e il Piemonte o ancora emigrarono nei Paesi esteri. Erano anni in cui milioni di italiani lasciavano la loro terra d’origine, in cui i paesi del Sud Italia diventavano degli ospizi per anziani, per giovanissimi, per spose più o meno abbandonate. Era un’Italia che guardava all’America (e lo faceva a ragione) raggiungendo uno sviluppo, quello degli anni del boom economico, che ha permesso all’Italia di trasformarsi da Paese in via di sviluppo, qual era del resto in quegli anni, in una delle sette maggiori potenze industriali nel mondo.Treni della speranza

Programmazione. Spesso si sente criticare quel periodo storico ed economico considerato «conservatore», eppure fu uno straordinario momento di sviluppo e di ideazione.
Reputo sia parzialmente esatto rimarcare di continuo la mancata attuazione dello Schema per lo sviluppo economico ideato dall’allora ministro del Bilancio Ezio Vanoni, anche perché i mezzi concreti di intervento e di coordinamento dell’azione statale non vennero mai sviluppati in maniera significativa. Alle tradizionali carenze a cui era soggetta l’Italia, nel nostro caso il settore edilizio, rese drammatiche dalle distruzioni della guerra, si aggiunsero nuovi problemi legati al naturale degrado degli edifici, il forte incremento dell’urbanesimo, l’aumento della popolazione.
Non va tralasciato poi il dato emerso dal censimento del 1951, insieme ai risultati dell’Indagine parlamentare sulla miseria, dati impressionanti sulla situazione generale del Paese e nello specifico sulle condizioni della popolazione. Di fronte a questa situazione, nel finire del ’54, viene formulato il Piano Vanoni con l’obiettivo, da raggiungere in dieci anni, della realizzazione di 4 milioni di nuovi posti di lavoro tramite una politica di sviluppo basata su investimenti propulsivi influenzati dall’azione dello Stato.

I pro e i contro. In questo modo lo Stato si è fatto imprenditore nei settori trainanti dell’economia: energia elettrica, gas, opere pubbliche, scuole, strade, ospedali, sistemi fluviali, edilizia residenziale e popolare. Spinta nell’uscire dallo stato di arretratezza preindustriale, l’Italia ha così imboccato quel processo che le ha imposto un nuovo assetto territoriale ed urbanistico. Purtroppo, si è sviluppata una politica dell’espansione delle città nella quasi totale assenza di piani regolatori, i fenomeni speculativi hanno preso corpo in questo periodo ma allo stesso tempo, allora, è andata formandosi una nuova concezione della città. Concezione che avrà i suoi sbocchi realizzativi negli anni a seguire.Matera

Recuperare l’uso urbano. Un secondo momento significativo per la città di Matera, momento contemporaneo, si è giocato negli anni ’70 del secolo scorso quando, svuotati completamente i Rioni Sassi dei loro abitanti e in presenza dei primi crolli per abbandono e degrado, la città, anche questa volta accompagnata dalle elaborazioni più avanzate della cultura urbanistica (la Carta di Gubbio redatta dall’Istituto nazionale di urbanistica nel 1960), sceglie, attraverso un concorso internazionale, di rivitalizzare, recuperare all’uso «urbano» completo (residenze, servizi, attività culturali, accoglienza ed ospitalità), l’antico tessuto urbanistico dei Sassi. Abbandonando il tentativo, allora pregnante, di farne un gigantesco ma inanimato museo a cielo aperto della cosiddetta «civiltà contadina». Scelta operata sulla base della considerazione che «una città viva, abitata ed usata è il migliore museo di se stessa» (secondo Tommaso Giura Longo).

Patrimonio Unesco. Sulla base di questo profetico assunto, la comunità materana (e non solo) è tornata ad abitare e ad investire nei suoi Sassi (divenuti nel frattempo Patrimonio Unesco), mettendo in moto un complesso ed entusiasmante processo di rigenerazione urbana che progressivamente ha investito l’intera città, l’intera regione.
Ecco perché il riconoscimento della giuria internazionale presieduta da Steve Green parte da lontano. Riconoscimento che rappresenta un’ulteriore tappa, un ulteriore passaggio di questa incredibile avventura di una città del profondo sud che ha fatto del suo passato (della sua identità, della sua cultura rigenerata) la chiave per costruire il suo futuro: un futuro «open», come recita il programma di candidatura, aperto a traguardi sempre più ambiziosi e collettivi di una cultura che si fa città, economia coinvolgendo interi territori e comunità.

Appuntamento a ottobre 2015. L’Inu, che con le sue idee, le azioni dei suoi protagonisti, ha sempre sostenuto il cammino di riscatto di questa città, plaude per questo motivo al riconoscimento ed auspica che esso divenga un forte segnale di cambiamento di verso dell’intero Mezzogiorno d’Italia, giocato sulla valorizzazione, in chiave futura, del suo immenso patrimonio culturale, sociale ed urbanistico. L’Inu farà la sua parte: tra un anno, a ottobre del 2015, organizzerà a Matera la settima edizione della Rassegna urbanistica nazionale dopo l’apprezzamento e il successo riscossi dalla precedente edizione, che si è svolta sempre a Matera nel 2010, ma l’Inu farà la sua parte anche attraverso il sostegno culturale e di idee al cammino di Matera verso e oltre il 2019.

Rebecca Alberti

Nella cinematografia. La cinematografia ci ha dato significative rappresentazioni su Matera: su tutte «Cristo si è fermato ad Eboli», dallo scritto di Carlo Levi, romanzo dei suoi anni di confino in Basilicata durante il ventennio fascista (il protagonista è interpretato da Gian Maria Volonté), e uno dei capolavori di Mel Gibson, «La passione di Cristo», anche se credo che lo «spirito di Matera», la sua visione urbanistica nell’essenza della quotidianità, emerga soprattutto in una commedia umoristica del 1962 diretta da Luigi Zampa. Si tratta del film «Gli anni ruggenti» (di cui proponiamo un’immagine), ambientato nel 1937 e interpretato da Nino Manfredi e Gino Cervi, film che vinse la Vela d’argento al Festival di Locarno.

Una scena tratta dal film «Gli anni ruggenti» di Luigi Zampa
Una scena tratta dal film «Gli anni ruggenti» di Luigi Zampa

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