Punti di Vista | Arch. Marco Brianzoli, Milano

La centralità del ruolo dell’architetto nella rigenerazione del patrimonio edilizio italiano: potenzialità, opportunità e responsabilità

Per l’arch. Brianzoli occorre consolidare e reindirizzare i saperi verso una disciplina che sappia fare del costruito, della sua indagine, della sua lettura e della sua critica interpretazione il punto di partenza, non solo materiale, di un percorso trasformativo che opera direttamente sul costruito e considera il patrimonio edilizio non più quale condizione contestuale per lo sviluppo di nuovi insediamenti, ma come materia prima del processo modificativo, parte fisicamente ed intimamente coinvolta.
Arch. Marco Brianzoli
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Un approccio pragmatico che consideri, nel suo insieme, la questione del recupero del patrimonio edilizio italiano e il ruolo che, al suo interno, deve assumersi la progettazione architettonica non può non partire dall’analisi dei più recenti dati e delle stime che il Cresme, Centro ricerche economiche, sociali e di mercato per l’edilizia e il territorio, ha pubblicato in merito al tema della riqualificazione nel suo XXII rapporto.
Dopo otto anni consecutivi di drastica discesa, i dati e le stime pubblicate sembrano prospettare per il settore positivi margini di crescita e paiono puntare in maniera decisa sulle potenzialità insite nell’ambito del recupero, individuandolo quale unica area in effettivo rilancio all’interno di un comparto che pare non riuscire ad emergere stabilmente dalla crisi profonda in cui da tempo ristagna. Con il 3,5 % di crescita prevista per l’anno in corso e le potenzialità proprie nel mercato della riqualificazione, attualmente valutato in circa il 70% dell’intero settore edilizio, sembrano dunque esserci, finalmente, segnali confortanti per gli operatori e per i professionisti coinvolti.

Più criticità. Le potenzialità sono quelle evidenziate nei dati relativi allo stato di degrado di un patrimonio, complessivamente valutato in circa 11 milioni di immobili, che, ad oggi, presenta condizioni di conservazione classificabili come «mediocri» o «pessime» per quasi un quarto dello «stock» edilizio: dunque 2,6 milioni di edifici che mostrano evidenti necessità di interventi di riqualificazione, legati, in prima istanza, alla loro vetustà. Condizioni di degrado cui si accompagnano le criticità legate alla vulnerabilità sismica di un patrimonio abitativo che, solo a partire dalla metà degli anni Settanta e soltanto nel 39% circa dell’intero costruito residenziale (pari al 45 % degli alloggi), è stato almeno regolamentato dalle specifiche normative in materia (legge 64/1974) (rapporto 2012 Ance-Cresme). Condizioni che comportano, per il 35% delle abitazioni esistenti presenti all’interno delle sole zone ad elevato rischio sismico, un livello medio o alto di vulnerabilità.
Differenti paiono invece essere le potenzialità e le stime di previsione per gli investimenti in nuove costruzioni che, ancora per il 2015 e nonostante gli sforzi operati dalle pubbliche amministrazioni, stimano una decrescita del 3,4% sull’anno precedente (2014), già fortemente negativo. Ennesima flessione generata da un mercato residenziale nuovamente in calo (-9,5%) che, oltre all’andamento generale dell’economia, ancora soffre di quella speculazione perpetrata nel passato decennio, che ha lasciato un residuo di invenduto capace di coprire il fabbisogno ancora per alcuni anni e di generare quella stagnazione che l’edilizia di nuova edificazione da tempo sta subendo.Ristrutturazione

Strumenti di pianificazione urbana per il riuso e la rifunzionalizzazione. Ai dati riportati si affiancano, indirizzando il settore, le istanze promosse dagli strumenti di pianificazione territoriale ed urbana, recentemente rinnovati, che paiono incentivare le logiche di salvaguardia dell’ambiente (antropizzato e non) e le pratiche del riuso, ampliandone i fronti ed incentrando i propri contenuti verso la semplificazione, anche tecnico-burocratica, e l’incentivazione delle procedure di sviluppo operate attraverso interventi di riqualificazione del patrimonio esistente, disincentivando, parallelamente, alcuni dei processi di espansione urbana ed erosione del territorio condotti spesso a scapito delle risorse, ambientali e territoriali.
All’interno di un contesto in fase di sostanziale ridefinizione, quale quello delineatosi nei termini sopra specificati, occorre dunque riorientare lo sguardo e la lettura degli operatori e dei professionisti interessati, focalizzando l’attenzione sulle istanze poste dalle congiunture, concentrando gli investimenti dei capitali, anche intellettuali, su logiche indirizzate alle pratiche del riuso e della rifunzionalizzazione di quanto il mercato immobiliare è già oggi in grado di fornirci ed operando un cambiamento strutturale nell’approccio, nell’analisi e nello sviluppo del tema. Un cambiamento che, stando alle attuali condizioni di mercato, sembra essere l’unica strada percorribile per la sopravvivenza della professione di architetto e, con essa, del patrimonio edilizio, anche storico, di cui l’Italia ha la fortuna di avvalersi.
Occorre dunque consolidare e reindirizzare i saperi verso una disciplina che sappia fare del costruito, della sua indagine, della sua lettura e della sua critica interpretazione il punto di partenza, non solo materiale, di un percorso trasformativo che opera direttamente sul costruito e considera il patrimonio edilizio non più quale condizione contestuale per lo sviluppo di nuovi insediamenti, ma come materia prima del processo modificativo, parte fisicamente ed intimamente coinvolta.

Centralità dell’apporto compositivo. Risulta però fondamentale operare i procedimenti di trasformazione focalizzando l’obiettivo non solo in termini tecnici, ma confermando, anche metodologicamente, la centralità dell’apporto compositivo all’interno dell’operato, soprattutto quando il processo stesso permette o impone trasformazioni o adeguamenti di carattere architettonico, oltre che meramente tecnico-costruttivi: trasformazioni tali da coinvolgere aspetti programmatico-funzionali e formali, che comportano riconfigurazioni parziali o complessive, anche operate mediante ampliamenti che ne alterano l’originario assetto compositivo.
Trasformazioni che, pur fondandosi su solidi principi di continuità, nel rispetto e nella salvaguardia del nostro retaggio storico e architettonico più o meno recente, sappiano rifuggire facili logiche mimetiche, affermare l’autonomia della matrice contemporanea dell’intervento ed esprimere la loro distanza (tecnica, programmatica, linguistica e storica) dal costruito e dall’esistente; trasformazioni in grado di instaurare un proficuo confronto tra identità differenti, tra loro dialoganti, che sull’economia delle componenti espressive fondino il loro carattere distintivo e che, attraverso principi di sobrietà, regolino il rapporto con l’esistente affinché, nel rispetto dei reciproci contenuti, anche l’architettura contemporanea sia in grado di elevarsi al ruolo di coprotagonista.

Quadro istruttorio più completo. Intervenire sull’esistente significa operare su un sistema complesso, di per sé autonomo e compiuto ma evidentemente carente o non più rispondente in alcuni dei suoi aspetti costitutivi; le logiche insite nello specifico funzionamento (strutturale/impiantistico, distributivo e volumetrico) dei manufatti necessitano quindi di approfondimenti, analisi e diagnosi di natura tecnica, funzionale ed anche compositiva, che permettano la definizione di un quadro istruttorio quanto più completo e dettagliato, alla base di una valida e sostenibile operazione di riprogettazione.Ristrutturazione

La lettura critica della sedimentazione, anche storica, insita nell’evolversi del manufatto diventa anch’essa strumento essenziale di individuazione e di selezione degli elementi che, nel corso del tempo, hanno formato il carattere proprio del costruito o ne hanno celato o alterato il valore intrinseco; metterne in risalto le componenti storico-architettoniche e spaziali di maggior valore e compiutezza, anche attraverso un’attenta e responsabile selezione dei contenuti e mediante mirati interventi di «pulizia» (operati quindi anche «per via di levare»), diventa compito del professionista e quotidiana materia di progetto.

Recupero come miglioramento. Recuperare significa ripensare le architetture, ridefinirne gli spazi conformandoli alle nuove condizioni d’uso e migliorarne la solidità, l’efficienza e la salubrità attraverso l’utilizzo di tecniche appropriate e materiali quanto più possibile avanzati e compatibili con le attuali istanze di sostenibilità; competenze e conoscenze di carattere impiantistico, tecnico, tecnologico, storico e compositivo, oltre a capacità di sintesi e controllo, diventano strumenti indispensabili per poter rispondere, nell’iter progettuale e, soprattutto, in fase esecutiva, alle problematiche che la cantierizzazione di opere di recupero quotidianamente pone per costruire nel costruito e sul costruito.
Recuperare vuol dire migliorare la qualità ed aumentare il valore del manufatto, qualsiasi sia la sua storia e la sua epoca di appartenenza, e non significa unicamente conservare o ricostruire, ma anche ritematizzare, scegliere ed operare affinché le nuove ragioni, pratiche, programmatiche, strutturali e formali, riportino linfa e vita all’architettura attraverso una parziale o una completa ridefinizione delle sue componenti, così da rispondere al meglio alle mutate esigenze dell’abitare, nelle differenti forme in cui questo può declinarsi.

Arch. Marco Brianzoli, Milano
mb@marcobrianzoliarchitetto.it

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