Costruire in laterizio | Teatro Galli, Rimini

La ricostruzione del Teatro Galli di Rimini: va in scena il laterizio

Attraverso l’analisi dei laterizi del Teatro Galli di Rimini, il contributo affronta il problema della ricostruzione e il suo riverbero sulle questioni teoriche, materiali, tecniche, tecnologiche, cantieristiche proprie del restauro architettonico.

(CIL 174) Al confine occidentale delle mura urbane di Rimini, in un’area densa di storia, sorge il Teatro comunale Amintore Galli, sul quale oggi si apre, o forse si chiude, il sipario di una vicenda controversa e dibattuta da tempo.

Prospetto posteriore: dopo l’edificazione [6, p. 38]; dopo i bombardamenti del 1943 [in: Biblioteca Gambalunga di Rimini,
inv. Afp003430]; durante la ricostruzione [foto degli autori, 2017].
A conferma, la continua querelle che lo vede protagonista sin dal momento della sua concezione. Quando nel 1838 la struttura teatrale lignea realizzata nel Palazzo medievale dell’Arengo – già attiva in pianta stabile dalla metà del Seicento – viene dichiarata insufficiente, inadeguata e pericolosa, Rimini matura l’idea di costruire un edificio architettonicamente e funzionalmente autonomo [1, pp. 158-160].

Le prime voci del dibattito riguardano la sua ubicazione nella città. Le tre possibili collocazioni nel tessuto urbano, difese da altrettante fazioni di cittadini, presuppongono tre tipologie di teatro distinte per forma, mole e impiego:

  • piccolo, poco costoso, adatto a modesti spettacoli lirici e di prosa il manufatto da realizzare nell’area della Gomma, lungo Corso d’Augusto;
  • di medie dimensioni, decoroso, idoneo a rappresentazioni di più alto rango sociale quello ipotizzato per Piazza del Corso (oggi Piazza Malatesta);
  • imponente,prestigioso al pari dei monumenti della città e dei grandi teatri della regione quello pensato per Piazza della Fontana (oggi Piazza Cavour).
Pianta del primo piano. Incisione di G.
Della Longa su disegno di L. Poletti
[2, p. 269].

La scelta finale è sofferta ma strategica

Il nuovo teatro è eretto sul lato corto dell’allora Piazza della Fontana tra la vecchia cattedrale di Santa Colomba, il Castello malatestiano di Sigismondo e i palazzi municipali e si imposta parzialmente sui resti della fabbrica seicentesca dei Forni [2, pp. 269-274].  A realizzare l’opera è chiamato il modenese Luigi Poletti, figura di rilievo nell’ambito della progettazione di strutture teatrali. Pacifica la scelta del progettista, meno quella del progetto: l’iter di definizione del nuovo complesso – avviato nel 1841 e inaugurato nel 1857 con l’Aroldo di Verdi composto ad hoc – non è esente da modifiche e, a più riprese, il teatro si accorcia e si abbassa per rispondere alla carenza di finanziamenti necessaria alla realizzazione delle prime ipotesi.

Non meno discussa l’attribuzione del nome. Definito in prima istanza comunale, il teatro viene dedicato nel 1859 a Vittorio Emanuele II, da poco Re d’Italia. La forma abbreviata del nome, comunemente in uso, si fa responsabile dello scambio di persona con il nipote Vittorio Emanuele III e induce nel 1947 la giunta, per errore, a modificarne l’intestazione di presunta memoria fascista dedicandolo, questa volta, al compositore locale Amintore Galli [3, pp. 13-17].

Sovradimensionato e troppo costoso, già a fine Ottocento è oggetto di una proposta – mai attuata – di sostituzione con una nuova struttura meglio commisurata ai bisogni della città. Le tensioni continuano durante il Secondo conflitto mondiale, quando la sopravvivenza del teatro viene messa a dura prova dai bombardamenti aerei del 1943; distruzione drammatica alla quale si aggiunge lo spoglio deliberato di materiali da costruzione che trasforma il manufatto, nell’immediato dopoguerra, in cava a cielo aperto.

Rimini sembra allora spaccarsi a metà: c’è chi rivuole il teatro e c’è chi ne condanna la ricostruzione in quanto simbolo di un’élite borghese contaminata dai fasti del regime. Tra umori e malumori il problema viene messo a tacere, ma per poco.

Nel 1955, l’amministrazione comunale bandisce un primo concorso finalizzato alla ricostruzione del volume perduto, da compiersi nel rispetto del ritmo architettonico e dei materiali della preesistenza. I mancati finanziamenti statali, riservati di norma alle opere danneggiate dalla guerra, finiscono però per complicare le dinamiche sottese all’accaduto, impedendo il concretizzarsi dell’operazione [4, pp. 160-162]. Non pago, nel 1985 il Comune bandisce un secondo concorso che, a differenza del precedente, sembra concedere ai partecipanti molta più libertà di progettazione. E così è. Malgrado tutto, ancora una volta, il progetto vincitore trova gloria solo sulla carta [3, pp. 59-67].

Campionature delle murature in laterizio: a) edificio ‘dei Forni’; b) strutture perimetrali realizzate dal Poletti; c) colonne del fronte di ingresso realizzate dal Poletti; d) strutture perimetrali restaurate tra 1967-‘73; d) strutture perimetrali di nuova
realizzazione 2014-’17 [foto degli autori, 2017].
La questione sembra infatti essersi spostata dal ‘se’ al ‘come’ ricostruire. Il fantasma del teatro polettiano comincia ad alleggiare sui ruderi del manufatto, finendo per condizionarne in toto la rinascita. Da allora, il tentativo emblematico di far rivivere l’antica macchina teatrale – nella sua fisicità e nei suoi significati – pare legarsi alla volontà di ricrearne la copia esatta.

La storia del teatro tra corsi e ricorsi di laterizi

Per affrontare la ricostruzione del teatro, contenendo nei limiti del possibile un dibattito che dura ormai da più di settant’anni, si è ritenuto dapprima necessario leggere la fabbrica esistente nella sua consistenza attuale. L’attenzione si sposta dunque là dove, a tutti gli effetti, va in scena il laterizio.

Il Galli è infatti un incredibile palinsesto di laterizi che raccontano buona parte della storia costruttiva non solo del teatro, ma di un importante frammento di città. Diversi per composizione, forma, dimensione, processo di produzione, modalità di posa in opera, funzione e finitura, sono proprio i laterizi a documentare i tanti punti e a capo del complesso architettonico.

Primi, in ordine cronologico, i laterizi delle preesistenze più antiche, ancora conservati sotto la platea, il golfo mistico, il palcoscenico e i vani laterali prospicienti Piazza Malatesta e via Poletti. Si tratta di reperti di età romana e medievale che appartengono alle testimonianze archeologiche riportate alla luce durante i recenti scavi diretti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e presto fruibili alla città con una vista privilegiata dall’interno del teatro:

  • due domus imperiali,
  • un edificio absidato paleocristiano,
  • un sepolcreto urbano,
  • un quartiere medievale [5].

Le nuove murature in costruzione [foto degli autori, 2017].
Seguono i laterizi dell’Annona Frumentaria, l’edificio cosiddetto ‘dei Forni’ costruito nel 1618 come granaio pubblico e utilizzato successivamente come caserma [6, pp. 8-12]. Questi, a differenza dei precedenti, stabiliscono una relazione di tipo fisico con il teatro ottocentesco, essendo parte integrante del progetto polettiano che, nell’economia generale del cantiere tradizionale, ne recupera materialità e monumentalità (11). Se ne ha memoria nel muro interno del vestibolo di ingresso a cinque arcate, affacciato su Piazza Cavour: laterizi fatti a mano, posati alla gotica, legati con malta di calce a formare murature portanti facciavista.

In sequenza temporale, si hanno poi i laterizi del Poletti, oggi conservati in parte nelle opere murarie del perimetro esterno e ben visibili lungo i fianchi del volume posteriore. Previste da progetto in pietra del monte di Pesaro, queste sono di fatto realizzate in laterizio per ragioni di «convenienza e solidità» e vedono l’impiego di mattoni nuovi, apparecchiati alla gotica, allettati con malta «di calce e sabbia colla proporzione di uno a due» e finiti mediante «imbiancatura […] a calce e glutine di colla» previa regolare «stuccatura e verniciatura ad olio» [4, pp. 84, 88, 130].

Nel raccordo tra i due corpi del teatro, tali murature mostrano profonde lesioni imputabili allo scoppio delle bombe – l’edificio fu colpito sopra il palcoscenico e perse il tetto, il soffitto, il prospetto posteriore, la balconata del loggione, alcuni palchi della cavea nonché tutti i camerini [4, p. 158] (fig.2b) – e ai conseguenti assestamenti differenziali del terreno causati dalla perdita improvvisa di carico [6, p. 79].

Della medesima fase storica sono inoltre i laterizi dei fusti delle colonne in ordine gigante del fronte principale, qui appositamente sagomati e posati quasi senza giunto. Il laterizio del Poletti si fa testimone di una duplice ricerca formale e tecnica, tuttora percepibile, tesa al raggiungimento di una sintassi legata al purismo accademico e governata da un sapere costruttivo proprio soprattutto della tradizione romana.

La stratigrafia dell’involucro perimetrale in costruzione: parete interna in blocchi di laterizio, pannello isolante termico,
paramento esterno in mattoni faccia a vista [foto degli autori, 2017].
Visibilmente differenti appaiono, per contro, i laterizi delle murature esterne del volume anteriore in quanto oggetto dei lavori promossi dal Comune tra il 1967 e il 1973 nell’intento di recuperare la parte di teatro scampata fortunosamente ai bombardamenti.
Seppure realizzate nel corso del cantiere polettiano, e pertanto analoghe alle precedenti per caratteristiche materiali e tessitura, queste ultime mostrano i segni del recente intervento di «restauro integrale» condotto durante una discutibile operazione che ha finito per «distruggere in gran parte ab imo la parte non distrutta dalla guerra» [4, pp. 163-164].

Mancano invece all’appello i laterizi impiegati nella costruzione del padiglione espositivo eretto nel 1959 in corrispondenza del vuoto lasciato dalla guerra e oggi demolito in ossequio al programma di ricostruzione [4, p. 163]. Lo stesso dicasi per tutti quei laterizi destinati alle opere murarie rimaste su carta:

  • quelle progettate da Mario Ravegnani Morosini, vincitore del concorso del 1955 che propose come richiesto da bando il completamento della fabbrica attraverso «l’impiego di materiali identici a quelli attualmente in opera» [3, pp. 53-54];
  • quelle studiate da Adolfo Natalini, vincitore del concorso del 1985 che in chiave moderna raddoppiò le strutture superstiti del teatro come un tempo fece «l’Alberti chiamato a trasformare S. Francesco in Tempio Malatestiano» [2, p. 31];
  • quelle fedelmente ridisegnate nel 2004, sulla scorta delle tavole del Poletti, dal Soprintendente Elio Garzillo con la consulenza – tra gli altri – di Pier Luigi Cervellati nell’ambito del «progetto di restauro e di restituzione integrale, filologica e tipologica della sala e del palcoscenico».

Chiudono infine questa rapidissima ‘esegesi del mattone’, i laterizi delle murature attualmente in corso di realizzazione secondo le indicazioni fornite dall’Ufficio Tecnico del Comune che ha provveduto a dettagliare e modificare il già citato progetto del 2004. Sono le nuove strutture verticali che, idealmente, ripropongono l’immagine polettiana sanando (forse?) una ferita aperta da più di mezzo secolo. Sì, idealmente.

Il mattone posto in opera nelle chiusure esterne rinuncia infatti alla storica funzione portante, per diventare rivesti- mento del moderno telaio in calcestruzzo armato. Dall’interno, la stratigrafia della parete perimetrale risulta pertanto la seguente: intonaco a base di gesso, isolante acustico fissato su apposite guide metalliche, blocchi laterizi, isolante termico, mattoni pieni a una testa.

Il laterizio al quale è affidato il compito di ricomporre l’immagine del teatro ottocentesco risponde a specifiche intenzioni progettuali: è realizzato secondo un processo industriale che riproduce la lavorazione manuale, prevede l’impiego di due tipi di argille, una più chiara e una più scura, garanti di una leggera variazione cromatica, appena percepibile ad un’osservazione ravvicinata, e riproduce l’abaco dei pezzi originari impiegati dal Poletti, opportunamente campionati in cantiere [7; 8]. L’attenzione riposta nella produzione del mattone di finitura non sembrerebbe, però, la stessa riservata alla dichiarazione del suo ruolo all’interno della fabbrica. Il rivestimento esterno è infatti senza ombra di dubbio ingannevole.

Il prototipo realizzato a piè d’opera denuncia la natura intrinseca del paramento a una testa posato alla gotica, o meglio, alla ‘falsa gotica’: la tradizionale alternanza del mattone costa-testa viene qui sostituita da un nuovo ritmo costa-mezza testa che sembra voler rispettare prioritariamente gli spessori assegnati al tamponamento-rivestimento, recuperando in termini di sola superficie la tessitura dell’esistente fondata, lei sì, sulla logica della muratura portante. L’intera operazione è dunque riconducibile al ripristino di una forma e della sua pelle. Sulla scena resta dunque protagonista il laterizio, ma un altro laterizio.

Il palinsesto: murature a confronto [foto degli autori, 2017].

La ricostruzione tra materia e rappresentazione

La ricostruzione del Teatro Galli porta dunque con sé tutti gli interrogativi e le incertezze che inevitabilmente fanno seguito a una distruzione traumatica, inaspettata come quella dovuta alla guerra.

La stessa città che all’indomani del conflitto si era opposta (invano) all’anastilosi del Tempio Malatestiano e aveva accettato la decisione ministeriale di non porre come prioritaria la riparazione del teatro in quanto simbolo di quella classe sociale da cui voleva prendere le distanze, ne acclama oggi a gran voce una ricostruzione in grado di far rivivere l’opera polettiana ‘com’era dov’era’. Seppur apparentemente contraddittoria la richiesta non stupisce. Il teatro ha infatti assunto un significato completamente diverso; ferita aperta nel cuore della città chiede di essere ricucita, caricata di nuove aspirazioni in grado di elevare la cultura, la melomania a ruolo comprimario per la capitale del divertimento estivo mordi e fuggi.

La riproposizione di un’immagine perduta assume in questo processo una veste rassicurante, risarcisce nostalgicamente una lacuna materiale, ma soprattutto affettiva e di significato, allo stesso tempo però dichiara una mancata fiducia nella contemporaneità, quasi come a voler dare adito al titolo di una vecchia commedia, ormai divenuto adagio popolare: Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel trova.

Ma se il voler ricorrere al precetto coniato per il campanile di San Marco a Venezia appare un comprensibile tentativo di riportare indietro le lancette dell’orologio, impossibile risulta dare a questa aspirazione un fondamento scientifico. La lettura delle compagini murarie e delle relative stratigrafie non lascia spazio a dubbi, quello restituito alla città sarà, inevitabilmente, un teatro nuovo, una macchina teatrale figlia del XXI secolo, dove le murature portanti, le strutture in legno, gli stucchi in gesso lasceranno spazio al telaio in calcestruzzo armato tamponato e rivestito di laterizio, al legno lamellare, alla jesmonite.

La sala: dopo i bombardamenti del 1943 [in: Biblioteca Gambalunga di Rimini, inv. Minghini_ Teatro_05].
La sperimentazione tecnologica, necessaria ad adeguare l’architettura alle cogenti normative, non potrà che condurre a qualcosa d’altro, risultato che però, a ben vedere, nemmeno il carattere artigianale del costruire avrebbe potuto evitare.

Senza chiamare in causa le maestranze perdute ovvero quel ‘saper fare’ tramandato di generazione in generazione implicitamente raccontato dall’antieroe felliniano Calzinazz nella poesia ‘I mattoni’, si volga, ad esempio, l’attenzione al laterizio prodotto appositamente per questo cantiere facendo ricorso a tecniche tradizionali e stampi personalizzati. Nonostante le lodevoli premesse, l’omogeneità dell’impasto – frutto di un sapere costruttivo che ha progressivamente portato alla sensibile riduzione delle impurità del composto – e il processo di cottura – non più eseguito in forni a legna ma in forni continui alimentati da diverso combustibile – hanno finito per sfumare quelle variazioni di colore proprie del materiale antico, caratterizzato dall’indubbia unicità di ogni elemento e di ogni lotto di produzione.

Eppure, questa perduta eterogeneità delle superfici, questa costante intensità cromatica del nuovo la – terizio rende, per contro e quasi paradossalmente, l’intervento fortemente distinguibile: il completamento tradisce il suo essere altro dalla fabbrica esistente. Per concludere, pare efficace ricordare il passaggio di un’accattivante  pamphlet  del 1996 dedicato al Teatro [3]. Qui, si affermava come l’architettura equivalesse ad uno spartito musicale e che, come tale, potesse essere suonato più volte.

Si dimenticava però che se la metrica e il tempo di uno spartito non mutano, la regola dell’architettura è costantemente chiamata a farlo. Inoltre, a ben vedere, nessuno potrebbe affermare che sentire Beethoven suonare una sua composizione equivalga ad ascoltare la medesima sinfonia interpretata da un maestro contemporaneo.

La sala durante il cantiere di ricostruzione [foto: L. Petriccione, 2017].
Forse quest’ultimo potrà stupire con un’interpretazione sublime, forse anche più gradita, ma certamente nessuno potrà affermare che le due esecuzioni saranno state tra loro equivalenti. Allo stesso modo, quando il Galli tornerà a cantare i suoi spazi potranno sorprendere, il suo ricordo sfumato sotto il vibrare delle luci ad olio potrà tornare vivido, ma in coscienza nessuno potrà sostenere che il teatro sarà ‘com’era’. Del resto, comenelle migliori rappresentazioni, non tutto è ciò che sembra.

Chi ha fatto Cosa

Oggetto: Ricostruzione del Teatro Amintore Galli
Località: Rimini
Committente Comune di Rimini
Progetto architettonico: Federico Pozzi, Laura Berardi, Monia Colonna
Progetto strutturale: Alberto Dellavalle
Progetto impianti di climatizzazione e idrico-sanitari: Luca Mamprin
Progetto prevenzione incendi e impianti elevatori: Ada Simili
Progetto impianto idrico scarico e antincendio: Andrea Rossi
Progetto impianti elettrici: Massimo Giovannini
Progetto acustico: Lamberto Tronchin
Progetto apparato scenico: Giampiero Piscaglia
Impresa di costruzione Ati composta da: C.M.B. Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi – Società cooperativa (capogruppo); Coop. Costruzioni – Società cooperativa (mandante)

di Chiara Mariotti,
professore a contratto, phd, Dipartimento di Architettura, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna
e Alessia Zampini,
phd, Dipartimento di Architettura, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna

Riferimenti bibliografici

  • [1] F. Farneti, S. Van Riel, Teatri di Rimini. Dall’allestimento del Mauri al progetto di Luigi Poletti, in: F. Farneti, S. Van Riel, L’architettura teatrale in Romagna 1757- 1857, Uniedit, Firenze, 1975, pp. 157-171.
  • [2] G. Gresleri, S. Pompei (a cura di), La città&Il teatro, Maggioli Editore, Rimini, 1986.
  • [3] M. Masini (a cura di), Prima che il Galli canti. Storia del Teatro di Rimini e della sua difficile ricostruzione, Guaraldi, Rimini, 1996.
  • [4] Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali dell’Emilia Romagna, Progetto di restituzione filologia e tipologica del Teatro Polettiano “Amintore Galli” di Rimini, Progetto a cura del Soprintendente arch. Elio Garzillo, Incarico della redazione del progetto e capogruppo dell’equipe prof. arch. Pier Luigi Cervellati, Documentazione storico-estetica a cura di prof. Giovanni Rimondini e prof. Attilio Giovagnoli, Bologna, 2004.
  • [5] www.archeobologna.beniculturali.it/ rimini/teatro_galli.htm [consultato il 24/11/2017].
  • [6] Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali dell’Emilia Romagna, Teatro Polettiano “Amilcare Galli” di Rimini. Progetto di restauro e di restituzione integrale, filologica e tipologica della sala e del palcoscenico, Bologna, aprile-ottobre 2004.
  • [7] L. Verdi, Atto primo. Va in scena il Galli, YouBuild 2 (2017) 66-73.
  • [8] F. Ferrari, Nella fornace, Presenza Tecnica 262 (2011) 16-23.
  • [9] M. Dezzi Bardeschi, La gran fabbrica del teatro tra storia e invenzione, ANAΓKH 23 (1998) 2-5.
  • [10] E. Gonzo, A. Vicari, Il teatro Galli a Rimini: costruzione o ricostruzione?, ANAΓKH 23 (1998) 96-101.
  • [11] F. Amendolagine, L. Petriccione, Le nuove tecnologie nella ricostruzione del Teatro Galli di Rimini. Un esempio emblematico, in: G. Biscontin, G. Driussi (a cura di), Le nuove frontiere del restauro. Trasferimenti, Contaminazioni, Ibridazioni, XXXIII Convegno di studi internazionale (Bressanone 27-30 giugno 2017) Edizioni Arcadia Ricerche, Marghera Venezia, 2017, pp. 793-803.

Note

Fabbricato dei Forni, meno il muro fra l’atrio principale e quello delle scale, è stato atterrato con approvazione della Magistratura dietro proposta dell’architetto Direttore Sig. Cav. Poletti che all’atto di esecuzione riconobbe indispensabile la demolizione di detti muri perché erano in strapiombo e di cattiva qualità […]. Le cinque vecchie arcate (dei Forni) non furono conservate per la ragione precedentemente espressa» [4, p. 92].

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