Restauro e conservazione | Architettura in laterizio

Le cortine di mattoni dell’architettura storica di Ancona, contesto e tutela

La valutazione integrata della vulnerabilità e delle condizioni materiche, architettoniche e ambientali come efficace supporto per la conservazione dell’architettura laterizia, che grazie alla particolare stabilità e durabilità del materiale trae il miglior vantaggio dall’azione manutentiva.

Il lavoro proposto prende l’avvio da una ricerca, svolta in collaborazione con l’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (Iscr) e l’ Istituto Superiore per la protezione e la ricerca dell’ambiente (Ispra),nell’ambito di un progetto europeo. Lo studio aveva come obiettivo la valutazione dell’impatto dei cambiamenti climatici sui monumenti del comune di Ancona e la definizione di una strategia operativa per la salvaguardia delle opere.
La ricerca ha integrato i risultati dell’indagine sulla qualità dell’aria con il calcolo della vulnerabilità superficiale condotto attraverso il sistema informatico Carta del Rischio giungendo alla definizione del rischio ambientale locale. Sulla base di tali risultati, il presente articolo mira a focalizzare l’attenzione sulle architetture in mattoni con l’obiettivo di interpretarne i processi di deterioramento prevalenti e delineare un metodo d’indagine operativo a supporto della conservazione. Gli edifici presi in considerazione scelti in prossimità delle centraline fisse dell’Ispra in modo da poterne rilevare facilmente i dati elaborati sulla qualità dell’aria, sono perlopiù situati all’interno del centro storico di Ancona.

Città di Ancona e individuazione dei monumenti studiati.

L’area studiata è delimitata ad est dal tratto di costa che dal porto di Traiano giunge fino all’isola artificiale della Mole Vanvitelliana, a sud-est dal rione Capodimonte e dalla Fortezza Sangallesca, verso nord e nord-est dal colle Guasco, antica acropoli della città, e dai rioni Santo Stefano e Cardeto. Data  l’importanza del sito, le architetture oggetto di studio presentano tutte un grande valore storico artistico e costituiscono la testimonianza materiale della complessa stratificazione della città e del rilievo culturale delle personalità che ne hanno disegnato il paesaggio.
La loro specificità sul piano storico e architettonico, ha consentito di modulare e verificare l’analisi su un campione alquanto diversificato arricchendo così l’esito delle conclusioni. L’omogeneità del materiale costitutivo, mette in luce l’ampia diffusione del laterizio nel tempo. Si è potuto notare che tra i processi che procurano il degrado dei laterizi storici, un ruolo prevalente va riconosciuto all’impatto delle condizioni ambientali e alla configurazione architettonica. L’interesse di tale considerazione risiede nel fatto che, in entrambi i casi, si tratta di elementi conosciuti e prevedibili la cui valutazione, se opportunamente calibrata, può efficacemente orientare una proficua attività di manutenzione programmata.

Il materiale, composizione e durabilità

Il diffuso impiego di laterizi nella architetture anconetane è senz’altro legato all’ampia disponibilità di argilla offerta dal territorio. La città si sviluppa infatti su un promontorio articolato da una valle lambita da due dorsali che si diramano dal monte Conero: quella costiera formata dalle marne calcaree delle alture del Cardeto, Cappuccini e Guasco e la dorsale meridionale, formata dalle marne arenarie dei monti Pelago e Pulito e delle colline di Santo Stefano e dell’Astagno.

Ancona, antico faro. In corrispondenza delle mensole del coronamento sono evidenti fenomeni di deterioramento superficiale e mancanze.

La valle era costituita anticamente da terreno alluvionale, composto da detriti argillosie sabbiosi che garantivano la disponibilità e facile reperibilità di materiale per l’impasto dei mattoni. I fattori che facilitano l’approvvigionamento non sembrano tuttavia gli unici determinanti. Il mattone, per la sua tecnologia e composizione, è, di fatto, un materiale molto durevole, resistente e stabile chimicamente, i fenomeni di deterioramento sono prevalentemente fisici e riferibili principalmente a gelo e cristallizzazione dei sali. Pertanto la porosità del materiale si configura come uno dei fattori più incidenti sul degrado, soprattutto appare rilevante la sua distribuzione in funzione del diametro. In particolare, è stata dimostrata una maggiore vulnerabilità nella presenza di pori con diametro piccolo. Tale caratteristica oltre ad essere influenzata dalle condizioni ambientali del mattone è legata anche agli antichi processi di produzione del mattone, sia in fase di cottura sia rispetto alla composizione dell’impasto.

Ancona, palazzo Ferretti. La cortina muraria, estesa su tutta la facciata, presenta un buono stato di conservazione.

Sebbene le azioni chimiche siano molto contenute, esse si sviluppano dove vi sia una componente carbonatica nell’argilla impiegata. In particolare alcuni composti come il biossido di zolfo o gli ioni dell’acido nitrico, veicolati dal deposito superficiale e dalle piogge acide, sono in grado di solubilizzare il calcio e riprecipitare come nitrati (sali), il cui conseguente aumento di volume può provocare la delaminazione del materiale.

Accanto all’esame dei fattori endogeni (interni al materiale) che incidono sul deterioramento del mattone non possono trascurarsi quelli indotti dai materiali affiancati ad esso nella posa in opera. Le malte, impiegate per la realizzazione dei giunti, ad esempio, rivestono un ruolo molto importante rispetto alla vulnerabilità del paramento murario. La presenza dei sali al loro interno può costituire una significativa minaccia. In particolare, tale circostanza appare determinante in caso di restauro delle cortine laterizie, dove la scelta accurata della miscela contribuisce notevolmente alla buona riuscita dell’intervento.

Lo stato di conservazione superficiale del costruito storico di Ancona

Le superfici delle cortine in mattoni anconetane mostrano una particolare vulnerabilità alla presenza dell’acqua, in particolare, tra i fenomeni che essa innesca, l’azione più nefasta appare quella dei sali sia attraverso la loro cristallizzazione sia con l’attività ciclica di essiccamento e imbibizione del cristallo. Gli effetti che questa produce sono chiaramente evidenti sulle cortine laterizie della cinta muraria Sangallesca, dove i fenomeni di alterazione riguardano erosione e scagliatura dei mattoni, e nei casi in cui il fenomeno è particolarmente progredito, anche diverse mancanze.

Porta Pia. Sui fronti interni si osserva un fenomeno di erosione della malta dei giunti che può costituire un veicolo di degrado per i mattoni che invece mostrano una migliore capacità di resistenza.

Fenomeni simili si riscontrano sull’edificio della foresteria della Cittadella (XVI sec.) e sul paramento murario della Torre del Faro (in funzione dal 1860), che presenta problemi di scagliatura dei mattoni e lacune, in particolare in corrispondenza delle mensole di appoggio del coronamento e sull’attacco a terra. L’erosione generalizzata, accompagnata da scagliatura e locali rigonfiamenti possono ugualmente osservarsi sui fronti laterizi del palazzo degli Anziani (XIII sec.), del cinquecentesco palazzo Ferretti e Mengoni Ferretti (XVI sec.) e della Loggia dei Mercanti (XV sec.). Nella chiesa di San Domenico (ultimo quarto del XVIII sec.) lo stesso fenomeno coinvolge i mattoni della fascia basamentale del fronte meridionale, che appaiono in alcuni punti deteriorati.
Tra i monumenti sulla costa in prossimità della mole Vanvitelliana (XVIII sec.), le superfici laterizie mostrano analoghe forme di degrado. La Mole stessa e il Rivellino presentano in più zone disgregazioni e scagliature. Sulla Porta Pia (costruita tra il 1787 e 1789), il fianco verso il mare e le pareti interne del passaggio della porta sono colpite da corrosione nella zona basamentale, provocata soprattutto dall’umidità di risalita.

Mole Vanvitelliana. Il lato esposto a nordovest, a causa dell’esposizione ai venti prevalenti e all’aerosol marino, mostra uno stato di deterioramento diffuso oltre alle tracce di frequenti reintegrazioni e restauri.

Diversi fenomeni ampiamente presenti sulle architetture anconetane riguardano poi una serie di effetti derivati dalla presenza di acqua, come la proliferazione degli attacchi biologici e l’azione chimica dei sali contenuti nei depositi superficiali. Un’ampia distribuzione di vegetazione e patine biologiche è infatti visibile sulle mura della cittadella, sul fronte settentrionale del Palazzo degli Anziani e sulle chiese di San Salvatore (XIX sec.), dei Santi Pellegrino e Filippo Neri (costruita nel 1706) dove i paramenti esterni, sebbene restaurati recentemente, mostrano la presenza di una patina biologica notevolmente estesa.
Si nota altresì che le superfici laterizie dei fronti esposti all’inquinamento atmosferico, come nelle chiese di San Salvatore e San Domenico, nel palazzo degli Anziani, sulla Loggia dei Mercanti, sugli alzati della Porta Pia e all’intradosso della porta Farina, sui fronti laterizi dell’ex chiesa di Sant’Agostino, mostrano una diffusione di depositi superficiali cui è associata, generalmente, una leggera erosione superficiale. Gli stessi fenomeni possono osservarsi in misura più ampia nelle chiese del Gesù (inizio XVII sec.) e dei Santi Pellegrino e Filippo Neri dove i profondi aggetti delle cornici impediscono, all’intradosso, il dilavamento dei depositi e all’estradosso garantiscono un maggior ristagno dell’acqua con il conseguente proliferare degli attacchi biologici. Da evidenziare, infine, la presenza di un fenomeno piuttosto diffuso, da riferirsi ugualmente all’azione dei sali contenuti nell’acqua, che riguarda la polverizzazione e l’erosione dei giunti di malta posti tra i mattoni.
Tale fenomeno pur non riguardando direttamente i laterizi, che mostrano una buona capacità di resistenza, incide, di riflesso, sulle cortine provocandone a tratti la caduta degli elementi. Una dimostrazione di questa circostanza può osservarsi sui fronti di Porta Pia, del Rivellino della Mole Vanvitelliana e della Torre del Faro.

Verso un’interpretazione: contesto e architettura

I fattori che modulano le possibili manifestazioni di deterioramento delle murature storiche in mattoni sono molteplici: la composizione dell’impasto, la qualità dei materiali cui viene accostato (es. la malta), le condizioni di esposizione agli agenti atmosferici, tuttavia gli elementi che nell’ambito di questa ricerca si vogliono mettere in risalto sono quelli che possono controllarsi senza il bisogno di ricorrere ad indagini diagnostiche sofisticate, seppur necessarie nell’ambito di un intervento di restauro. In particolare, si fa riferimento a quegli aspetti che caratterizzano le condizioni dell’edificio e sono rilevabili attraverso la conoscenza generale del territorio e della fabbrica, sia dal punto di vista geografico sia da quello architettonico. L’attenzione a tali aspetti, auspicabilmente coadiuvata con strumenti di indagine e monitoraggio esistenti quali la Carta del Rischio, consente un’azione di tutela nel tempo orientata alla cura costante più che ad azioni estemporanee potenzialmente più invasive.

Ex chiesa di Sant’Agostino. Le cortine laterizie della facciata mostrano una buona capacità di resistenza all’azione combinata dell’inquinamento e degli agenti atmosferici, sono infatti presenti lievi fenomeni di disgregazione ed erosione.

Il contesto geografico e ambientale

Osservando il rapporto tra localizzazione e incidenza dell’ambiente sulle manifestazioni di degrado si sono potute identificare tre aree dove le caratteristiche del deterioramento appaiono omogenee:

  • la fascia a ridosso della costa (entro 300 m dalla linea di costa),
  • una seconda che include le zona centrale di Ancona, più urbanizzata,
  • una terza che riguarda le aree meno contaminate dall’inquinamento atmosferico e relativamente lontane dal mare.

All’interno della prima area sono collocati gli archi di trionfo Clementino e di Traiano, la Loggia dei Mercanti, Il Rivellino e la Mole Vanvitelliana, Porta Pia. I fenomeni di degrado prevalenti sono rappresentati da diverse forme di disgregazione del materiale (ambito B della Carta del Rischio) causate dall’effetto distruttivo della pressione esercitata sulla superficie esterna dei materiali dalla cristallizzazione dei sali, veicolati dall’aerosol marino (sali e particelle in sospensione presenti nell’aria) e dalla pioggia. Nonostante la vicinanza al mare possa sembrare il fattore più determinante ai fini della manifestazione del deterioramento, tale area subisce la prevalente azione del vento che ad Ancona proviene da nord-ovest, rendendo così i fronti verso il mare ancora più vulnerabili. L’azione del vento è infatti da considerarsi sia per il fatto che accompagna l’acqua meteorica proiettandola, anche violentemente, contro i muri, sia per l’apporto di aerosol. A dimostrazione dell’incidenza di tali aspetti si è rilevato che i prospetti ovest degli edifici sono generalmente maggiormente degradati. Il fenomeno può infatti osservarsi sui fronti occidentali della mole e sulla facciata verso il mare della Loggia dei Mercanti.

Chiesa dei Santi Pellegrino e Filippo Neri. Lo stato di conservazione delle cortine è buono tranne dove l’articolazione del partito architettonico impedisce il naturale dilavamento del deposito superficiale e l’accumulo di acqua.

Le cortine laterizie antiche del centro urbano di Ancona si presentano a tratti erose e mancanti o ricoperte dal deposito superficiale. Tale deposito spesso contiene quantità rilevanti di composti solubili. Questi sono in grado di innescare un processo chimico che si manifesta sui mattoni attraverso la reazione con le componenti carbonatiche presenti nell’impasto. Sebbene queste siano presenti in percentuali molto basse, subiscono trasformazioni simili a quelle che avvengono per i materiali lapidei che si manifestano con la perdita di materiale. Tale circostanza produce, sulla superficie, l’aumento della porosità favorendo diversi processi di deterioramento quali quelli legati alla gelività e alla cristallizzazione dei sali.
La disgregazione e l’erosione che possono pertanto osservarsi sulle cortine laterizie dei diversi monumenti del centro urbano sono riferibili all’azione contemporanea di processi fisici e chimici che si alimentano reciprocamente.
I monumenti collocati sulle dorsali del Conero, la zona probabilmente più lontana dal forte inquinamento atmosferico e dall’azione del mare, sono la Cittadella con la relativa fortezza Sangallesca e l’edificio del Vecchio Faro. Il degrado di tali monumenti, appare prevalentemente legato alla naturale interazione del tempo, nei secoli, e degli agenti atmosferici. I fenomeni rilevati presentano una progressione piuttosto lenta e facilmente controllabile con accorgimenti manutentivi, infatti gli unici fattori di accelerazione del deterioramento appaiono legati alla scarsa cura.

Le tecniche e le forme dell’architettura

Con l’intento di identificare gli elementi ricorrentemente incidenti sui processi di deterioramento prodotti da cause ordinarie e non eccezionali, l’attenzione è ricaduta sulle criticità legate sia alla tecnica costruttiva sia al linguaggio figurativo delle architetture analizzate. In generale tutte quelle soluzioni costruttive e figurative che favoriscono il ristagno dell’acqua sono potenziali fattori di degrado.

Mole Vanvitelliana. Sebbene i fronti interni della fabbrica si presentino mediamente ben conservati, il lieve deterioramento diffuso appare prevalentemente legato all’azione dei sali contenuti nel particolato atmosferico.

Ad esempio, la struttura a scarpa delle Mura fortificate Sangallesche e della Mole Vanvitelliana costituendo un piano inclinato rallenta lo smaltimento dell’acqua piovana, che viene trattenuta dalla struttura muraria stessa. Considerando poi nello specifico le cinte murarie fortificate, queste spesso presentano canali di displuvio che sovente corrono all’interno della sezione muraria. Un altro elemento di accumulo dell’acqua è costituito dalle cornici, soprattutto se particolarmente aggettanti. All’estradosso di tali elementi se la superficie non è adeguatamente impermeabilizzata o non sufficientemente inclinata per assicurare lo smaltimento dell’acqua piovana, si crea un punto di ristagno dell’acqua che oltre a veicolare i sali nella muratura crea un ambiente molto favorevole alla proliferazione di microrganismi e vegetazione secondaria. Nell’ex chiesa di Sant’Agostino, il ristagno dell’acqua all’estradosso delle cornici alimenta il processo di risalita e infiltrazione, incentivato dalla porosità del laterizio.

Chiesa del Gesù, vista generale. L’articolazione volumetrica della facciata e la vicinanza al traffico veicolare accelerano i processi deteriorativi soprattutto nelle zone protette dagli aggetti pronunciati. Nel complesso la cortina mostra un buono stato di conservazione.

Si innescano così i processi di disgregazione del materiale dovuti alla cristallizzazione dei sali e lo sviluppo di organismi biologici, in specie di vegetazione infestante il cui sviluppo radicale sollecita meccanicamente la compagine muraria. Tali circostanze si manifestano anche a poca distanza dalla conclusione di interventi di restauro. Spesso l’articolazione barocca delle facciate crea superfici difficilmente raggiungibili dall’acqua favorendo il deposito di particolato atmosferico. Tale fenomeno può facilmente osservarsi sulla scansione parietale della chiesa del Gesù o sul basamento dell’ex chiesa di Sant’Agostino, dove il trattamento a finto bugnato di mattoni crea vulnerabili incavi difficilmente dilavabili. La facciata della chiesa dei Santi Pellegrino e Filippo Neri, interamente in mattoni, è articolata da un ordine unico suddiviso in tre settori: rettilineo quello centrale e concavi quelli laterali, legati insieme dalla trabeazione. Le cornici che definiscono il disegno mostrano, in corrispondenza delle superfici orizzontali, attacchi biologici con patine di colore nero e nelle zone di difficile dilavamento la presenza diffusa di deposito superficiale.

Interpretare il deterioramento come strategia per la conservazione

Lo studio degli edifici in mattoni di Ancona integrato con l’analisi condotta con la Carta del Rischio ha permesso di identificare le architetture più problematiche e le situazioni ricorrentemente dannose per le superfici laterizie. In particolare gli edifici che hanno mostrato un peggior stato di conservazione sono la mole Vanvitelliana e le chiese del Gesù e del Santissimo Sacramento. Appare interessante notare che le fabbriche col maggiore indice di vulnerabilità superficiale sono caratterizzate dalla particolare vicinanza al mare o da una configurazione dei fronti articolata con aggetti e scansioni volumetriche. Come si è visto nel caso della Mole, l’incidenza della vicinanza al mare è affiancata dall’azione del vento prevalente in corrispondenza dei fronti verso il litorale.

Chiesa del Santissimo Sacramento. La cortina muraria, benché direttamente esposta all’inquinamento mostra un deterioramento facilmente removibile con una semplice manutenzione.

Nei casi delle chiese, si tratta in entrambi i casi di fronti con partiti architettonici complessi. Evidenziate le situazioni più vulnerabili come elementi pilota, si potrebbero orientare una serie di azioni tese alla manutenzione, non pianificate a posteriori ma impostate preliminarmente sulle aree identificate. Tali azioni, semplici ed economiche, appaiono particolarmente efficaci soprattutto nel caso di materiali come il laterizio, rispetto al quale consentono di potenziarne le naturali caratteristiche di resistenza fisica e chimica e più in generale di durabilità. Basti pensare alle molteplici architetture romane ancora complete dei paramenti in mattoni. Tra gli interventi preventivi possono considerarsi, la pulitura dei depositi superficiali – in particolare nei casi dove la configurazione architettonica ne impedisce il dilavamento – la rimozione della vegetazione invasiva, il periodico controllo dello stato di conservazione dei dispositivi tecnologici di smaltimento delle acque e di impermeabilizzazione. Inoltre, nell’ambito della manutenzione, possono considerarsi anche le reintegrazioni localizzate di limitate lacune circoscritte che si rivelino urgenti ai fini della prevenzione. In tal caso l’impiego di nuovi mattoni può costituire la soluzione più idonea ed efficace sia sul piano della compatibilità chimico-fisica sia sul piano estetico.

Tivoli, la Rocca bruna (II sec. d.C.). La cortina muraria mostra il differente stato di conservazione dei diversi elementi costruttivi. I ricorsi di tufo sono quasi completamente disgregati, mentre i mattoni mostrano, in questa circostanza, una migliore resistenza.

Conclusioni

L’indagine condotta in modo analitico e comparativo su diversi edifici, realizzati con lo stesso materiale e nella stessa area geografica, ha messo in evidenza le situazioni ricorrentemente, più o meno vulnerabili connesse al contesto ambientale e architettonico. Se la raccolta di questo tipo di dati fosse integrata dall’opportunità di una revisione periodica, si otterrebbe un monitoraggio notevolmente prezioso dello stato di conservazione dei monumenti e delle loro condizioni, in grado di orientare efficacemente una strategia operativa rivolta alla cura e alla prevenzione piuttosto che all’intervento urgente. Tale approccio, sebbene applicabile a tutta l’architettura storica trova un particolare esito principalmente per quanto riguarda le architetture laterizie le quali, in ragione della particolare stabilità e durabilità del materiale, traggono notevole vantaggio dall’azione manutentiva costante. ©Costruire In Laterizio

Marta Acierno
PhD, Dipartimento di storia, disegno e restauro dell’architettura (Dsdra), Sapienza Università di Roma.

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