Punti di Vista | Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti

Le norme sull’equo compenso dei professionisti: prospettive e incertezze

La conferma del principio costituzionale dell’equo compenso, rappresenta dunque la soglia base minima di una manovra per consentire d’esercitare il lavoro intellettuale con salvaguardia dell’interesse pubblico e sociale d’ottenere qualità nelle opere pubbliche e private e sopravvivenza del patrimonio delle competenze professionali. Tale enunciazione sarà però efficace, solo con norme che vietino la turbativa del mercato, rappresentata dall’eccesso di ribasso.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

Il giusto prezzo d’ogni fornitura, materiale o intellettuale che sia, è un elemento fondamentale di un mercato ben regolato e ciò vale tanto per le imprese quanto per i professionisti.

Laddove si stabiliscono condizioni per le quali si vende in modo diffuso qualche cosa sotto costo, così come ad un prezzo eccessivamente elevato, significa che il mercato e la libera concorrenza non funzionano in modo corretto: si tratta dei sintomi di una patologia, della quale finiranno per soffrire tutti, operatori e consumatori e quindi alla lunga anche coloro che per condizioni contingenti, riescono a trarne un temporaneo vantaggio, spuntando transazioni favorevoli.

E’ evidente che l’amministrazione pubblica (vedi il caso di Catanzaro?) che vuole acquisire un complesso servizio professionale per un euro, è il segno di un disordine amministrativo, legislativo e sociale, che porta al duplice risultato di distruggere il patrimonio rappresentato dagli studi e quindi dalle competenze degli architetti e degli ingegneri e di realizzare un’opera sprovvista dei contenuti indispensabili a renderla effettivamente utile, poiché se non è certo che il solo giusto prezzo garantisca la buona qualità, è certo che ad un prezzo insostenibile, corrispondano carenze ed errori, che rendono l’opera inadeguata e mal speso il denaro pubblico.

La considerazione ci è suggerita dalle nuove norme emendamento sull’equo compenso dei professionisti, che nel momento della scrittura di questo articolo è stato introdotto nel decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2018. Bisogna riconoscere in questa norma un’importantissima affermazione di principio, che nella situazione che s’è radicata in Italia, può essere di fondamentale importanza, per avviare il ritorno ad un sistema equilibrato di contrattazione e attribuzione degli incarichi professionali.

Nell’attesa del testo definitivo della norma, la speranza è che in questo caso sia evitato il rischio di ripetere un errore simile a quello che si produsse nel caso della cosiddetta riforma delle professioni, condotta dal professor Catricalà col Governo Monti, che regolamentò alcuni aspetti marginali e formali del sistema di funzionamento degli Ordini, sfilando di fatto dal tavolo del dibattito politico, per un lungo periodo, i temi di modernizzazione propri di una riforma autentica.
Ci riferiamo al fatto che nemmeno in questo caso appaiono risolti alcuni problemi fondamentali, e spiace dover assumere un punto di vista problematico, nel momento in cui tutte le componenti del nostro Sistema sono soddisfatte.

In realtà già oggi sono vigenti alcuni parametri, che potrebbero mettere ordine nel settore degli incarichi professionali e sono il decreto ministeriale la legge dm 140/2012, che, nato per fornire un termine di misura delle prestazioni in sede di giudizio, si è esteso a tutti i software di calcolo delle parcelle per incarichi privati e il decreto ministeriale dm 143/13, che indica al Rup i parametri ai quali fare riferimento, nella determinazione del valore base delle competenze professionali, nelle gare per gli incarichi per le opere pubbliche.

Il problema è che i parametri non sono tassativi e i professionisti rimangono comunque indifesi sia verso i soggetti forti (enti, assicurazioni, banche e grandi imprese) dotati di un potere contrattuale preponderante sia, a causa della crisi delle costruzioni e del soprannumero, nei confronti di ogni piccolo incarico privato.

Per un’effettiva inversione di tendenza, nel campo delle opere pubbliche occorre quindi che l’introduzione dell’equo compenso comporti anche l’obbligo per il Rup d’applicare i parametri del dm 43/13, ma anche che sia definita una soglia dell’offerta resa anomala dall’eccesso di ribasso, valida per il pubblico e per il privato. Altrimenti una volta stabilito un contratto anche sulla base dei parametri di legge, cosa vieta che vi sia ancora un ribasso senza limiti?

La conferma del principio costituzionale dell’equo compenso, rappresenta dunque la soglia base minima di una manovra per consentire d’esercitare il lavoro intellettuale con salvaguardia dell’interesse pubblico e sociale d’ottenere qualità nelle opere pubbliche e private e sopravvivenza del patrimonio delle competenze professionali. Tale enunciazione sarà però efficace, solo con norme che vietino la turbativa del mercato, rappresentata dall’eccesso di ribasso. Il ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa è stato un passo avanti ma la componente di ribasso distorce ugualmente il risultato di tale metodo di selezione.

L’alternativa è il ricorso ad un ente terzo, che certifichi a posteriori e con tutti i rischi del caso, che i contenuti della prestazione siano quelli contrattuali.
Forse potrebbe essere utile anche l’esperienza dell’Assemblea Regionale Siciliana, che aveva proposto, per il rilascio dell’agibilità di un’opera, almeno la necessità della certificazione della liquidazione del professionista, quale prova di «regolarità retributiva».

Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here