Editoriale | Livia Randaccio

Molte domande, poche risposte

Malgrado le numerose promesse e le presenze sui media si è conclusa la campagna elettorale caratterizzata dalla carenza dei programmi degli schieramenti politici in materia di costruzioni.

Finalmente sta per concludersi una campagna elettorale che ha assai poco entusiasmato gli italiani e ancor meno è piaciuta agli operatori della filiera delle costruzioni (di qualsiasi ruolo e funzione, dagli imprenditori ai professionisti dell’ingegneria, dai produttori dei materiali ai distributori, dagli ordini professionali ai lavoratori di cantiere, dalle rappresentanze sindacali a quelle di categoria).

 

Giorgio Squinzi
presidente Confindustria.

Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, Paolo Buzzetti dell’Ance, i vertici territoriali delle associazioni dei costruttori e i rappresentanti delle 20 associazioni operanti nel comparto delle costruzioni che hanno manifestato «la loro collera» a Milano (il 13 febbraio) e per la prima volta in modo fortemente dimostrativo e unitario, credo siano ormai stanchi di aver ripetuto (non da ora ma da anni!) quali e quanti siano i nodi irrisolti per risollevare il comparto, quali le prospettive per un futuro che si prospetta sempre più carico d’incognite.

Tutto quello che non va. Ritardi impossibili dei pagamenti della Pubblica amministrazione alle imprese, mancanza di semplificazione degli adempimenti per le imprese, la quasi totale assenza di sgravi fiscali strutturali, mancanza d’incentivi per le imprese che sviluppano la ricerca, istituti di credito che negano la liquidità necessaria ad affrontare la recessione; una situazione quella del comparto delle costruzioni che ha registrato dal 2009 la chiusura di ben 49mila imprese. E con la conseguenza di un enorme elenco di posti di lavoro persi (500mila unità compreso l’indotto), cosa che ha fatto scempio dell’intero comparto.
Sono questi i capitoli del «grande quaderno» delle mancanze dello Stato e delle difficoltà che imprese e famiglie devono affrontare. Questa complicata situazione fa pensare che dall’Europa non arrivino più richieste per ulteriori manovre depressive. Eppure sono in molti a credere, titubanti, all’arrivo di nuove richieste targate Ue ed è proprio da qui che va incrementandosi nel nostro Paese il malcontento verso l’euro e verso la «governance europea».
Durante la campagna elettorale tutte le forze politiche in corsa per Senato e Camera dei Deputati non hanno lesinato litanie su «quel che va fatto…e su quel che si dovrebbe fare», proposte e promesse a ripetizione che, lo ribadiamo, non hanno convinto né soddisfatto gli operatori della filiera delle costruzioni. Nessuno fra i politici che si contendeno lo scranno parlamentare ha dichiarato apertamente, in modo responsabile, «cosa va tagliato». Alcuni esempi? Quasi nessuno ha illustrato come va affrontato il tema delle coperture dei programmi di abbattimento del fisco, nessuno ha trattato il tema delle dismissioni dei beni immobiliari dello Stato anche se, per onestà d’intenti, va detto che per le dismissioni si registrano enormi difficoltà, che hanno di fatto bloccato i programmi di vendita degli immobili pubblici (la stima non supera l’1% di Pil all’anno).

 

Paolo Buzzetti
presidente Ance.

Sviluppare lavoro e reddito. Poi c’é il tasto dolente del prelievo fiscale, sicuramente l’argomento clou per cittadini e imprese. Un breve appunto per capire il perché della necessità di diminuire la pressione fiscale: in Italia la pressione totale sulle imprese è del 68% a fronte del 43% medio dell’Ocse. Nel Paese il prelievo statale sulle buste paga raggiunge il 53,3% a fronte della situazione Ocse che si attesta mediamente al 35,1%. Questo fa pensare che è su questi aspetti che si gioca la partita del futuro dell’Italia. E su imprese e lavoro che si deve far leva per la ripresa, abbattendo il peso del fisco sulle attività produttive oltre che sui redditi. Un altro argomento che dovrebbe essere riconsiderato seriamente riguarda la volontà di aumentare l’Iva dal prossimo luglio: su questo c’è stato in campagna elettorale un glaciale silenzio.

Il bene casa. Tra i politici candidati in pochi si sono espressi con onestà e concretezza sul bene più importante (ma anche il più tassato) degli italiani: la casa. Un bene che presenta ben nove voci di tassazione sul possesso degli immobili con un ammontare che supera i 44 miliardi di euro. Di questi 23 derivano dall’Imu, un valore che è quasi il doppio di quello registrato nel 2007, ultimo anno di applicazione dell’Ici sulla prima casa. Nel Paese c’è poi un triste primato: lo scorso anno i mutui per l’acquisto casa da parte delle famiglie si sono dimezzati e il risultato è che le compravendite di abitazioni sono crollate in un anno del 24%. Per contrastare quella che hanno definito un’autentica «catastrofe sociale ed economica» i costruttori hanno delineato una strategia basata sulla predisposizione di un piano di edilizia sociale – sostenibile per superare il disagio abitativo delle fasce deboli, sull’eliminazione dell’Imu sull’invenduto anche perché nessun altro settore industriale paga per un bene che non ha ancora venduto, sui cosiddetti casa bond obbligazioni a media -lunga scadenza emessi da banche e acquistati da investitori istituzionali per finanziare i mutui delle famiglie, sia per l’acquisto sia per la ristrutturazione-manutenzione dell’abitazione e, ovviamente è stata proposta la necessità di avere un’Imu più equa resa progressiva e parametrata in base al reddito.

Paolo Righi, presidente Fiaip.

L’immobiliare. Ripetutamente abbiamo sentito dire «se riparte l’immobiliare, riparte l’Italia» e a tal scopo mi piace ricordare le parole di Paolo Righi, presidente nazionale della Federazione degli agenti immobiliari (Fiaip): «… altro che provvedimenti Salva Italia: tassando la casa come fosse un patrimonio anche se non produce reddito anche nel caso della prima abitazione, si è provocata un’erosione del valore degli immobili che ha affossato l’intero settore. Se aggiungiamo poi il credit crunch le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: un crollo verticale delle compravendite. Tutta la tassazione immobiliare va rivista, perché avere una seconda casa, magari ereditata, non significa avere redditi esorbitanti, in Italia il 70 % del patrimonio immobiliare è rappresentato da piccoli proprietari con redditi non altissimi. Abbiamo un patrimonio immobiliare pubblico che vale 500 miliardi, patrimonio che si potrebbe valorizzare e vendere, il che consentirebbe di abbassare il debito nazionale e realizzare una vera riqualificazione urbanistica. Ci sono edifici pubblici in zone centrali delle città che sarebbero appetibili per il mercato se i tempi eterni della burocrazia non lo scoraggiassero. Dirò di più, perché non utilizzare i tanti immobili invenduti, molti dei quali di nuova costruzione, per far rivivere l’Ina casa che, decenni fa ha resuscitato l’Italia nel dopoguerra. Un patto tra banche e comuni poi consentirebbe di immettere sul mercato queste unità immobiliari a prezzi agevolati: in pratica, chi entra pagherebbe un canone sostenibile e potrebbe riscattare l’appartamento dopo trenta anni. C’è poi il problema delle banche che chiudono gli sportelli a chi chiede un mutuo, e chi lo ottiene non riesce a finanziare più del 50% dell’acquisto. Per poter arrivare all’80% si potrebbe creare un fondo presso la Cassa depositi e prestiti».

Alziamoci in piedi. Ma di questa campagna elettorale i fatti più sorprendenti e negativi sono stati i richiami azzardati di alcuni candidati a politici ed economisti del passato. In particolare mi riferisco a chi si è dichiarato nuovo «salvatore dell’Italia» paragonandosi a Luigi Einaudi e ad Alcide De Gasperi: due protagonisti della ricostruzione del Paese nel primo dopoguerra. Quando si parla di loro reputo sia d’obbligo alzarsi in piedi e togliersi il cappello.
Livia Randaccio

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