Punti di Vista | Ing. Giulio Lusardi

Nuovo Codice appalti: per applicarlo correttamente è necessario conoscere la lingua inglese

Nel nuovo Codice appalti e nelle Linee guida Anac, oltre a termini di origine latina, sono riportati un numero elevato di termini di origine anglosassone. Poiché agli addetti ai lavori possono nascere dubbi riguardanti il corretto significato da attribuire a questi termini l’ing. Lusardi cerca di indicarne il significato e soprattutto la corretta applicazione.
L'ing. Giulio Lusardi è laureato in ingegneria meccanica, ha una lunga esperienza in sicurezza dei cantieri edili maturata prima all’Enpi e quindi all’Ispesl, con l’incarico di responsabile del dipartimento di Palermo. Autore di numerosi testi e pubblicazioni riguardanti la sicurezza sul lavoro in edilizia, in particolare per quanto riguarda gli apparecchi di sollevamento materiali e persone, e gli appalti di lavori pubblici. È docente di corsi di formazione ed aggiornamento per coordinatore sicurezza, Rspp ed Rls.
L’ing. Giulio Lusardi è laureato in ingegneria meccanica, ha una lunga esperienza in sicurezza dei cantieri edili maturata prima all’Enpi e quindi all’Ispesl, con l’incarico di responsabile del dipartimento di Palermo. Autore di numerosi testi e pubblicazioni riguardanti la sicurezza sul lavoro in edilizia, in particolare per quanto riguarda gli apparecchi di sollevamento materiali e persone, e gli appalti di lavori pubblici. È docente di corsi di formazione ed aggiornamento per coordinatore sicurezza, Rspp ed Rls.

È frequente nei dispositivi legislativi del nostro Paese riscontrare l’utilizzo di termini derivanti dalla lingua latina, infatti anche nel dlgs n. 50/2016 e nelle linee guida Anac sono utilizzate espressioni come «voluntas legis, praeter legem, ex post, ex ante, erga omnes, extra ordinem, nemen  juris, ad hoc, in primis, de quibus, ex lege, sine die, ratio legis, par condicio, in itinere, una tantum, ex novo, quid pluris, errata corrige, incipit», invece molto raramente sinora erano stati utilizzati termini di derivazione anglosassone.

Invece sia nel parere del Consiglio di Stato n. 855 dell’1 aprile 2016 che nel dlgs n. 50/2016 e nelle linee guida Anac già predisposte vengono frequentemente utilizzati termini come «drafting, gold plating, better regulation, soft regulation, governance, decision making process, stakeholder, project manager, rating, common procurement vocabulary, bulding informatipon modeling, stand-still, in house, joint venture, project financing, self cleaning, best pratices, guillottine system, utilities, general contractor».

Poiché agli addetti ai lavori possono certamente nascere dubbi e perplessità relativamente al corretto significato da attribuire a questi termini, che quasi sempre sono riportati senza la relativa traduzione nella nostra lingua, si cercherà di indicarne il significato e soprattutto la corretta applicazione.

1. Applicazione del «drafting». La traduzione della parola inglese drafting è «formulazione, stesura» e questo termine sta ad indicare la tecnica di predisposizione di un progetto o di un testo normativo in modo che la relativa stesura sia il più possibile chiara, precisa, sintetica, puntuale e priva di ambiguità nei riferimenti normativi. Poiché i testi legislativi, nella generalità dei casi, come il nuovo Codice appalti, sono complessi ed articolati le tecniche di drafting hanno assunto sempre maggiore importanza e per raggiungere la maggiore chiarezza possibile nella predisposizione dei testi di legge i presidenti delle Camere, d’intesa con il presidente del Consiglio, hanno emanato una circolare dal titolo: Regole e raccomandazioni per la redazione dei testi normativi.

Viene utilizzato il termine drafting nel «parere del Consiglio di Stato n. 855 del 1° aprile 2016» in cui si critica la stesura dell’art. 3 del dlgs n. 50/2016, giudicato «molto pesante» in quanto riporta ben 83 definizioni di difficile leggibilità, suggerendo quindi di usare i numeri per ordinare le definizioni ovvero, in conformità al metodo adoperato nell’art. 3 del dlgs n. 163/2006, di creare tanti commi quante sono le definizioni. Altre critiche del Consiglio di Stato alla stesura del testo del nuovo Codice appalti fanno riferimento all’art. 5, all’art. 81 e all’art. 216.

2. Divieto di «gold plating». La legge n. 11 del 28 gennaio 2016 che delegava al Governo l’attuazione delle direttive 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue del Parlamento europeo (all’art. 1, comma 1, lett. a), evidenziava la necessità di tenere conto, nel recepimento, delle migliori pratiche adottate negli altri paesi dell’Unione europea, in particolare riguardo al divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive.

Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, prima della pubblicazione del dlgs n. 50/2016 aveva chiesto parere sui contenuti della bozza di decreto predisposto al Consiglio di Stato che con il parere n. 855 del 1° aprile 2016 (al punto II a) al riguardo, aveva precisato che sul piano sostanziale la legge delega demanda al Governo di recepire le direttive nel rispetto del divieto di «gold plating», individuando quindi con questa espressione il divieto di introduzione, nel nuovo Codice, di regolamentazioni eccedenti quelle richieste dalle direttive comunitarie, come indicato dalla legge delega. Infatti le 3 direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, settori speciali e concessioni contengono:

  • disposizioni a recepimento vincolato;
  • disposizioni che lasciano margini di flessibilità agli stati membri, consentendo un recepimento più severo o più liberale.

Appunto riguardo a queste «disposizioni flessibili» la Commissione europea aveva indicato il divieto di gold plating cioè di introduzione, nel recepimento, di obblighi di comunicazione, di requisiti procedurali, di regimi sanzionatori più rigorosi e non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive.

Il gold plating è definito infatti come quella tecnica che va al di là di quanto richiesto dalla normativa europea e anche se non è illegale, costituisce una «cattiva pratica», perché impone costi che avrebbero potuto essere evitati, per cui, nel recepimento delle nuove direttive, secondo la Commissione, è necessario procedere ad una revisione e ad una semplificazione della disciplina nazionale anche al fine di eliminare le regole più restrittive rispetto a quelle europee, non giustificate dalla tutela di interessi pubblici.

Tuttavia, dopo aver indicato i principi di semplificazione e flessibilità la stessa legge delega indica la possibilità di qualche deroga al divieto di gold plating, consentendo l’introduzione di alcuni principi improntati a maggior rigore. La legge delega precisa infatti che il divieto di gold plating va riferito agli oneri burocratici fini a sé stessi, non alle prescrizioni poste a tutela di valori costituzionali ritenuti più pregnanti del valore della competitività, quali la tutela del lavoro, della salute, dell’ambiente, la trasparenza e la prevenzione della corruzione e delle infiltrazioni criminali.

Riguardo al Codice appalti la Corte di giustizia in data 22/10/2015, per esempio in tema di normativa antimafia  italiana, riguardo agli ulteriori oneri che essa determina in ordine alle gare di appalto, aveva affermato che una misura quale l’obbligo di dichiarare l’accettazione di un tale protocollo di legalità appare  idonea a rafforzare la parità di trattamento e la trasparenza nell’aggiudicazione di appalti.

Infatti, il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni  del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati.

Anche per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro l’art. 30 del dlgs n. 50/2016 – Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni – tenendo conto della gravità del fenomeno infortunistico che continua ad essere presente nei cantieri edili, ha stabilito che il principio di economicità può essere subordinato a criteri ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico.

3. Applicazione della «better regulation». Il punto II e I del parere n. 855/2016 del Consiglio di Stato precisa che la «better regulation» (miglioramento della regolamentazione) costituisce un tema prioritario in ambito sovranazionale e comunitario e che, in particolare nel nostro Paese, la regolamentazione sugli appalti di lavori pubblici è sempre stata contraddistinta da una ampia e spesso farraginosa normativa, evidenziando quindi la necessità di applicare, nella redazione definitiva del Codice degli appalti, la better regulation. Il punto II e VII dello stesso parere raccomanda quindi una ulteriore ricognizione delle fonti da abrogare, atteso che si determinerebbero incertezze ove restassero in vita sparse norme pregresse. Costituisce infatti criterio della better regulation il primato dell’abrogazione espressa rispetto a quella tacita.

Nel nostro Paese già la manovra di bilancio del 2008 conteneva una sezione «taglia-leggi» e una sezione «taglia-oneri» e specifiche misure di riduzione degli oneri in particolare in materia di lavoro e ambiente; infatti il miglioramento della regolamentazione costituisce un «valore» come evidenziato anche nella sentenza n. 343 del 24/02/2016 del Consiglio di Stato. La strategia di better regulation della Commissione europea si fonda su 3 pilastri:

  1. la semplificazione normativa: infatti una cattiva regolamentazione influisce in modo negativo, oltre che sulla certezza del diritto, anche sullo sviluppo economico di un Paese, per cui risulta indispensabile  abrogare le norme obsolete e inglobare in un unico atto organico quelle ancora valide;
  2. la riduzione degli oneri amministrativi per le imprese: per cui è necessario consultare le parti interessate con un certo anticipo in caso di presentazione di una proposta legislativa o amministrativa destinata ad avere conseguenze sulle imprese;
  3. l’analisi di impatto: questa analisi, analizzando le eventuali criticità della normativa in vigore, ha l’obiettivo di migliorare la qualità delle nuove iniziative che, in futuro, si prevede di adottare.

In definitiva la qualità della regolamentazione e la riduzione dei costi della regolamentazione costituiscono un concreto sostegno «immateriale» per le imprese, significativa in periodi di crisi economica. In particolare il Consiglio di Stato, nel parere n. 855/2016, evidenzia la necessità di riordinare in un unico testo normativo l’intera materia dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in chiave di semplificazione, chiarezza, coerenza e certezza delle regole per una corretta amministrazione e prevenzione del contenzioso. Sarà pertanto necessario abrogare le oltre 50 fonti normative che nel corso degli anni hanno riguardato l’iter realizzativo degli appalti di lavori pubblici.

4. Applicazione della «soft regulation o soft law». La novità più importante del nuovo Codice appalti è costituita dal fatto che il decreto n. 50/2016 costituirà una disciplina «auto-applicativa» per cui non è prevista la pubblicazione di un regolamento di esecuzione e di attuazione come avvenuto in precedenza con il dlgs 163/2006 e con il dpr 207/2010.
Infatti il regolamento di attuazione sarà sostituto da «linee guida» predisposte dall’Anac, alcune delle quali saranno successivamente trasformate in decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Quindi con il dlgs n. 50/2016 il legislatore ha abbandonato il dualismo costituito da legge e relativo regolamento di attuazione che avevano sempre costituito il pilastro normativo su cui si sono sempre appoggiati i provvedimenti legislativi di una certa rilevanza. Le linee guida predisposte dall’Anac costituiranno quindi una «soft regulation» o soft law, cioè norme prive di efficacia vincolante diretta che sostituiranno gli strumenti di normazione tradizionali cioè leggi, decreti legislativi, dpr definiti «hard law» che costituiscono invece una normativa a carattere vincolante nei riguardi dei destinatari.

Il termine inglese soft law sta appunto ad indicare una «disciplina flessibile», cioè l’abbandono della regolamentazione di una materia normata da leggi o regolamenti per lasciarla a linee guida predisposte da autorità competenti in materia, in modo da poterla con facilità adattare alla evoluzione che, in generale, contraddistingue la normativa e, nel caso specifico, quella degli appalti di lavori pubblici.

Quindi le linee guida sostituiranno in modo definitivo il dpr n. 207/2010 (regolamento di attuazione del dlgs n. 163/2006) e, come indicato all’art. 213, comma 2, del dlgs n. 50/2016, l’Anac predisporrà, oltre alle linee guida, anche bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, per garantire la promozione dell’efficienza e della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti.

Alcuni esperti del settore formulando dubbi sull’applicazione di questo nuovo criterio normativo evidenziano che confrontando la somma dei 257 articoli del dlgs n. 163/2006 e dei 359 articoli del dpr n. 207/2010 rispetto ai 220 articoli del dlgs n. 50/2016 si ha certamente una semplificazione legislativa, ma, nel contempo, è necessario prendere in considerazione il fatto che gli addetti ai lavori dovranno tenere conto anche delle circa 50 linee guida in corso di emanazione ciascuna delle quali, facendo riferimento a quelle già emanate ufficialmente, dovrebbero essere costituite da almeno 10/ 20 pagine. La scelta di sostituire un solo Regolamento con circa 50 provvedimenti attuativi previsti (tra decreti ministeriali e linee guida Anac) ha destato qualche perplessità da parte del Consiglio di Stato, il quale non ha mancato di osservare come «l’obiettivo di una regolamentazione sintetica e unitaria, chiaramente conoscibile, rischia di perdersi nella moltiplicazione degli atti attuativi».

Anche il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, in un convegno organizzato di recente da Confindustria, ha affermato: «Sono molto preoccupato di come sta avvenendo nei fatti l’attuazione. Io credo che il decreto 50 sia come un ospite: se lo accogliamo con la faccia storta, il fallimento è sicuro».

L’elemento positivo costituito dall’adozione delle linee guida al posto di un regolamento di attuazione (dpr) sta nel fatto che le linee guida possono essere facilmente aggiornate senza che il legislatore sia costretto a seguire il complesso iter legislativo necessario per apportare modifiche ad un dpr.

5. Importanza della «governance». Il termine anglosassone «governance» proviene dal verbo greco «kubernao», usato per indicare l’atto di condurre una nave oppure un carro e può definirsi come il complesso delle strutture, delle regole e delle strategie che presiedono alla gestione di un’azienda, di un ente pubblico o privato o anche alla predisposizione ed all’applicazione di una normativa complessa. Nel campo delle politiche pubbliche, negli ultimi anni la governance è stata caratterizzata da un più ridotto ruolo dello Stato mediante il coinvolgimento di istituzioni pubbliche che possano svolgere un ruolo propositivo e negoziale, infatti il titolo II della parte VI (art. 212 – 215) del dlgs n. 50/2016 è: governance.

L’art. 212 stabilisce che è istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri una Cabina di regia con il compito di:

  • effettuare una ricognizione sullo stato di attuazione del Codice;
  • curare l’adozione, da parte dei soggetti competenti, di decreti e linee guida;
  • esaminare le proposte di modifiche normative;
  • promuovere la realizzazione di un piano nazionale in tema di procedure telematiche di acquisto;
  • promuovere accordi, protocolli di intesa, convenzioni, anche per associazioni private, per agevolare la bancabilità delle opere pubbliche.

La Cabina di regia segnala, sulla base delle informazioni ricevute, eventuali specifiche violazioni o problemi sistemici all’Anac per gli interventi di competenza.
Sulla Gazzetta Ufficiale del 31 agosto 2016 è stato pubblicato il dpcm 10 agosto 2016 che disciplina la composizione e le modalità di funzionamento della Cabina di regia, che è costituita da 14 componenti; il presidente ha facoltà di nominare sino a 10 esperti per partecipare alle riunioni. La Cabina di regia ha anche il compito di esaminare le comunicazioni e gli aggiornamenti della Commissione europea e gli ulteriori adempimenti richiesti per il Codice dagli stati membri.

6. Importanza del «decision making process». Il punto II g 5 del parere del Consiglio di Stato n. 855/2016 evidenzia il fatto che le linee guida Anac sono «atti di regolamentazione flessibile» per cui è necessario compensare questa flessibilità con un più forte rispetto dei criteri di «legalità procedimentale» in particolare applicando l’obbligo di sottoporre le delibere di regolazione ad una preventiva fase di «consultazione».
Questa consultazione costituisce ormai una forma necessaria, strutturata e trasparente di partecipazione al decision making process (processo decisionale) dei soggetti interessati e che ha anche la funzione di fornire ulteriori elementi istruttori/motivazionali rilevanti per la definizione finale dell’intervento regolatorio.
Le successive fasi che costituiscono il decision making process sono:

  • fissazione dei principi secondo cui giudicare le proposte;
  • raccolta di informazioni;
  • analisi e valutazione delle soluzioni proposte;
  • selezione della soluzione migliore;
  • valutazione successiva della bontà della soluzione adottata.

Per questi motivi l’Anac pone sempre in «consultazione pubblica» le bozze di linee guida che va via via predisponendo, riportando nelle corrispondente relazioni Air (Analisi di impatto alla regolamentazione) le principali osservazioni degli stakebolders che hanno e non hanno trovato accoglimento.

7. Contributi alla predisposizione delle linee guida da parte degli «stakeholder». Il termine «stakeholder» è quello utilizzato con più frequenza nelle linee guida in quanto, in considerazione della nuova impostazione data alla loro predisposizione dal legislatore, cioè la sostituzione del regolamento di attuazione con linee guida predisposte dall’Anac, si è ritenuto necessario sottoporre il contenuto delle bozze delle linee guida, prima di pubblicarle nella forma definitiva, ad una consultazione pubblica aperta e trasparente, cioè al giudizio degli «stakeholder».
Con il termine stakeholder (o portatore di interesse) si indica genericamente un soggetto (o un gruppo di soggetti) influente nei confronti di un’iniziativa economica, la cui azione o reazione influenza le fasi o il completamento di un progetto. Questo termine fu utilizzato per la prima volta all’università di Stanford da Edward Freeman che definì «stakeholder» un soggetto senza il cui supporto l’impresa non è in grado di sopravvivere. Per questo motivo le bozze di linee guida, predisposte dopo la pubblicazione del Codice appalti, sollecitavano gli «stakeholder» a fornire osservazioni, formulare proposte e inviare contributi in ordine ai contenuti delle linee guida.

Nelle relazioni Air (Analisi di impatto della regolamentazione) predisposte dall’Anac per le diverse linee guida vengono riportate le principali osservazioni degli stakeholder che hanno trovato accoglimento e quelle che invece non sono state prese in considerazione in quanto in contrasto con il contenuto del dlgs n. 50/2016.
Le relazioni illustrative dell’Anac ricordano che nel corso della consultazione pubblica, relativa alla figura del direttore dei lavori, sono pervenuti 53 contributi da parte di stakeholder, cioè di pubbliche amministrazioni, società pubbliche, associazioni di categoria, ordini professionali, operatori economici, mentre per quanto riguarda la figura del Rup i contributi pervenuti all’Anac, da parte di stakeholder, sono stati ben 115.

8. Il ruolo di «project manager» del Rup. L’Anac, nella relazione Air (Analisi di impatto della regolamentazione) relativa al ruolo del Rup, precisava che, per quanto concerne i requisiti professionali, la scelta è stata di richiedere, per i lavori attinenti all’architettura ed all’ingegneria, oltre al titolo di studio, all’abilitazione all’esercizio della professione, l’iscrizione all’albo professionale e una specifica esperienza professionale, anche un’adeguata formazione,  prevedendo che le amministrazioni inseriscano, nei piani di formazione del personale, specifici percorsi formativi rivolti ai Rup e finalizzati all’acquisizione di competenze in materia di «project manager».

Nella edizione definitiva della Linea guida n. 3 – Nomina, ruolo e compiti del Rup per l’affidamento di appalti e concessioni – approvate con deliberazione n. 1096 del 26 ottobre 2016, si precisa quindi che a decorrere dalla data di entrato in vigore del nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all’art. 38 del Codice, a prescindere dall’importo del contratto, per i lavori particolarmente complessi, secondo la definizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. 00) del Codice, il Rup dovrà possedere, oltre a laurea magistrale o specialistica, abilitazione all’esercizio della professione ed anzianità di servizio ed esperienza di almeno cinque anni, la qualifica di project manager.

I lavori complessi indicati all’art. 3 del Codice sono quelli che superano la soglia di 15 milioni di euro e sono caratterizzati da particolare complessità in relazione alla tipologia delle opere, all’utilizzo di materiali e componenti innovativi, alla esecuzione in luoghi che presentano difficoltà logistiche o particolari problematiche geotecniche, idrauliche, geologiche e ambientali.
Le certificazioni di project management più diffuse in Italia sono:

  • le certificazioni del Pmi (Project management institute);
  • le certificazioni dell’Ipma (International project management association);
  • le certificazioni Prince2 (Project in controlled environment);
  • la certificazione Isipm-base dell’Istituto italiano di project management (Isipm).

Le Certificazioni sono suddivise in due gruppi:

  1. certificazioni di base, a cui si accede senza particolari requisiti di esperienza;
  2. certificazioni professionali, a cui si accede se in possesso di esperienza professionale documentata nel project management.

Queste certificazioni non sono titoli di studio con valore legale, ma semplici credenziali da aggiungere al proprio curriculum vitae.

9. Importanza del«rating» di impresa e «rating» di legalità. La parola «rating» può tradursi in italiano in «valutazione, classificazione, indice, giudizio», espresso da un soggetto esterno indipendente e questo vocabolo, utilizzato soprattutto nel sistema bancario e creditizio, esprime l’affidabilità di uno Stato, di un governo locale, di una azienda o impresa, che emette un titolo, a ripagarlo e la scala utilizzata da vari istituti varia da ‘AAA’ = massima affidabilità per onorare le obbligazioni assunte a ‘D’ = insolvenza, default.

L’art. 83, comma 10, del dlgs n. 50/2016 ha stabilito che è istituito presso l’Anac, che ne cura la gestione, il sistema di “rating di impresa” e delle relative penalità e premialità, da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, per i quali l’Autorità rilascia apposita certificazione. Per il suo funzionamento l’Anac definisce i requisiti reputazionali ed i criteri di valutazione degli stessi, nonché le modalità di rilascio della relativa certificazione mediante linee guida.

Lo stesso comma precisa che i requisiti reputazionali alla base del rating di impresa tengono conto, in particolare del rating di legalità rilevato dall’Anac in collaborazione con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché dei precedenti comportamentali dell’impresa, con riferimento al rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti, all’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione del contratto. Tengono conto altresì della regolarità contributiva, ivi compresi i versamenti alle Casse edili, valutate con riferimento ai tre anni precedenti.

Al riguardo l’art. 213, comma 7, del dlgs n. 50/2016 stabilisce che l’Autorità collabora con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato per la rilevazione di comportamenti aziendali meritevoli di valutazione al fine dell’attribuzione del rating di legalità delle imprese.

L’Anac ha predisposto un documento di consultazione sul rating d’impresa e sui criteri da individuare per la qualificazione delle imprese nel contesto del nuovo Codice, invitando gli stakeholders a fornire consigli e suggerimenti. Il documento di consultazione predisposto dall’Anac precisa che per la realizzazione e l’utilizzo del rating di impresa è necessario chiarire:

  • l’algoritmo di calcolo del rating di impresa e la connessa questione della penalità e premialità degli operatori economici;
  • l’individuazione degli indici reputazionali da utilizzare per il calcolo del rating di impresa;
  • il flusso dei dati che deve intercorrere tra le stazioni appaltanti e l’Osservatorio al fine di permettere all’Autorità di disporre delle informazioni necessarie per calcolare il rating di impresa;
  • l’implementazione del sistema di penalità e premialità e l’eventuale necessità di un periodo di sperimentazione dello stesso.

Per quanto riguarda l’algoritmo di calcolo si prevede di introdurre un meccanismo tipo «patente a punti» per cui da un punteggio massimo = 100 si sottraggono i punti legati agli elementi oggetto di valutazione negativa. Costituisce invece elemento positivo di valutazione l’adozione da parte delle imprese di un modello organizzativo idoneo secondo quanto previsto dal dlgs n. 231/2001.

Il rating di impresa serve quindi a valutare la idoneità delle imprese a partecipare alla gara di appalto e secondo l’art. 84 del Codice, la verifica di questa qualificazione è affidata:

  • alle Soa, per i lavori di importo superiore ai 150mila euro;
  • alle stazioni appaltanti per i lavori di importo inferiore a tale soglia.

Al riguardo il presidente dell’Anac, Cantone, ha precisato che l’obiettivo è realizzare un meccanismo capace di valutare le performance guadagnate sul campo dalle imprese e non mettere in piedi l’ennesima operazione di valutazione formale di requisiti cartacei.

10. Applicazione del «Common procurement vocabulary» (Cpv). L’art. 3, comma 1, lett. tttt), del dlgs n. 50/2016 fornisce la definizione di Common procurement vocabulary, la cui traduzione nella nostra lingua è «Vocabolario comune per gli appalti», che costituisce la nomenclatura di riferimento per gli appalti pubblici adottata dal regolamento Ce n. 2195/2002, assicurando nel contempo la corrispondenza con le altre nomenclature esistenti. Infatti per poter partecipare a gare di appalto dei paesi membri dell’Ue è indispensabile che tutti gli operatori degli Stati membri utilizzino gli stessi termini di riferimento, quindi il Cpv costituisce l’unico sistema di classificazione che può essere utilizzato.

Come indicato nella guida al vocabolario comune per gli appalti pubblici della Commissione europea, l’obiettivo per cui è stato previsto il Cpv è stato quello di standardizzare, mediante un unico sistema di classificazione per gli appalti pubblici, i termini utilizzati dalle amministrazioni aggiudicatrici per descrivere l’oggetto del contratto in modo da offrire uno strumento adeguato ai potenziali utenti, costituiti dagli offerenti, nell’ambito della procedura di aggiudicazione.

Questo sistema ha quindi il fine di semplificare la redazione dei bandi di gara, in particolare con la precisa descrizione dell’oggetto del contratto, stimolando così la massima trasparenza negli appalti pubblici sia di lavori che di servizi e forniture.

Il Cpv si compone di un vocabolario principale, composto da un codice di nove cifre, l’ultima delle quali è una cifra di controllo, per esempio:
4500000 – Lavori di costruzione e, per esempio, in particolare:  45262420 -1 lavori di erezione di strutture in acciaio per fabbricati.
Mentre per quanto riguarda i servizi, per esempio: 90524100 – Servizio di raccolta di rifiuti ospedalieri.

È necessario individuare anche un vocabolario supplementare che ha lo scopo di aiutare gli enti aggiudicatori a descrivere l’oggetto del contratto in maniera più esaustiva, per quanto riguarda:

  • materiali (metallici o non);
  • aspetto, forma, imballaggio, confezionamento;
  • uso designato (didattico, stagionale, postale, pulizia);
  • scala e dimensioni;
  • attributi per costruzione/lavori;
  • servizi di noleggio;
  • servizi di stampa.

La guida della commissione europea riporta alcuni esempi sia relativi ad appalti di servizi che ad appalti di lavori e l’esempio B riguarda un’autorità aggiudicatrice che intende costruire una scuola per l’infanzia e arredarla con mobili e altre forniture scolastiche per bambini.

In questo caso la gara di appalto è duplice e, per quanto riguarda i lavori, il codice a cui è necessario fare riferimento è 45214100 – 1: lavori di costruzione di scuole per l’infanzia, mentre, per quanto riguarda l’arredamento, il codice di riferimento è: 39161000 – 8: arredo per scuole d’infanzia.

11. Applicazione, per le fasi di progettazione, del «Building information modeling» (Bim) . La traduzione nella lingua italiana di Building information modeling è «Modello d’informazioni di un edificio» che è applicabile alla progettazione, oltre che degli edifici, anche delle infrastrutture in genere.

Infatti uno degli obiettivi del nuovo Codice è quello di valorizzare la fase progettuale, anche implementando l’utilizzo di strumenti elettronici, infatti l’art. 23 comma 13, del dlgs n. 50/2016 prevede che le stazioni appaltanti possano richiedere per le nuove opere nonché per interventi di recupero, riqualificazione o varianti, prioritariamente per i lavori complessi, l’uso dei metodi e strumenti elettronici specifici, per la razionalizzazione delle attività di progettazione e delle connesse verifiche attraverso l’uso di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (Bim).

Il Bim costituisce quindi un metodo di progettazione che consente di integrare, in un unico modello, le informazioni utili per le diverse fasi di progettazione architettonica, strutturale, impiantistica ed energetica.

In futuro si avrà una progressiva introduzione dell’obbligatorietà di questi modelli di progettazione che costituiranno parametri di valutazione dei requisiti premianti per la qualificazione delle stazioni appaltanti che devono essere però dotate di personale adeguatamente formato, come indicato sempre dall’art. 23 del Codice.

Il nuovo Codice non prevede ancora l’obbligatorietà dell’uso del Bim ma spinge per il suo utilizzo progressivo e un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di prossima pubblicazione definirà modalità e tempi di applicazione. La Finlandia è stata uno dei primi paesi europei a sperimentare la tecnologia Bim, seguita dall’Inghilterra e dalla Francia.

12. Rispetto dello «stand still». Si intende per «stand still» il «termine dilatorio» che deve intercorrere tra l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto; questo termine ha il fine di tutelare gli interessi degli operatori economici che hanno concorso alla procedura di gara e che intendono valutare la possibilità di ricorrere contro l’aggiudicazione definitiva a chiusura del procedimento selettivo delle offerte.

Al riguardo l’art. 32, comma 9, stabilisce che il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall’invio dell’ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione.
Sempre il comma 9 indica i casi in cui il Rup non è obbligato a rispettare il termine di 35 giorni per effettuare la stipula del contratto, come nel caso in cui è stata presentata o è stata ammessa una sola offerta.

Per individuare con precisione la data da cui partono i 35 giorni è utile la risposta dell’Anac del 20/03/2014 alla richiesta di parere del comune di Andrano (Lecce) in merito alla corretta applicazione del termine dilatorio di trentacinque giorni previsto per la stipulazione del contratto.

L’Anac ha risposto che questa data coincide con l’ultima delle comunicazioni di cui all’art. 79, comma 5, lett. a) del dlgs n. 163/2006 in cui si stabilisce che l’amministrazione comunica di ufficio l’aggiudicazione, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a 5 giorni, all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara.

13. Affidamento dei lavori «in house». L’art. 3, comma 1, lett. t, del dlgs n. 50/2016 fornisce la definizione di «imprese pubbliche», cioè delle imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese.

A sua volta l’art. 2 del dlgs n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) classifica le imprese pubbliche aventi forma societaria in:

  • società a controllo pubblico;
  • società a partecipazione pubblica;
  • società quotate;
  • società in house.

In caso di affidamento dei lavori a «società in house», controllante (stazione appaltante) e controllata (impresa che esegue i lavori) non possono essere considerate parti contrattuali distinte, per cui è consentito all’amministrazione pubblica l’affidamento diretto (cioè, senza gara) dell’esecuzione dei lavori in quanto non si è in presenza di una «esternalizzazione», che imporrebbe esperimento di una procedura competitiva tra diverse imprese.

Non esiste quindi, a carico dell’amministrazione, l’obbligo dell’effettuazione di una selezione concorsuale, in quanto la pubblica amministrazione non affida l’esecuzione dei lavori ad un soggetto terzo, ma praticamente a se stessa.

Si verifica una condizione simile a quella prevista dall’art. 125 del dlgs. 163/2006 relativa all’affidamento di lavori, servizio e forniture in economia che poteva essere effettuato mediante amministrazione diretta o mediante procedure di cottimo fiduciario.

L’art. 5, sempre del nuovo Codice, individua le caratteristiche di queste società e le modalità di controllo dell’amministrazione aggiudicatrice sull’operato delle stesse mentre l’art. 192 istituisce un elenco, curato dall’Anac, delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. Opportuni chiarimenti riguardo alla possibilità di effettuare affidamenti diretti alle società in house sono stati forniti dal comunicato del presidente dell’Anac del 7/09/2016.

14. Utilizzo delle «joint venture».Nella nostra lingua la «joint venture» è una «società mista» tra due o più società che costituiscono un soggetto giuridicamente indipendente dalle imprese che lo costituiscono e viene utilizzata soprattutto in caso di appalti pubblici relativi a progetti molto complessi che richiedono un notevole impegno finanziario.

A capo del raggruppamento che si costituisce viene posta una delle imprese (impresa capogruppo) e i vantaggi di questa cooperazione sono fondamentalmente quelli di ridurre sia i tempi di realizzazione che i costi. La joint venture può essere «contrattuale» attraverso la stipula di contratti che regolano i ruoli e compiti e le responsabilità di ciascuna delle imprese o «societaria» con la quale si costituisce un nuovo soggetto giuridico finalizzato alle realizzazione dell’intervento.

L’art. 6 del dlgs n. 50/2016 stabilisce che la «joint venture» deve essere costituita per svolgere le attività oggetto dell’appalto per un periodo di almeno tre anni e l’atto costitutivo deve prevedere che gli enti aggiudicatori che la compongono ne faranno parte almeno per un periodo di pari durata.
Il comma 2 dello stesso articolo individua le informazioni che gli enti aggiudicatori devono notificare alla Commissione europea per comprovare la regolarità dei requisiti richiesti dalla normativa comunitaria.

15. Finanziamento mediante «project financing». Il punto 2.9 della linea guida Anac n. 5 – Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici – precisa che sono considerati particolarmente complessi gli affidamenti relativi a procedure di project financing.

Il project financing (finanza di progetto) è una complessa operazione di carattere economico – finanziario per la realizzazione di opere pubbliche che utilizza prevalentemente progettualità e capitali privati che potranno essere recuperati una volta che l’infrastruttura sia diventata operativa.

Lo Stato è costretto a ricorrere a questo tipo di finanziamento per la realizzazione di importanti opere pubbliche soprattutto quando le risorse pubbliche scarseggiano.
K.P. Nevitt ha definito il project financing una operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore è soddisfatto di considerare, sin dallo stadio iniziale, il flusso di cassa e gli utili dell’unità economica in oggetto come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell’unità economica come garanzia collaterale del prestito.

16. Possibilità per le imprese di utilizzare l’istituto del «self – cleaning». L’art. 80 del dlgs n. 50/2016, al comma 1, riporta i motivi che determinano l’esclusione di un operatore economico dalla partecipazione ad una procedura d’appalto o concessione in seguito a condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile.

Il comma 7 dello stesso articolo precisa quindi che l’operatore economico che si trovi in queste condizioni, limitatamente al caso in cui la sentenza definitiva abbia stabilito una pena detentiva non superiore a 18 mesi, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

Questa prova di «ravvedimento» è chiamata, al punto 7.1 della linea guida Anac n. 6, «self – cleaning» (auto pulitura) precisando prima di tutto che l’adozione delle misure di self-cleaning deve essere intervenuta entro il termine fissato per la presentazione delle offerte e nel Dgue (Documento di gara unico europeo) l’operatore economico deve indicare le specifiche misure adottate.

Inoltre nella linea guida vengono in dettaglio indicate le misure che possono essere considerate idonee a evitare l’esclusione, oltre alla dimostrazione di aver risarcito o essersi impegnato formalmente e concretamente a risarcire il danno causato dall’illecito.

Infatti l’art. 80 e la linea guida Anac n. 6 hanno l’intendimento prima di tutto di evitare che le imprese effettuino comportamenti scorretti che, incidendo sulla loro affidabilità, precludano loro la possibilità di partecipare a gare di appalto ma anche quello di salvarle, consentendo loro di «ravvedersi» adottando misure di self-cleaning nel caso in cui abbiano effettuato soltanto errori formali o negligenze non dolose, offrendo prova di aver adottato misure adeguate per porre rimedio all’irregolarità e così dimostrare la loro affidabilità come contraente, dimostrando una riabilitazione in self cleaning.

17. Altre espressioni di derivazione anglosassone. 

a) Best pratices (buona pratica, migliore prassi). Espressione citata nella relazione Air della linea guida n. 2 – Offerta economicamente più vantaggiosa – in cui si evidenzia che, poiché si è in presenza di una linea guida non vincolante, finalizzata a fornire indicazioni alle stazioni appaltanti sui criteri da seguire, le stazioni appaltanti devono adottare la best pratices, cioè la «migliore pratica» possibile in relazione alle modalità discrezionali che devono adottare nell’utilizzo della linea guida.

b) Fine tuning (aggiustamenti, modifiche, messa a punto). Espressione citata al punto II.f).5 del parere del Consiglio di Stato n. 855/2016 in cui si evidenzia che l’attività di monitoraggio, effettuata presso gli esperti del settore, prima della pubblicazione ufficiale delle linee guida, è essenziale per la definitiva messa a punto della riforma dei lavori pubblici.

c) Guillottine system. Espressione riportata al punto II.i).2 del parere del Consiglio di Stato n. 855/2016 in cui si precisa che resta in capo al Codice l’effetto abrogante del dpr n. 207/2010, e che il concreto venir meno delle singole normative previgenti è differito temporalmente al momento dell’entrata in vigore dei singoli atti sostitutivi, cioè delle linee guida, ma che è necessario applicare in ogni caso la tecnica del «guillottine system» in modo da prevedere la definitiva scomparsa del regolamento dopo un congruo termine.

d) Elimination and choice traslating reality (Electre). Il «metodo Electre» è citato nella linea guida n. 2 – Offerta economicamente più vantaggiosa – approvata dal consiglio dell’Autorità il 21 settembre 2016 e fornisce indicazioni operative riguardo alla scelta del criterio di attribuzione dei ponteggi per i diversi elementi qualitativi e quantitativi che compongono l’offerta e la successiva aggregazione dei punteggi stessi.

e) direttiva «Utilities». L’Anac nel formulare osservazioni ai contenuti delle direttive comunitarie in qualche caso chiama la direttiva n. 2014/24/Ue «direttiva appalti», la direttiva n. 2014/25/Ue «direttiva utilities» e la direttiva n. 2014/23/Ue «direttiva concessioni».

f) general contractor (contraente generale).L’art. 194 del dlgs n. 50/2016 stabilisce che con il contratto di affidamento unitario a contraente generale il soggetto aggiudicatore affida ad un soggetto dotato di adeguata capacità organizzativa, tecnico – realizzativa e finanziaria la realizzazione con qualsiasi mezzo dell’opera.

Conclusioni

Come si può rilevare dal numero elevato di termini di origine anglosassone riportato nel nuovo Codice appalti, nelle linee guida e nei documenti collegati, anche nei provvedimenti legislativi importanti, come il nuovo Codice Appalti, si va sempre più affermando la moda di questo utilizzo, già da molti anni presente in televisione e sulla carta stampata. Sarebbe però opportuno, per facilitare la più corretta comprensione da parte degli utilizzatori della norma, aggiungere sempre la traduzione in lingua italiana delle espressioni riportate.

Ing. Giulio Lusardi

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here