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«Ripensamento» delle stazioni appaltanti e project management

Nelle more dell’approvazione della qualificazione della stazione appaltante, in questo delicato momento nel quale si stanno decidendo anche le sorti del prossimo governo che dovrà prendersi l’onere della riforma degli appalti pubblici, occorre fare alcune considerazioni. La questione, introdotta dalla determina 1096:2016 e poi 1007:2017 sul Rup project manager non è cosa banale e comporta non solo un affiancamento delle competenze a tecnici di comprovata esperienza, ma anche un ripensamento delle organizzazioni (stazioni appaltanti) che domineranno la gestione dei processi di project management.
L’ESPERTO | ANTONIO ORTENZI
«In quest’articolo non vogliamo dare delle risposte, ma sollevare le domande che dovrebbero porsi le stazioni appaltanti, in particolar modo la grande committenza. Al di là dell’organizzazione che propone la formazione, chi sono i formatori e da quali comparti produttivi arrivano? E ancora: a i miei Pm – detto da una stazione appaltante -, questi formatori saranno in grado in maniera empatica (si parla di formazione non di consulenza) di dare l’idea di sedersi affianco a loro e, ascoltando i loro problemi, accompagnarli nell’applicazione corretta dei processi di pm nelle varie fasi di un appalto pubblico, siano essi Rup lavori e/o Rup Servizi? La riflessione va fatta, e anche in fretta, in quanto i soggetti economici privati, causa anche la crisi, si stanno già organizzando su questi temi e, prima o poi, ne diventeranno interpreti virtuosi».

L’organizzazione e la governance delle stazioni appaltanti sono di fondamentale importanza perché un Rup goda di un contesto idoneo a produrre tutti quegli output tipici di Pm e possa completare tutti i deliverable dei processi (ad esempio: budget, registro dei rischi, piano di comunicazione…).

Questo infatti è un momento molto delicato dove la tendenza è quella di frammentare compiti e responsabilità in più centri in base alle capacità di far fronte a varie fasi del progetto (programmazione/progettazione, affidamento, verifica e controllo), senza contare poi la suddivisione, per capacità intrinseche, su più livelli (Base, Medio, Avanzato e Superiore).

Bisognerà prestare molta attenzione perché, come sappiamo, il Rup è nominato in fase di programmazione quando viene indicato il Cup (Codice Unico di Progetto) e termina il suo mandato con l’inaugurazione (e collaudato) di un’opera oppure, per esempio, con la messa in esercizio di una strada. I Rup dei lavori di “domani” avranno anche l’altissima responsabilità di avere una visione a lungo termine del progetto che fino a oggi è stata molto blanda cioè, anche grazie al Bim, dovranno “fare i conti” con il ciclo intero di vita di un’opera pubblica e i relativi costi di manutenzione, gestione e abbattimento/riconversione.

 Ruolo del Rup e ciclo di vita del costruito

Queste scelte (la progettazione in particolar modo), che vanno oltre il progetto, hanno un alto impatto sulle decisioni e sui budget dei Rup servizi e forniture che dovranno appaltare la parte di facility management.

Avere dunque una governance forte è d’importanza strategica. Il project management, in riferimento alla norma Uni Iso 21500, si sofferma in maniera indicativa proprio sulla parte dell’individuazione degli stakeholder e sull’organizzazione di progetto partendo dall’ambiente esterno, quello organizzativo ove si studia la strategia, l’ambiente di progetto dove risiede la governance, l’organizzazione di progetto e infine indica i vari tipi di progetti che possono essere di processo, di prodotto e di supporto.

Ridondanza dei processi e gestione digitale

In Italia negli anni, nel tentativo di fare ordine, si sono succedute varie leggi (n. 241/90; 69/2009; 190/2012) per cui nell’affanno d’incastonare i concetti di Procedure, Processi, Procedimenti e Provvedimenti si è ottenuto un surplus normativo e documentale che ha agevolato quella che da più parti, in senso dispregiativo, chiamano burocrazia.

La burocrazia, essendo l’insieme di tecniche e strumenti per il raggiungimento di un obiettivo (modello telocratico) che quindi determina gli output di un processo e se ben applicata risulta utile per raggiungere gli obbiettivi, anche in una visione di Spoil System.

Negli anni si è operato soprattutto sulla sburocratizzazione per “alleggerire” il carico di lavoro, non comprendendo che purtroppo i processi erano ridondanti e questo fenomeno è ancor di più grave oggi, essendo in atto una trasformazione verso il digitale.

Se votati a una corretta gestione dei progetti, con una governance appropriata, i processi di project management con le varie verticalizzazioni, evoluzioni e specializzazioni come ad esempio l’Agile e il Lean, ci possono aiutare ad avere organizzazioni performanti e cogenti in termini di digitalizzazione.

Programmazione della formazione professionale

La questione della formazione, in un paese come il nostro che tende ad andare “a braccio” e ad avere una scarsa programmazione, è di fondamentale importanza. La determina 1007:2017 che indica il Rup Pm, ma anche il dm del Mit n. 560 sul Building Information Modelling, nella loro intenzione, tendono a far fare un primo passo in avanti alla normativa sui lavori pubblici verso la gestione virtuosa e la digitalizzazione ma un mancato regolamento e un mancato riferimento alle norme Uni (11337 per il Bim e 11648 e 21500 per la parte di project management) offrono il fianco a due altissimi rischi.

Il primo è quello di una deregulation al quale il mercato tende in maniera naturale l’altro, ben più grave, è quello di una formazione approssimativa e inadeguata. Il project management per sua natura è una metodologia trasversale applicabile a diversi comparti produttivi come ad esempio quello bancario, quello sanitario, quello degli eventi… L’Italia, relativamente alla pubblica amministrazione, si è avvicinata, per la prima volta al Pm grazie alla determina Anac sulla figura del Rup e sulla legge negli appalti pubblici.

Formatori: teoria e conoscenza pratica

A oggi il mercato della formazione professionale (in questo articolo non si fa nessun riferimento alla parte accademico/universitaria) consta di presunti formatori che, studiata la “lezioncina” di Pm, pensano di poter fare offerte formative verticali nel settore specifico, in nome di una trasversalità metodologica.

Formatori (grandi luminari del project management) che non hanno mai letto una gara pubblica di lavori o di servizi, o che non sono mai stati in un cantiere di un’opera pubblica o che addirittura non hanno la minima base tecnico/amministrativa su tali temi.

Ad esempio, come si fa a parlare con un Rup tentando di spiegare la Wbs di un progetto senza avere la minima idea dei prodotti principali (Obs) che deve produrre (deliverable) come la progettazione e l’esecuzione? O ancora come si pretende di formare un Rup non sapendo la differenza tra una procedura (procedura di gara… altro prodotto del progetto) e una determina o un decreto? Ricordiamo che tutti i testi di project management consigliano che almeno una minima base tecnica relativa al settore nel quale si opera, ci deve essere.

Questi suggerimenti sono già prassi nei paesi di matrice anglosassone, Inghilterra ed Usa in primis, dove il project management è nel dna di tutti i comparti produttivi da decenni perché viene insegnato fin dalle scuole secondarie, approfondendo solo in seguito le discipline settoriali. Risulta quindi essere un percorso più facile rispetto all’Italia dove siamo ancora all’anno zero.

di Antonio Ortenzi
Ha lavorato per 18 anni in grandi aziende di costruzioni generali come capo contabile dei lavori e direttore di cantiere. Consulente e giornalista pubblicista, tratta temi d’innovazione dei processi nel comparto edile. Formatore professionista di Project Management nelle costruzioni e Bim per la parte 4D (tempi) e 5D (costi). È Project Manager certificato Uni 11648. Coautore del libro «Project Management in edilizia nelle costruzioni civili. Manuale per Rup e Project Manager».

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