Punti di Vista | Giordano Riello, vice-presidente Ggi Unindustria Rovigo

«Ristrutturiamo le municipalizzate»

L'Italia mantiene 7mila partecipate che stipendiano 300mila dipendenti, 16mila amministratori, 12mila componenti degli organi di controllo e 3mila dirigenti. Fatturano 43 miliardi di euro, ma ne investono 115. Per Giordano Riello è l’ora di dare spazio a responsabilità e meritocrazia intervenendo in maniera significativa sulla voce perdite.
Giordano Riello | Vice-presidente Ggi Unindustria Rovigo
Giordano Riello | Vice-presidente Ggi Unindustria Rovigo

Le municipalizzate italiane rappresentano oggi un serio ed evidente capitolo oscuro nel bilancio dello Stato. Le partecipate locali rendono il dissesto economico del Paese ancora più evidente laddove si voglia indagare sulla loro natura e sui loro effettivi scopi. Lo studioso che si volesse accostare alla tematica partirebbe dall’analisi del numero di queste partecipate: qui troverebbe la prima incognita nella sua operazione. Non ne si conosce il numero esatto. Un dato che ha portato Cottarelli a definire questo ambito come una giungla, un settore nel quale diventa difficile, se non impossibile, vedere ed avanzare nelle analisi. Perché se si scavasse ancor più a fondo si troverebbero una moltitudine indefinita di scatole cinesi che discendono dalle stesse, ergo dall’ente di appartenenza, allargando un orizzonte di sprechi che appare senza limiti.

Non basta. Perché una recente sentenza della Corte dei Conti ha definito il mondo delle partecipate come oscuro e poco trasparente rafforzando il bisogno di intervenire il prima possibile in questo settore. Una ristrutturazione chiara ed incisiva è dunque un’operazione che ad oggi appare essenziale e bisognosa di attuazione.
Le società partecipate hanno un forte peso sui conti pubblici, i quali vengono intaccati da risultati di gestione che spesso vedono il segno meno precedere i relativi numeri di bilancio. Proprio questa gestione delle municipalizzate causa una dispersione di miliardi di euro l’anno, generando allo stesso tempo un vortice negativo che ingrossa a dismisura il debito pubblico. E le conseguenze di questo processo sono immediatamente identificabili: crisi economica e ricorso ad una maggiore pressione fiscale. I numeri parlano chiaro. L’Italia mantiene 7mila partecipate che stipendiano 300mila dipendenti, 16mila amministratori, 12mila componenti degli organi di controllo e 3mila dirigenti. Fatturano 43 miliardi di euro, ma ne investono 115. Dati che non lasciano spazio ad interpretazioni filosofiche.

Il problema si autoalimenta quando, scavando più a fondo, si scopre che troppo spesso le assunzioni all’interno di questa citata giungla sono frutto di nomine politiche, in un meccanismo perverso di favori che deve terminare quanto prima. Gli esiti altrimenti saranno quelli visibili e già analizzati: consulenze inutili e sprechi per acquisti di forniture a prezzi fuori mercato. Un consociativismo, quello descritto, in cui la politica appare troppo spesso principale interprete dando vita a centri di potere che arrivano a minare la libera concorrenza nel mercato dei servizi pubblici. Difficilmente poi si capisce come mai queste società debbano intervenire in settori dell’economia non solo ampiamente coperti da privati, ma parimenti occupati da altre partecipate, finendo dunque per offrire servizi non indispensabili alla collettività. Tutto questo in un’ottica che negli ultimi anni ha difeso l’intervento del pubblico nell’economia tout court, senza considerare i parametri che rischiano di creare monopoli inaccessibili in fasce del mercato che dovrebbero essere lasciate alla libera concorrenza per accrescere la ricchezza del territorio.

L’evidente sottolineata tendenza a produrre perdite e ad assumere in maniera incontrollata rispetto alle reali esigenze rende quindi le aziende municipalizzate un deplorevole ma chiaro esempio di clientelismi e deficit economico. Se il Governo volesse intervenire in maniera significativa sulla voce perdite dello Stato, un deciso ridimensionamento delle municipalizzate porterebbe risparmi quantificabili in 12,8 miliardi di euro. Si parla spesso di spending review, ma ci si dimentica di quella sostenibilità economica che implica un benessere, preferibilmente crescente, che deve favorire la prospettiva di lasciare alle generazioni future una qualità della vita pari se non superiore a quella attuale. Occorre dunque un nuovo senso di responsabilità e meritocrazia, se si vuole pensare di risollevare le sorti di questo Paese, altrimenti lasciato in preda ad un sistema che rischia di implodere quanto prima.

Giordano Riello, vice-presidente Gruppo giovani imprenditori Unindustria Rovigo

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here