Punti di Vista | arch. Alfonso Di Masi

Salerno, architetture di confine

Le vicende neo-capitalistiche salernitane segnano il punto culminante delle speranze di palingenesi sociale da cui sono animati gli utopisti sommersi della “città-territorio”, mentre il letale sopravvento della globalizzazione delle merci e delle idee produce un generale scoramento, una bieca omologazione, da cui non restano immuni gli architetti.

Arch. Alfonso Di Masi

La distanza tra teoria e prassi si rivela troppo grande per pensare a un civile riequilibrio delle forze in gioco nella “città-territorio”, intesa non come subdola sovrapposizione di interessi, ma come “iperspazio”, in cui sono coinvolte tutte le parti in gioco e i reali soggetti potenziali.
In un’ottica pseudo-rivoluzionaria (usando un termine desueto) si potrebbero riscoprire le ragioni per la riappropriazione del proprio spazio, si perché, per chi se ne fosse dimenticato, lo spazio della città (ossia le opportunità che da esso derivano) sono patrimonio di tutti, senza doversi continuamente interrogare sull’infinità di “occasioni perdute”, sul trascorrere monotono del tempo.
A Salerno, dovrebbe essere questo momento di revisionismo ideologico, in cui la politica del territorio, dalla “porta est” alle direttive comunitarie permetta di trovare una giustificazione, la risposta a un interrogativo: quando si fermerà il treno in corsa?
Indubbiamente i “salotti buoni” dell’attuale “cultura ufficiale” del Belpaese, disdegnerebbero il Manifesto di Marx ed Engels, ove si fomentava una proposta decisamente alternativa alla parziale riforma delle classi dominanti; in cui il dibattito politico si spostava su questioni di principio, oserei dire reali e non faziose, sostenendo un pensiero edotto e creativo, in cui uno sviluppo “per pezzi”, retaggio di repentine tecniche urbanistiche, cedesse il passo alla “visione dello sviluppo”, ancora una volta edotto e creativo (instrumentum regni).
Lo strumento operativo? Gli intellettuali e gli architetti, se ci sono (purtroppo, non più forieri di modelli teorici di sviluppo credibili)!
E soprattutto, qualora riuscissero a rivendicare una propria autonomia culturale e rimanere incolumi a meccanismi schizofrenici modello new-economy, vittime dell’efficientismo di facciata della classe politica. Come dire: l’incarico a tutti i costi? No.
Vediamo di che si tratta, anche per quelli con il passaporto in tasca.

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