Decreto del Fare | Dismissioni

Tempi stretti per il federalismo demaniale

Gli enti locali che intendono acquisire la proprietà dei beni statali potranno inviare la richiesta all’Agenzia del Demanio dal 1° settembre al prossimo 30 novembre. Entro breve verranno presentate dall’Agenzia le modalità tecniche e il modello standard informatizzato di richiesta.

Il decreto del Fare, appena convertito in legge, ha incorporato un emendamento che riguarda le dismissioni.
Dopo essere rimasto fermo tre anni il decreto legislativo riguardante il passaggio a titolo gratuito degli immobili dello Stato a Comuni, Province, Città metropolitane può dirsi concluso, con la novità introdotta al Senato che riserva allo Stato oltre al 25% del ricavato della vendita degli immobili trasferiti anche il 10% di quanto i sindaci incasseranno se decideranno di vendere il proprio patrimonio originario.
Il concetto di fondo è quello dell’abbattimento del debito a fronte di una situazione economica eccezionale ma gli enti locali sembrano non essere d’accordo pur riconoscendo che la ripartenza del federalismo demaniale può significare per gli enti locali una consistente opportunità.
L’Anci ha già indirizzato a tutti i cittadini italiani una comunicazione ricordando la procedura prevista dal decreto legge n. 69/2013 e assicurando uno specifico supporto attraverso i propri uffici e quelli della Fondazione Patrimonio Comune.
Gli enti che intendono acquisire la proprietà dei beni statali potranno inviare la richiesta all’Agenzia del Demanio dal 1° settembre al prossimo 30 novembre. La richiesta deve essere presentata con modalità tecniche che verranno definite dall’Agenzia (ora infatti si sta approntando un modello standard informatizzato di richiesta).
L’emendamento sul federalismo demaniale prevede tempi strettissimi per il riscontro da parte degli locali: 60 giorni dalla ricezione dell’istanza per la comunicazione dell’esito positivo o negativo che sia. Se sullo stesso immobile dovessero giungere richieste di attribuzione da parte di più livelli di governo, il bene sarà trasferito in via prioritaria alla Città metropolitana e al Comune, in subordine alle Province e alle Regioni, sulla base del principio di sussidiarietà.
Attenzione ad un aspetto: gli immobili trasferiti agli enti locali torneranno allo Stato qualora l’Agenzia del demanio accertasse che a distanza di tre anni dal trasferimento degli immobili, questi non siano stati utilizzati dall’amministrazione.

Pericolo d’incostituzionalità

L’obbligo previsto dal decreto del Fare di destinare una quota dei proventi delle dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti locali alla riduzione del debito dello Stato è ritenuto a rischio d’incostituzionalità. Ricordiamo che in sede di conversione del decreto legge è stato approvato un emendamento all’art. 56 bis che obbliga gli enti locali a devolvere il 10% delle risorse nette derivanti dalle dismissioni del proprio patrimonio originario immobiliare al Fondo per l’Ammortamento dei titoli di stato, salvo che una percentuale uguale non sia destinata per legge alla riduzione del debito dell’ente proprietario. Questa previsione rischia di essere censurata dalla Consulta.
Infatti con la sentenza n. 63 del 26 marzo scorso è stata dichiarata illegittima costituzionalmente un’analoga norma (art. 66, comma 9 del dl 1/2012) riferita alle operazioni di dismissione dei terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola. Accogliendo il ricorso della Regione Veneto, i giudici hanno ravvisato un vulnus al principio dell’autonomia finanziaria in quanto la disposizione determinava un’indebita appropriazione da parte dello Stato di risorse appartenenti agli entri territoriali, in quanto realizzate attraverso la dismissione di beni di loro proprietà e con questo sottraeva il potere di utilizzare dei propri mezzi finanziari.
Neppure la necessità di far fronte alla eccezionale emergenza finanziaria del paese, concetto ribadito nel caso del decreto del Fare, è stata considerata sufficiente: l’unico obbligo che lo Stato può imporre sui beni propri degli enti locali è quello di destinare i proventi delle alienazioni all’estinzione dei loro debiti ma non quello di concorrere con queste risorse alla riduzione del debito statale.

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