Punti di Vista | Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti

Trasformazioni del territorio e qualità dell’ambiente: perché non è accettabile l’opzione zero

I veri problemi sono la scarsa cultura della committenza, il dissidio tra la percezione del diritto di proprietà e l'interesse pubblico, l'individualismo e il temperamento anarchico privi di visione sociale, che cozzano contro la radice ancora autoritaria delle leggi di pianificazione e di tutela.

Ogni attività di trasformazione di un bene finito e non riproducibile qual è il territorio, deve apportare un accrescimento di valore e non un depauperamento ambientale.

Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti.

La società pone oggi l’ambiente tra i fondamenti della struttura formale e materiale della comunità, della qualità della vita, della conservazione della cultura, della memoria storica e dell’identità di un popolo. Ciò a maggior ragione per l’Italia, dove ovunque storia e arte hanno lasciato tracce e la natura ha conformazioni di pregio e dove sono ricorrenti alluvioni, frane e terremoti, che derivano dall’incuria e dal cattivo uso del suolo o dalla realizzazione di abitati in aree a rischio.

Quindi architetti e ingegneri propugnano l’applicazione di un sistema normativo che garantisca la conservazione e l’incremento della bellezza, della salubrità, della sicurezza e della qualità ambientale.

Ma non per questo il territorio italiano deve essere tramutato in un museo totale, in un’immensa Pompei destinata a un triste declino e che finirebbe anzi per assomigliare a una mostruosa Disneyland.

L’Italia, invece vive in pieno le dinamiche dei paesi progrediti e vuole incrementare o almeno conservare il suo benessere, oltre che recuperare ritardi sociali e errori storici.
Purtroppo molto si è compromesso e si continua a manomettere in campo ambientale, malgrado le norme in materia si siano concretizzate in un corpus imponente, ma ciò dimostra solo che le norme da sole non sono efficaci.

Infatti i veri problemi sono la scarsa cultura della committenza, il dissidio tra la percezione del diritto di proprietà e l’interesse pubblico, l’individualismo e il temperamento anarchico privi di visione sociale, che cozzano contro la radice ancora autoritaria delle leggi di pianificazione e di tutela. Quindi è vero che non si devono più sacrificare il territorio agricolo, il paesaggio e i centri storici, ma non si deve pensare che ciò si possa ottenere con ulteriori inasprimenti normativi, che si ridurrebbero a “grida” delle quali s’è già sperimentata l’inefficacia. O meglio, grida che continuerebbero a porsi come ostacoli insuperabili per le iniziative della gente comune, per rimanere al solito inefficaci rispetto agli interessi più forti.
Peraltro è sotto gli occhi di tutti che la trasformazione dell’economia e dei modi della produzione hanno reso superflue intere aree produttive e fatto abbandonare le fasce agricole inadatte alla produzione agroindustriale, mentre altre esigenze della produzione e del vivere civile continuano a riprodursi, con richieste di stabilimenti, infrastrutture e servizi, i cui lay-out sono determinati da necessità logistiche, dimensionali, economiche, che impongono a volte soluzioni ex novo.
Esigenze che spesso derivano da opportunità che si presentano favorevoli sotto il profilo socio-economico in un momento spesso misurabile in pochi mesi, come treni che passano e che se rifiutati saranno presi da competitori d’altri paesi.
Ma se la popolazione e le sue rappresentanze rispondono in genere con la rissosità e il ribellismo alle iniziative che incidono sull’ambiente, bisogna anche chiedersi se è idoneo il confronto degli operatori pubblici e privati, col diritto delle comunità a condividere o, se necessario, interferire con le decisioni assunte dalle loro stesse rappresentanze politiche.

La Val di Susa, il Ponte sullo Stretto, la variante di valico, la Pedemontana veneta, gli inceneritori e i rigassificatori, sono esempi di difficoltà di rapporti e di malintesi che avvelenano la vita del Paese.

Rimettendo in discussione il sistema delle regole bisognerà quindi accettare, assieme all’efficacia decisionale, anche la legittimità di una «ragionevole ingerenza» da parte dei cittadini rispetto alle ragioni dei tecnici e alle strategie dei politici, in un sistema democratico fondato sulla delega e non sul plebiscito. Quindi molto si condensa sull’ambiente: i risvolti sociali, economici e occupazionali, si sovrappongono ai delicati problemi paesaggistici e ambientali, tutti fenomeni da affrontare in termini ideali, etici, sociali, con un pragmatismo che richiede tutta la cultura, le abilità, le tecniche di un Paese che senza compromettere ulteriormente il proprio ambiente, vuole mantenere il benessere e il welfare faticosamente conquistati.

Ne consegue che nessuna soluzione, nessuna opportunità può essere scartata a priori in modo generalizzato e quindi che l’opzione zero (nessun nuovo insediamento su aree inedificate) non può essere introdotta senza idonei contrappesi. Una breve diagnosi, alla quale faremo seguire altrettanto sintetiche ricette, in un prossimo intervento.
Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti

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