Punti di vista | Bruno Gabbiani, Presidente Ala Assoarchitetti

Nuovo Codice dei contratti: due criticità fondamentali

Architetti e ingegneri sono consapevoli che gli spazi di modifica del testo del nuovo Codice dei contratti sono estremamente ristretti. ALA tuttavia deve segnalare che il testo contiene almeno due istituti fortemente pregiudizievoli: l’appalto integrato e la progettazione in house della pa. Si tratta di due strumenti resuscitati per governare la complessità banalizzandola e per ottenere il consenso del mondo del lavoro dipendente della pa, che è dotato di un forte potere di veto.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

Architetti e ingegneri sono consapevoli che gli spazi di modifica del testo del nuovo Codice dei contratti sono estremamente ristretti. ALA tuttavia deve segnalare che il testo contiene almeno due istituti fortemente pregiudizievoli: l’appalto integrato e la progettazione in house della pa.

Si tratta di due strumenti resuscitati per governare la complessità banalizzandola e per ottenere il consenso del mondo del lavoro dipendente della pa, che è dotato di un forte potere di veto.

Per farne uno slogan: l’emergenza eletta a sistema. Tuttavia i due istituti nulla hanno a che vedere con l’efficienza e soprattutto con la ricerca della qualità del progetto e delle opere.

Il Codice, alla Parte IV “Della progettazione” all’art. 44, recita: “Negli appalti di lavori, con la decisione di contrarre […], la stazione appaltante o l’ente concedente, se qualificati, può stabilire che il contratto abbia per oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvato.” e all’art. 45, conferma le “risorse finanziarie per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti […], in misura non superiore al 2 per cento dell’importo dei lavori, dei servizi e delle forniture, posto a base delle procedure di affidamento”.

Tralasciamo d’entrare nel vivo di questa elargizione ai dipendenti pubblici di una percentuale sulle opere progettate, che potrebbe apparire minimale, ma che invece è cospicua se si considera che è netta di spese di struttura, che viene svolta inevitabilmente durante le ore di servizio già retribuite e che i controlli sulla validità dei progetti saranno effettuati da altri colleghi dipendenti della pa.

Gli incentivi dovrebbero essere invece riservati a implementare i ruoli istituzionali specifici dei dipendenti, quali le funzioni di programmazione e di Rup e non per redigere progetti poveri di contenuti.

Infatti l’affidamento di soverchianti incarichi progettuali alle deboli e antiquate strutture in house della pubblica amministrazione, non potrà condurre né alla qualità, né all’innovazione e nemmeno alla ricercata rapida fattibilità delle opere, se non accompagnata dal corrispondente e sbrigativo affidamento all’appaltatore delle ulteriori fasi della progettazione esecutiva.

Un meccanismo sommario e cinico, che soddisfa il potere di veto della burocrazia, ma che poco o nulla si cura della trasparenza dei procedimenti e della qualità del prodotto finale, per realizzare il quale il Paese si sta indebitando a lunghissimo termine.

Quindi da qui proviene la parallela reintroduzione dell’appalto integrato, una formula che era stata addirittura vietata, con l’art. 59 del dlgs 50/2016, anche se successivamente, il Ministero aveva stabilito che eccezionalmente, fino al 30 giugno 2023, (l’appalto integrato) “non sarebbe più stato soggetto alla presenza di una prevalenza tecnologica o innovativa delle opere da affidare”, unica eventualità che avrebbe giustificato questa procedura.

Ora il Governo temendo di perdere i fondi straordinari europei, individua l’appalto integrato come strumento idoneo ad accelerare le procedure e a rispettare i termini tassativi per l’erogazione dei finanziamenti. Sulla scia del controverso “caso Morandi” è il ricorso a un ideale astratto di semplificazione: ancora una legislazione d’emergenza, che non tiene in conto la qualità delle opere da realizzare.

Una volta ancora il Governo, per gestire il groviglio delle norme che il Parlamento ha stratificato e che rendono ormai quasi impossibile programmare e a volte realizzare le opere pubbliche e private, scavalca le proprie stesse normative e ricorre addirittura a una procedura (l’appalto integrato) precedentemente giudicato dannoso, tanto da essere vietato.

La motivazione di tale divieto rimane invece valida e forte e l’obiettivo odierno di salvare comunque i fondi europei con un’ulteriore deroga alle regole, senza troppa attenzione alle condizioni necessarie per ottenere la qualità e la durabilità delle opere, non ha eliminato le contraddizioni.

È così evidente che entrambe le scelte del nuovo Codice costituiscono punti deboli fondamentali. L’affidamento delle progettazioni preferenzialmente alle strutture interne all’Amministrazione pubblica, non tiene conto che questa non ha gli strumenti né la professionalità, né il tempo, per eseguire progettazioni complesse di adeguata qualità.

Porre poi la delicatissima fase della progettazione esecutiva alla discrezione dell’appaltatore, significa affidarsi al soggetto che, per antonomasia è portatore di un legittimo ma insanabile conflitto d’interessi con la stazione appaltante, dal momento che l’appaltatore ha come inderogabile missione l’utile d’impresa.

Dobbiamo quindi affermare nell’interesse generale del Paese, che non è con queste formule che il Governo potrà assicurare la realizzazione in qualità delle opere finanziate con il Pnrr e con gli altri fondi.

E tutto questo non soltanto per la tutela della struttura libero professionale della progettazione italiana, che da decenni soffre dell’incertezza normativa e della contradditoria altalena di provvedimenti, che penalizzano la capacità produttiva degli studi e la loro possibilità di strutturarsi e di competere sullo scenario europeo e internazionale.

Ma chiediamo anche al Governo, una maggiore cultura della trasparenza dei procedimenti e della separazione dei ruoli, proprio per pervenire all’efficacia degli investimenti pubblici e alla maggiore qualità delle opere.

di Bruno Gabbiani
Presidente ALA Assoarchitetti

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