Punti di Vista | Angelo Lancellotti, presidente Ance Napoli

Occorre capitalizzare questo momento favorevole per costruire il mercato di domani

Lavori pubblici, edilizia privata, incentivi fiscali, rigenerazione urbana, enti locali, lotta al lavoro nero, ... tanti i temi toccati dal neo presidente di Ance Napoli, Angelo Lancellotti, con l'obiettivo di porre mano a progetti che possano ridare a Napoli e alle sue imprese edili la centralità che meritano. Come? Facendo squadra con gli Ordini Professionali, le Università, i Sindacati e tutte le associazioni del territorio in sincronia, come le corone di un orologio.

Dalla relazione del neoeletto presidente di Ance Napoli, Angelo Lancellotti, all’assemblea generale delle imprese associate.

Angelo Lancellotti | Presidente di Ance Napoli.

(…) Mi accingo a rivestire quest’incarico con la consapevolezza degli impegni e delle responsabilità che ne conseguono e posso garantirvi che farò di tutto per curare, sostenere e far crescere la nostra associazione, affinché possa essere, per altri, ciò che è stata per me.

I prossimi saranno anni decisivi per le nostre imprese! L’attuale quadro politico induce, rispetto al recente passato, ad un cauto ottimismo.

Non abbiamo mai avuto tanta credibilità internazionale – grazie al presidente del Consiglio, Mario Draghi – e lo stesso può dirsi con riferimento alla Regione Campania ed al Governo della nostra città che vede finalmente una Giunta di alto profilo, con riconosciute competenze ed un Sindaco, che sin dall’esordio ha manifestato visione strategica e capacità di fare.

Moderatamente ottimistiche sarebbero anche le prospettive per il nostro settore, se il nostro Paese non fosse chiamato, oggi, a fronteggiare gravi emergenze: la guerra in Europa, la ripresa dell’inflazione e la carenza di materie prime.

I c.d. “incentivi fiscali” hanno consentito, finora e non senza difficoltà, una notevole ripresa e le prospettive per il futuro, considerato il piano di spesa del Pnrr, fanno ben sperare.

Ciononostante occorrerà impegnarsi a fondo per poter raccogliere appieno gli effetti benefici della massa di liquidità immessa sul mercato attraverso questi strumenti e provare, contestualmente, a porre rimedio a problemi che affliggono da tempo il nostro settore.

Negli ultimi due decenni il mercato dei lavori pubblici, in cui moltissime delle nostre imprese sono impegnate, ha visto una graduale ma inesorabile riduzione di fondi a disposizione. La crisi economica del 2008 e gli anni che sono seguiti hanno, solo, aggravato alcune patologie.

La spinta verso il gigantismo degli appalti, iniziata nel 2001 con la Legge Obiettivo, ha raggiunto, con i diversi decreti “semplificazioni”, il suo apice con effetti distorsivi delle più banali regole di concorrenza. Il risultato è che oggi ci troviamo a competere con poche grandi imprese, sostenute artificiosamente dal sistema bancario, in un mercato in cui il primo operatore è un soggetto partecipato da Cassa Depositi e Prestiti.

Allo stesso tempo, l’uso distorto dei Consorzi Stabili, in uno con l’istituto dell’avvalimento, ha vanificato tutti i tentativi d’introdurre, nel nostro sistema di qualificazione, criteri quali-quantitativi che potessero premiare il know-how, le risorse e il curriculum dell’impresa, senza per questo cedere a criteri soggettivi nel senso più deteriore del termine.

A questo quadro, già di per sé preoccupante, fa da cornice una normativa tanto ipertrofica quanto instabile.

Il DL 50/2016 che mi rifiuto di chiamare Codice perché non ne ha né il rango né il valore, in un Paese che non manca di cultura giuridica, è una vera e propria offesa per tutti gli operatori del settore.

Frutto di una classe politica autoreferenziale e poco incline al dialogo, al punto da sottrarsi a qualsiasi confronto, il DL 50/2016 esprime, ancora oggi, nonostante le numerose modifiche e integrazioni, tutti i suoi effetti nefasti. Non per altro il ricorso ai Commissari Straordinari, da eccezione è diventata regola.

Infine, l’utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa come criterio di aggiudicazione sempre più diffuso, quanto ingiustificato, unitamente alle norme che regolano, riducendola, la pubblicità dei bandi delle licitazioni private fanno sì che, per le imprese del Mezzogiorno, sia sempre più difficile acquisire commesse fuori dai confini regionali. Ciò in uno con l’evidente minor disponibilità di risorse pubbliche ha causato un grave indebolimento delle nostre imprese. Di peggio, credo, non avremmo potuto immaginare!

Occorre, pertanto, portare avanti un’azione incisiva insieme alla nostra associazione nazionale, affinché si riesca a sostenere la definizione di un quadro normativo certo ed efficace che restituisca dignità alle imprese e riequilibri il sinallagma nei contratti pubblici, oggi troppo sbilanciato a favore delle PP.AA. Un impianto normativo che sia capace di garantire condizioni di trasparenza e concorrenza per tutte le imprese, indipendentemente dalla dimensione e dalla collocazione geografica.

Altrettanto urgente è intervenire sul mondo del credito che, anche a causa di alcune scelte sciagurate è sempre meno aperto al nostro tessuto imprenditoriale, fatto di piccole e medie imprese percepite, oggi, come un fastidio piuttosto che una risorsa… come sono sempre state.

La vicenda degli Npl e, ancor più quella relativa agli Utp, è emblematica di quest’impostazione. Si è preferito prediligere la finanza a discapito dell’economia reale con l’effetto che le banche hanno scelto, talvolta artatamente, di mettere le posizioni in incaglio anche quando erano ancora recuperabili. Un attacco alle piccole e medie imprese ancor più evidente con la legge sulla crisi d’impresa che più che finalizzata a scongiurarla sembra fatta apposta per generarla.

In questo contesto, difficile e in rapida evoluzione, le nostre imprese dovranno farsi trovare pronte iniziando, sin da ora, a investire nella formazione di risorse umane e in tecnologia, assicurandosi un cambio di passo che possa effettivamente proiettarle verso il futuro.

Per questo motivo non può che essere visto con estremo favore l’effetto booster, sul nostro settore e sull’intera filiera, dei lavori finanziati con i c.d. “incentivi fiscali”. In due anni il Pil di settore è cresciuto di circa il 15%, percentuale che in Campania cresce fino al 17%. Nell’area metropolitana di Napoli la massa salari denunciata alla Cassa Edile, rispetto ai livelli pre-pandemia, sfiora il più 18%.

Considerato che le costruzioni occupano, nella nostra Regione, circa il 30% dei lavoratori dell’industria, è evidente la spinta allo sviluppo sociale ed economico che il nostro settore apporta.

Consentitemi, però, di ricordare che investire nella riqualificazione del patrimonio edilizio, non è un modo per sussidiare le nostre imprese ma uno strumento per ammodernare i nostri edifici aumentandone la sicurezza sismica e riducendone i consumi energetici atteso che, a oggi, generano il 36% delle emissioni di CO2 e consumano il 40% dell’energia nazionale.

Purtroppo, però, anche questo trend positivo legato ai “bonus fiscali” e alla prospettiva del Pnrr rischia di subire un rallentamento. Infatti, i dati per il 2022, presentati poche settimane fa dal Centro Studi dell’Ance, guidato dal nostro punto di riferimento romano, il vicepresidente nazionale Rudy Girardi, ipotizzano una crescita molto moderata a causa di una combinazione di più fattori.

Innanzitutto la continua mutazione del quadro normativo relativo ai bonus fiscali. Non c’è dubbio che le truffe vadano prevenute e, noi, da sempre, chiediamo controlli più severi sia dei processi che delle imprese. La strada, però, non può e non deve essere quella di ostacolare l’attività di chi, come noi, svolge da decenni ed in modo virtuoso una delle più difficili attività del panorama industriale.

Continuando nell’analisi di scenario, altri due elementi stanno minando fortemente la ripresa del settore: la reperibilità e il rincaro dei materiali che rischia, in assenza di meccanismi automatici di revisione prezzi, di paralizzare tutte le opere appaltate e la carenza di manodopera, che, in un settore con un saldo negativo pre-post pandemia di circa 250.000 unità, non può che essere ascritta all’uso distorto del reddito di cittadinanza.  Su tutti questi temi il Governo può e deve fare di più.

Per questo, senza negare quanto di positivo le misure messe in campo hanno portato, non possiamo considerarle però il cardine unico sul quale pianificare il futuro delle nostre imprese. Quando cesserà il loro effetto benefico e, consentitemi, finanche dopante, dovremo essere riusciti a capitalizzare al massimo questo momento favorevole.

Il nostro obiettivo, quindi, nell’immediato futuro deve essere l’apertura di un mercato nuovo che possa garantire alle imprese sane e strutturate di poter crescere, senza dipendere dagli investimenti pubblici o, peggio ancora, dovendo cercare lavoro lontano dal proprio territorio.

La massima ambizione sarebbe poter dire, tra qualche anno, che anche qui, al Sud, a Napoli, gli elementi portanti del mercato delle costruzioni sono l’edilizia privata e la rigenerazione urbana e, solo in modo residuale, le opere pubbliche.

È questo il tema dei temi, la vera sfida che ci attende. Innanzitutto perché riguarda la nostra area metropolitana.

Se è vero, infatti, che le città che avranno un futuro sono quelle che ne scelgono uno. Bisogna essere capaci d’immaginare quale visione e quale identità intenda acquisire la nostra area Metropolitana.

Abbiamo la fortuna, da questo punto di vista, di non doverci inventare nulla. Le direttrici sembrano disegnate dalla storia e dalla natura.

Dalla prima abbiamo ereditato un percorso che parte dall’università più antica d’Italia e arriva alle tante Academy che si stanno insediando e che evidenziano nella ricerca scientifica, nonostante la scarsità di risorse, un’eccellenza del territorio. Sempre dalla storia abbiamo ereditato un patrimonio di giacimenti culturali che ha pochi eguali nel mondo.

La natura, dal canto suo, ci ha dotato di attrazioni uniche, luoghi di bellezza ineguagliabile che in uno col patrimonio architettonico ci consentono un’offerta turistica completa, capace di soddisfare i viaggiatori più esigenti.

E ancora, la natura ci colloca in una posizione strategica che ci consente di essere una piattaforma logistica al centro del Mediterraneo. Per tale ragione è necessario che vengano portati a termine gli investimenti relativi al completamento del V corridoio europeo “Scandinavo-Mediterraneo” di cui Napoli è il punto di incontro tra la direttrice verso la Sicilia e quella verso la Puglia, i paesi slavi e la Spagna. Serve, quindi, favorire la logistica perché la manifattura senza la logistica muore.

Restituire a Napoli il respiro internazionale e la dignità di metropoli moderna ed efficiente e ridurre il gap infrastrutturale tra Nord e Sud sono precondizioni essenziali per allineare la crescita del nostro Paese a quello delle economie occidentali.

Dovremo, quindi, vigilare affinché le opere finanziate con il Pnrr concorrano, non solo alla ripresa del Paese, ma allo sviluppo vero e proprio dei territori cosicché i benefici che ne derivano possano essere stabili e duraturi. Tale prospettiva porta con sé, però, un presupposto fondamentale: che le nostre amministrazioni locali riescano ad intercettare questi fondi elaborando un’adeguata progettazione.

Da questo punto di vista, ci dichiariamo disponibili con i nostri uffici e le nostre expertise, a offrire supporto di conoscenze e di competenze agli Enti locali, anche i più piccoli, che per carenze organizzative e di personale si troverebbero a poter perdere la partita delle risorse di Next Generation Eu.

Una task force dedicata, in sinergia con Ance Campania, oggi guidata dall’amico Luigi Della Gatta, potrebbe rappresentare uno strumento valido di supporto e di accesso innovativo, affinché un uso appropriato dei fondi a disposizione ci consenta, sotto l’attenta regia delle competenze regionali e comunali, di iniziare a cambiare il volto della nostra area metropolitana.

Al fine di garantire il massimo della trasparenza, grande attenzione andrà anche prestata alle procedure di gara. La gestione dei procedimenti di scelta del contraente dev’essere affidata, nel rispetto delle norme, a soggetti che garantiscano il più elevato livello di imparzialità e la totale assenza, anche potenziale, di conflitti di interesse.

Ciò può essere garantito solo con una netta separazione tra stazioni appaltanti e operatori economici: il che si traduce nell’affidamento delle procedure a soggetti aggiudicatori e centrali di committenza di natura esclusivamente pubblica.

Il Pnrr, però, puntando a obiettivi di medio e lungo termine da solo non basta. Alla nostra città occorre mettere in moto, quanto prima, processi virtuosi di sviluppo, il ché, considerando le difficoltà di bilancio del Comune, sarà possibile solo attraverso quelle riforme immateriali, attese da tempo, che non assorbono risorse, anzi, le attraggono.

Prima tra tutte, per migliorare il volto e l’attrattività del nostro territorio, l’ammodernamento del Piano Regolatore Generale che, a Napoli, nella sua più recente Variante, è fondato su decisioni assunte nel 1998.

Non entro nel merito, ma senza tema di smentita si può affermare che il “nostro” Prg è stato incapace di contemperare respiro economico, rigenerazione del territorio e rilancio sociale.

Per essere concreti, occorre innescare le procedure per l’adozione del Puc e, nel contempo, definire una variante che sia in grado di sciogliere le incrostazioni più evidenti, correggere gli errori più macroscopici e recepire le nuove leggi vigenti. Azione che potrebbe consentire con le giuste misure di dare finalmente inizio ad un serio piano di dismissioni immobiliari.

Di pari passo, e nella medesima direzione, dovrà andare anche il nuovo Regolamento Edilizio.

Occorre capire tutti, noi per primi, che abbiamo compiuto errori, ma da questi serve trarre esperienza per elaborare nuove prospettive capaci, come avviene in altre realtà, di attrarre l’attenzione e gli investimenti di grandi sviluppatori privati.

Dobbiamo essere consapevoli, però, che, su questa strada, pesa l’assenza sul territorio di best practice e, soprattutto, i fallimenti, i cui effetti nefasti vanno ben oltre il fallimento stesso. Uno su tutti: Bagnoli.

La classe dirigente napoletana, nel suo insieme, sulla vicenda di questa importante porzione di città può e deve fare un salto culturale ragionando nel merito delle cause e dei pregiudizi ideologici che ne hanno impedito, finora, il rilancio.

Un lavoro improbo per Commissario e Subcommissari che ci troveranno sempre al loro fianco per approfondimenti e valutazioni tecniche consci, tuttavia, che le scelte finali spettano in ogni caso al soggetto pubblico.

Sono passati quasi quarant’anni dallo spegnimento definitivo dell’alto forno e la bonifica non è stata completata mentre sono stati spesi oltre cento milioni per opere mai entrate in esercizio ed oggi in rovina. Non c’è accordo sul valore dei suoli, la Società di Trasformazione Urbana, Bagnoli Futura, è fallita e il Piano Attuativo resta completamente inattuato. È insopportabile che si dibatta ancora su cosa fare dell’area. Le prossime generazioni avranno la balneazione al posto della colmata?

Sarà così se e solo se, oltre la legge che ne obbliga la rimozione, se ne valuti rapidamente la fattibilità in ambito Esg (Environmental, Social, Governance) ovvero in riferimento a questi tre fattori centrali nella misurazione della sostenibilità di un investimento, quella che gli inglesi definiscono Triple bottom line: Pianeta, Persone, Profitto. Su queste basi dovrà anche essere sviluppato il piano d’infrastrutturazione e mobilità dell’area.

Su quest’ultimo punto consentitemi di fare i complimenti al prof. Cosenza per il nuovo accordo, con Ferrovie dello Stato, per la realizzazione, a via Campegna, del deposito della nuova linea 6.

Si tratta di un passaggio fondamentale per avviare l’estensione della linea perché la rigenerazione di Bagnoli può e deve dare il via allo sviluppo dell’intera area flegrea che, con i suoi bellissimi siti storici ed archeologici, rappresenta una parte molto pregiata della Città Metropolitana.

Il comprensorio di Bagnoli, infatti, può rappresentare il baricentro dello sviluppo dell’intera area occidentale intesa come attrattore turistico e culturale di valenza internazionale.

In termini di potenzialità, dello stesso valore dell’area occidentale, è l’area orientale che, non senza difficoltà, cerca di candidarsi come snodo logistico e centro dell’industria delle competenze e della conoscenza.

Con grande coraggio, nostri colleghi imprenditori hanno investito molto ma l’area stenta a decollare e ad attrarre ulteriori investimenti per la carenza di un piano funzionale di opere pubbliche che faccia da giusto corollario agli investimenti privati.

Qui occorre dare nuova linfa ai “vuoti urbani”: enormi aree che hanno perso la loro vocazione e che costituiscono ambiti negati delle nostre città, diventati, purtroppo, luoghi di degrado e di arretratezza sociale ed economica.

In situazioni analoghe, in altre aree del Paese e d’Europa sono stati messi in moto, in pochi anni, complessi piani di rigenerazione urbana.

A Milano il quartiere Porta Nuova, l’ex area della Fiera, oggi, Citylife e l’ex area Falck, il più grande progetto di rigenerazione urbana d’Europa, sono esempi, in corso di attuazione, in cui sono sapientemente mixate sostenibilità e innovazione.

Se, in questi anni, le aree orientali e occidentali sono rimaste pressoché immobili lo stesso non può dirsi del centro storico dove sono emerse nuove frange urbane degradate e si sono insediate etnie diverse che, in assenza di regole, hanno finito per aggravare quella situazione di periferie non periferiche che caratterizza la nostra città.

Parliamo di un’area vasta con una proprietà estremamente frammentata dove sono possibili interventi, prevalentemente a scala edilizia e, in cui, è urgente immaginare un piano di recupero degli immobili dismessi superando il paradosso, denunciato da Renzo Piano, di essere il Paese migliore per la qualità delle costruzioni ed il peggiore per la manutenzione.

È chiaro che occorre un approccio completamente nuovo rispetto al passato. Una progettualità che parta dalla conoscenza del territorio, come sta facendo l’associazione Est(ra)Moenia.

Una felice intuizione presieduta dal nostro ex-presidente Ambrogio Prezioso che, con il coinvolgimento del Dipartimento di Architettura della Federico II, promuovendo il dialogo e la partecipazione dal basso di tutti gli attori del territorio, in particolare del Terzo settore, vuole essere un riferimento per creare opportunità e suggerire riflessioni su temi ed urgenze locali per approdare ad un processo di rigenerazione urbana e insieme di inclusione sociale.

Perché la rigenerazione di un territorio può e deve essere, innanzitutto, ripensare i luoghi intorno alle persone.

A questi interventi, però, è necessario affiancare un’adeguata infrastrutturazione del territorio. La nostra area Metropolitana può già contare su un interessante processo di integrazione di porti e aeroporti e, a breve, vedrà la trasformazione della stazione centrale in un vero e proprio hub trasportistico. Tutto questo ci consentirà di garantire una miglior fruibilità della città, non solo per i turisti, ma anche e soprattutto per chi vive la nostra realtà 365 giorni all’anno.

Si tratta di azioni essenziali per smuovere la classifica, consentitemi il termine calcistico, atteso che il Sole 24 Ore ci colloca, nel 2021, al 90° posto per qualità di vita.

Il primato più triste che ci caratterizza è, purtroppo, però, la perdita di capitale umano, la fuga di giovani già formati verso altre regioni o all’estero cui la nostra regione contribuisce più di qualsiasi altra nel Mezzogiorno.

Di questo passo l’area metropolitana di Napoli è destinata a perdere il 6,1% della popolazione entro il 2030, dopo una perdita di circa 150.000 abitanti dal 2014 a oggi. Gli effetti nefasti di tale spopolamento in termini di riduzione dei servizi, opportunità e qualità di vita, sono accuratamente descritti da Bruno Discepolo, nel suo volume “Downsizing”.

Nel testo si evidenziava, anche, come la riduzione della dimensione demografica, tra l’altro in controtendenza con quanto accade nelle altre metropoli, possa portare alla marginalizzazione nel contesto nazionale e internazionale.

Per evitare questo rischio e riportare Napoli al ruolo ed al rango che merita siamo pronti a fare la nostra parte con il più sano spirito di classe dirigente, andando oltre i semplici interessi di categoria per puntare a quell’armonia sociale che, oggi, considerato il punto in cui siamo, appare come un traguardo siderale.

Come Ance Napoli, stiamo già lavorando ad un primo progetto, che presenteremo ad aprile, volto a censire e valutare, anche criticamente, quelli che sono i principali investimenti in essere e quelli attivabili a breve. L’obiettivo, partendo dall’analisi delle dinamiche del territorio, è di fornire un supporto per indirizzare al meglio le risorse disponibili affinché ogni opera realizzata possa essere, essa stessa, un moltiplicatore di sviluppo.

Le difficoltà sono tante ma non intendiamo assolutamente sottrarci alla sfida. Consapevoli che la partita non possiamo vincerla da soli l’affronteremo stimolando la più ampia collaborazione. Ogni contributo che abbia a cuore il bene della città è, non solo benvenuto, ma fondamentale per garantire il necessario approccio multidisciplinare alla soluzione dei problemi.

L’auspicio è che si possa mettere da parte ogni istinto di protagonismo e fare gioco di squadra. Vogliamo collaborare con gli Ordini Professionali, le Università, i Sindacati e tutte le associazioni del territorio in sincronia, come le corone di un orologio: ognuna di materiale diverso, alcune più piccole altre più grandi, alcune più visibili altre meno, ma tutte ugualmente indispensabili per segnare l’ora esatta.

Questo è ciò che significa cooperare, ciò che è auspicabile per restituire a Napoli una straordinaria normalità.

Ne è un esempio, Nagorà, la piattaforma telematica ideata e sapientemente coordinata da Francesco Tuccillo. Un luogo virtuale unico in cui si incrociano competenze di ogni settore discutendo e approfondendo temi sociali, urbanistici ed economici per poter contribuire allo sviluppo della nostra area metropolitana.

Qualsiasi dibattito, tuttavia, rischia di essere inutile se non saremo in grado di risolvere quella che considero la più odiosa, pervicace e insopportabile minaccia per il futuro della città: la criminalità.

Nel tempo, da effetto di degrado sociale ed economico ne è diventata, essa stessa, causa, in un drammatico circolo vizioso che mina, nelle fondamenta, il vivere civile di tutti noi.

Grazie a un instancabile lavoro della Magistratura e delle forze dell’ordine, cui va il nostro più sentito ringraziamento, sono state decapitate intere famiglie e storici clan. Tale risultato, però, rischia di essere vanificato se non verranno messe in campo azioni urgenti di prevenzione imperniate su sviluppo economico, cultura, formazione, rigenerazione urbana e, in ultimo ma non ultimo, il contrasto all’evasione scolastica.

Nella lotta alla criminalità esiste, però, un altro fronte che ci sta a cuore, sul quale tutte le misure adottate finora, ed in primis l’Istituto della White List, sembrano aver fallito: l’economia grigia. Quel mondo fatto di imprenditori, professionisti e insospettabili di tutte le categorie e ceto sociale pronti a investire e riciclare in ogni settore.

La città, purtroppo, non ha ancora dimostrato di aver sviluppato gli anticorpi adatti a fronteggiare questo virus, che, così, finisce col pervadere l’economia, le amministrazioni pubbliche e la politica, lasciando poco spazio per l’imprenditoria sana ma soprattutto per i giovani e le loro idee. 

L’associazione ha sempre fatto la sua parte e, oggi, continua a farlo accompagnando i colleghi che hanno deciso di non piegarsi alle minacce lungo questa strada coraggiosa e delicata perché, a volte, coinvolge anche le loro famiglie. Ricordo, con orgoglio, che proprio in questa sede ha visto i suoi natali, primi in Italia, il Patto Antiracket siglato con il Fai di Tano Grasso e l’Arma dei Carabinieri, modello poi adottato per altre città. 

Sulla strada della legalità un’altra sfida importante ci attende: la lotta al lavoro nero ed al dumping contrattuale. In questa battaglia sono certo di poter contare sulle OO.SS. di categoria: Feneal, Filca e Fillea.

Nel mio lungo percorso associativo, soprattutto negli ultimi 4 anni, da presidente della Cassa Edile, ho potuto apprezzarne l’impegno e i contributi, mai banali, apportati ai temi sui quali ci siamo confrontati.

Ma ciò che mi preme di più ricordare è quanto abbiamo fatto insieme, in questi due anni di pandemia, attraverso la Cassa Edile.

Per venire incontro alle numerose esigenze dei lavoratori del nostro settore: abbiamo erogato centinaia di Prestazioni Assistenziali e siamo stati i primi, in Italia, ad attivare il Fondo di Prepensionamento per coloro che avevano ultimato il sostegno al reddito.

Abbiamo supportato il forte incremento delle richieste di acquisto dei Pc, perché i figli dei nostri operai potessero seguire le lezioni in Dad, abbiamo erogato Borse di Studio a quelli meritevoli e abbiamo introdotto la Borsa di Studio per l’Erasmus per consentire loro di svolgere esperienze all’estero. È questo il significato più bello della parola bilateralità!

Prima di chiudere consentitemi di rivolgere un saluto ai Giovani imprenditori edili e al presidente, Ferdinando Romano, perché loro sono il nostro futuro e saranno coinvolti sempre di più in tutte le attività dell’associazione.

Non è facile, oggi, essere ottimisti con quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni e quello che sta succedendo ora in Europa con la guerra in Ucraina e le sue conseguenze economiche e sociali.

Si rischia quasi di apparire visionari, se non addirittura inopportuni.

Eppure sono convinto che ciascuno, nel suo piccolo, possa fare molto per creare le condizioni di sviluppo che sono la premessa per mitigare le tante sofferenze che vediamo intorno a noi.

Il mio consiglio di presidenza e io proveremo a fare la nostra parte col massimo impegno e tutta la passione che abbiamo, nella certezza che, proprio qui, da Napoli, possa ripartire il nostro Paese.

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