Città | Ex aree dismesse

L’innovazione tecnologica come fattore di competitività e sviluppo per imprese e territori

Il recupero delle aree dismesse è il centro di un dibattito variegato, che coinvolge tecnici, progettisti, amministrazioni, ma anche i cittadini. Rigenerare un’ex area industriale significa rilanciare un’intera area, arricchire la città in cui si trova e dare nuovo valore al territorio. Il recente varo a livello europeo del piano d’azione per l’eco-innovazione è un segnale concreto dell’esigenza di promuovere politiche e azioni in grado di aiutare le imprese a produrre secondo un modello sostenibile, con una positiva ricaduta in termini ambientali.

Le aree industriali, una volta dismesse, creano dei vuoti urbani spesso problematici, a causa di questioni di sicurezza, di degrado sociale e ambientale. Investire nella loro riqualificazione significa trasformare un problema in un punto di forza, restituire al territorio nuovi spazi di valore.

Le città nel tempo affrontano cambiamenti sociali ed economici, vedendo sempre crescere la necessità di ridisegnare o rigenerare l’esistente, così che possa essere attuale e adeguato alle necessità di oggi. Pensare che le città siano un qualcosa di immobile è impossibile, ciò che era perfetto ieri, diviene inutilizzabile domani.

Un esempio interessante è quello che riguarda le ex aree industriali, la cui evoluzione e successiva dismissione è il risultato di una storia del territorio che si incrocia con quella economica e d’impresa, dove un nuovo mondo richiede nuovi prodotti, quindi un nuovo modo di produrre e nuovi luoghi di produzione.

Molto spesso le industrie sono strettamente legate al territorio in cui si trovano e ciò rende queste aree ancor più importanti e assolutamente meritevoli di poter vivere una seconda vita, ancor meglio se al servizio di quello stesso territorio.

Quando una grande fabbrica viene dismessa si presenta un’occasione per trasformare quel luogo e dargli una nuova identità, così che possa offrire esperienze, servizi, spazi per il tempo libero o, perché no, nuove residenze.

Il recupero delle aree dismesse può essere il centro di un dibattito variegato, che coinvolge tecnici, progettisti, amministrazioni, ma anche i cittadini stessi. Rigenerare un’ex area industriale significa rilanciare un’intera area, arricchire la città in cui si trova e dare nuovo valore al territorio.

In Italia, si stima che ci siano 9 miliardi di metri quadrati di aree dismesse. Questo almeno a giudicare dai pochi dati disponibili (dati Anci si indagini Istat del 2012). Un tema che apre, però, grandi opportunità per tutte le principali città italiane.

“Quasi 20 milioni di mq sono in Lombardia, di cui circa un terzo appetibili, al cui interno è possibile recuperare una Slp (superficie lorda di pavimento) pari a circa 3 milioni di mq, capace di generare un valore potenziale di circa 2,7 miliardi di euro, grazie a piani di rigenerazione urbana, da realizzarsi attraverso progetti architettonici di qualità capaci di contribuire allo sviluppo del contesto territoriale di riferimento e di dare risposta alle nuove esigenze sociali”.

Lo ha indicato Francesca Zirnstein, direttore generale di Scenari Immobiliari, in occasione dello studio “Rigenerare aree dismesse, rivitalizzare territori”, commissionato da Whirlpool e illustrato il 27 febbraio durante la presentazione di “Comerio New Life”, il progetto di riqualificazione dell’ex head quarter Whirlpool in provincia di Varese.

Se le aree e gli immobili dismessi costituiscono una criticità per il soggetto pubblico (riduzione della fiscalità locale, ricadute negative sul mercato immobiliare, difficoltà nella gestione urbanistica dell’abbandono, etc) e per la proprietà (blocco finanziario, costi per la sicurezza, etc), le stesse rappresentano un’opportunità insediativa e progettuale di rifunzionalizzazione di un ambito territoriale nella direzione di nuove vocazioni.

Gli elementi di successo di una riqualificazione edilizia prevedono la restituzione di spazi alla comunità locale, dove un vuoto urbano viene almeno in parte destinato a spazi e servizi per la collettività, il recupero di vocazioni in crisi, valorizzando il capitale sociale già presente sul territorio, la creazione di nuove identità in un ambito che ha ormai perso la propria originaria specializzazione e la generazione di nuove opportunità per lo sviluppo sociale ed economico locale.

Nell’ambito del mercato immobiliare possono essere dirette o indirette anche le conseguenze di una riqualificazione di un’area dismessa:

  • diretti si intendono gli effetti della valorizzazione in termini di incremento dei valori immobiliari;
  • Indiretti si intendono gli impatti che la riqualificazione ha avuto sul valore e sugli scambi degli immobili vicini.

Dal processo di rigenerazione delle aree dismesse derivano diversi effetti positivi per tutto il territorio. Tra i fattori di successo:

  • il numero di posti di lavoro creati o impiegati nel corso della realizzazione,
  • l’incremento dei valori immobiliari dell’ambito riqualificato e degli immobili circostanti,
  • le ricadute sul giro di affari delle attività commerciali, ricettive e terziarie vicine
  • il contributo all’economia locale delle nuove funzioni insediate nell’area. 

Con la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 lo sviluppo sostenibile è divenuto un obiettivo dichiarato delle politiche economiche e ambientali dei vari Paesi e degli accordi internazionali aventi per oggetto materie ambientali.

La qualità dell’ambiente va considerata come una caratteristica essenziale della qualità della vita in una società e, quindi, come requisito essenziale della qualità complessiva dello sviluppo economico.

Le variazioni apportate all’ambiente dalle attività umane non devono danneggiarlo irrimediabilmente, bensì permettere alla vita umana di continuare a svilupparsi. Ciò significa assumere atteggiamenti in grado da garantire, mediante il sussidio del progresso tecnologico, che il tasso di inquinamento e di sfruttamento delle risorse ambientali rimanga nei limiti della capacità di assorbimento dell’ambiente ricettore e delle possibilità di rigenerazione delle risorse, nei limiti consentiti dai cicli della natura, così da evitare l’ulteriore crescita dell’inquinamento nel tempo.

In questo scenario il sistema produttivo gioca un ruolo importante poiché è responsabile di notevoli impatti negativi sull’ambiente, tanto da richiedere un suo globale ripensamento in chiave ecologica e l’obiettivo dei recenti ordinamenti legislativi nazionali, recepiti diffusamente a livello regionale, è di colpire i punti deboli del comparto produttivo e manifatturiero, costituiti dallo sfruttamento incontrollato di materie prime, dall’impiego di risorse energetiche non rinnovabili, dall’emissione di sostanze inquinanti e dalla produzione eccessiva di rifiuti spesso pericolosi, al fine di realizzare uno “sviluppo industriale sostenibile”.

Il tema della qualificazione ambientale degli insediamenti produttivi è relativamente nuovo poiché le prime sperimentazioni risalgono agli anni ’90 con gli Eco-industrial park (Eip), realizzati negli Stati Uniti, in Asia e in seguito in Europa.

Si tratta di aggregazioni d’imprese manifatturiere e di servizio, caratterizzate da una gestione comune delle risorse e dei servizi, interessate a migliorare le proprie performance ambientali, economiche e sociali mediante sperimentazioni volontarie.

Questi contenuti si ritrovano negli orientamenti integrati promossi dal Consiglio Europeo nel 2005 per il rilancio dei principi della strategia di Lisbona. Essi promuovono l’aumento coordinato di efficienza ecologica e di crescita economica, secondo il quale ad un aumento dell’attività economica deve corrispondere un progressivo contenimento dei rischi e dei costi ambientali, attraverso lo sviluppo di innovazioni di prodotto, di processo e di tecnologie, finalizzate alla tutela delle risorse ambientali.

Le Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate (Apea), introdotte a livello nazionale dall’art. 26 del decreto legislativo n. 112 del 1998, si innestano in questo filone di riflessioni. Si tratta di aree in cui la presenza concentrata di aziende e di manodopera, consente di definire un programma di gestione unitaria ed integrata delle infrastrutture e dei servizi utili a garantire gli obiettivi di sostenibilità dello sviluppo socioeconomico locale e ad aumentare la competitività delle imprese insediate, nel rispetto dell’ambiente e della sostenibilità.

Il modello di Apea abbandona quindi l’approccio basato sull’abbattimento dell’inquinamento a fine ciclo, e lo sostituisce con il principio di prevenzione, eliminando, per quanto possibile, i fattori inquinanti dal ciclo produttivo stesso.

L’area industriale, attraverso un Gestore Unico, dovrebbe riuscire a garantire la presenza di infrastrutture e servizi in grado di coniugare lo sviluppo delle imprese con la riduzione dell’impatto ambientale sul territorio.

Recentemente l’aspetto sociale è stato introdotto come ulteriore valenza e valore di sistema, al punto che oggi in Toscana si parla espressamente di Apsea, Aree Produttive Socialmente ed Ecologicamente Attrezzate. Un’area produttiva dove sono quindi presenti dei servizi di tipo sociale, centralizzati, come la “lavanderia a domicilio” sul posto di lavoro o l’asilo. 

Apea e Ecoap

La questione dell’innovazione tecnologica, come fattore di competitività e di sviluppo per le imprese e per i territori nei quali le imprese sono insediate, si confronta oggi con la necessità di orientare sia i prodotti, sia i processi produttivi, sia la gestione dell’insieme di servizi di supporto alla produzione e ai processi produttivi, verso una maggiore e, via via sempre più completa, sostenibilità.

Il recente varo a livello europeo del piano d’azione per l’eco-innovazione è un segnale concreto dell’esigenza di promuovere politiche e azioni in grado di aiutare le imprese a produrre secondo un modello sostenibile, con una positiva ricaduta in termini ambientali.

L’eco-innovazione è peraltro uno dei tasselli essenziali inseriti nella strategia di Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Il Piano d’azione per l’eco-innovazione (Ecoap) affonda le sue radici nel Piano d’azione per le tecnologie ambientali (Etap) ed è uno degli impegni dell’Iniziativa Faro “Unione dell’innovazione”.

Apea e Ecoap sono quindi due temi diversi ma tra loro integrati. Da un lato, l’Apea riguarda l’innovazione nella gestione delle aree produttive e dell’attività delle singole aziende al fine di esternalizzare processi non-core business, recuperando competitività.

Dall’altro, l’Ecoap riguarda la valorizzazione delle capacità delle imprese di innovare e fare sinergia per promuovere innovazioni di prodotto e di processo. L’obiettivo comune che questi due temi è di costruire un ambiente che favorisca lo scambio e l’innovazione: le prima ottimizzando la gestione dei processi a livello di area e innovazione dei processi produttivi e della gestione; l’Ecoap agevolando lo scambio e l’innovazione di prodotti e processi attraverso la facilitazione della conoscenza e dalla collaborazione tra imprese.

La sfida europea: una nuova politica d’innovazione e sviluppo per le città e i territori

Le più recenti comunicazioni in materia di politica industriale proposte a livello europeo dimostrano come questi temi siano ormai delle priorità. L’applicazione di tecnologie innovative ed ecologiche all’interno dei processi produttivi è finalizzata a limitare le interrelazioni tra le componenti del sistema industriale e il sistema naturale allo scopo di formare il “ciclo chiuso”, in base al quale, analogamente a quanto avviene in natura ove non esiste il concetto di rifiuto, tutti i prodotti di un processo produttivo sono materie prime di un altro processo.

L’obiettivo è quindi eliminare le tecnologie “end of pipe”. Il risultato è un sistema ecologico composto da infrastrutture ed edifici eco-compatibili, elementi ecologici e corridoi all’interno e all’esterno dell’area, produzioni “pulite” e sistemi di monitoraggio. Realizzare sinergie tra imprese e realtà industriali diverse, e quindi gestire necessità e problemi legati alla produzione considerando l’insieme delle variabili e delle relazioni che tra esse si instaurano, può avvenire mediante la realizzazione di un approccio sistemico al tema.

Europa 2020 driver dello sviluppo – Un’industria più efficiente e sostenibile è più competitiva

Europa 2020 introduce una strategia di crescita per l’Europa intelligente, sostenibile e inclusiva. In questo scenario le aree produttive e i processi produttivi rappresentano uno dei cardini dell’azione di sviluppo di politiche “smart”, inclusive ma soprattutto sostenibili. Tra il 1990 e il 2010 le emissioni in Europa si sono ridotte del 15,5% nonostante una crescita produttiva del 41%.

Ciò si deve ai progressi nell’efficienza dell’uso delle risorse e, in generale, al progressivo “disaccoppiamento” tra crescita e impatto ambientale. Il miglioramento dell’efficienza produttiva e dell’uso delle risorse è condizione essenziale sia per la sicurezza dell’approvvigionamento sia per la competitività industriale.

Tuttavia, questi progressi non sono sufficienti a garantire la competitività del sistema industriale europeo: secondo stime recenti, in Europa ogni punto di aumento di efficienza nell’uso delle risorse vale 23 miliardi di euro e 150.000 nuovi posti di lavoro.

In questo quadro europeo di sviluppo industriale e di nuova politica di efficienza produttiva, l’Italia fin dal 1998 ha avuto una propria visione fortemente anticipatrice, tuttavia disattesa nei fatti da una scarsa capacità di incidere efficacemente a livello di attuazione regionale.

Lo strumento che doveva avviare le politiche di efficientamento ecologico e gestionale nelle aree produttive italiane è il dlgs. Bassanini che nel 1998 affida alle Regioni e alle Province autonome il compito di regolamentare, attraverso proprie leggi, lo sviluppo delle aree industriali e in particolare di Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate.

  • Le principali linee d’azione seguite dal quadro normativo nazionale riguardano da vicino:
  • la semplificazione e l’unificazione delle procedure autorizzative degli impianti produttivi, secondo le indicazioni della Legge 59/97;
  • la dotazione dei siti industriali con le infrastrutture necessarie, minimizzandone il grado di frammentarietà e la distanza dai mercati;
  • lo sviluppo di aree ecologicamente attrezzate, per gli impianti e le tecnologie ad alta efficienza ambientale ed in grado di attirare investimenti tecnologicamente avanzati e competitivi anche a livello internazionale;
  • l’arricchimento della dotazione infrastrutturale del paese per favorire l’integrazione fra le diverse aree a livello nazionale ed europeo, anche ai fini di un riequilibrio Nord-Sud;
  • la valorizzazione dei comportamenti volontari prevedendo “incentivi”, anche normativi, per le imprese che adottino procedure (come ad es. l’Emas) volte a garantire la compatibilità ambientale, la salute e la sicurezza, instaurando, di fatto, un nuovo tipo di rapporto tra amministrazione e imprese.

A più di dieci anni dalla sua emanazione sono ancora poche le Amministrazioni che hanno provveduto a legiferare in materia. Un ritardo imputabile a diversi fattori. Tra i più evidenti:

  • la mancanza di scadenze precise all’interno della normativa nazionale entro cui legiferare;
  • l’assenza di criteri univoci a cui fare riferimento per costruire un modello di Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata;
  • la difficoltà di affrontare un sistema complesso di interessi come quello del mondo industriale.

Regioni con leggi specifiche in materia di Apea

Nonostante non si rilevi una sistematica ricezione delle indicazioni dell’art. 26 del dlgs. Bassanini da parte delle regioni, le sue indicazioni sono state recepite e tradotte in leggi e norme specifiche da alcune regioni, secondo modalità molto diversificate.

Al fine di restituire un quadro più completo possibile sulla legiferazione in materia di Apea, sono state distinte le regioni che hanno emanato leggi regionali, deliberazioni o in atti di indirizzo contenenti indicazioni specifiche per l’avvio all’attuazione delle Apea, da quelle che ancora non hanno prodotto norme o predisposto atti di indirizzo che riportino indicazioni specifiche.

Dalla rilevazione emerge che solo 8 regioni hanno provveduto a dotarsi di normative o atti riportanti indicazioni specifiche in materia di Apea (Abruzzo, Emilia-Romagna, Marche, Liguria, Piemonte, Toscana e due Regioni Obiettivo Convergenza, Puglia e Calabria).

Talvolta queste regioni hanno accompagnato la legiferazione con indicazioni all’interno di strumenti di governo del territorio e di pianificazione di livello regionale, e linee guida.

Quelle che non hanno legiferato con atti specifici, nella maggioranza dei casi, hanno comunque provveduto a dotarsi di leggi o deliberazioni che rimandassero a legiferazione successiva, oppure che riportassero indicazioni generali per l’attuazione e il supporto di iniziative per lo sviluppo di aree produttive di nuova generazione, oppure ancora a produrre leggi o deliberazioni su temi attinenti, come la costituzione e lo sviluppo dei Consorzi industriali (es.: Friuli Venezia Giulia , Basilicata, Molise).

Alcuni dati sulle aree industriali

Vi è un concreto problema di conoscenza del sistema delle aree produttive in Italia. Manca infatti una banca dati sul sistema delle aree industriali italiane, georeferenziata e con informazioni di dettaglio sulle dotazioni produttive, territoriali e insediative, nonché integrata dalle rilevazioni sugli impatti ecologici delle attività produttive.

In Italia ci sono 3.402 Aic (Aree Industriali e Commerciali) per un totale di 250.203,42 ettari di superficie utilizzata. In media sono presenti 170 Aic per regione, per un totale di 12.510 ettari medi per regione. Di seguito i numeri principali:

  • la dimensione media di una Aic in Italia è di 73,55 ettari;
  • la distribuzione regionale delle Aic è la seguente:
  • Nord: 2.013 Aic, per un totale di 137.770 ettari (55% del totale);
  • Centro: 940 Aic per un totale di 70.352 ettari (28% del totale);
  • Sud: 449 Aic per un totale di 42.081 ettari (17% del totale);
  • la regione con più Aic è la Lombardia (716) per un totale di 45.035 ettari di superficie utilizzata, mentre la Valle d’Aosta è quella che ne ha meno (8) per un totale di 771 ettari.

Dall’analisi delle classi di estensione delle Aic emerge che:

  • l’1% del totale è inferiore a 15 ettari
  • il 21% del totale è compreso tra 15 e 30 ettari
  • il 28% del totale è compreso tra 30 e 45 ettari
  • il 16% del totale è compreso tra 45 e 60 ettari
  • il 18% del totale è compreso tra 60 e 100 ettari
  • il 16% del totale è compreso tra 100 e 500 ettari
  • l’1% del totale è compreso tra 500 e 2000 ettari Il 65% di tutte le Aic, pari a 162.003,59 ettari, per una dimensione media di 85 ettari, sono concentrate nel 23% del territorio, rappresentato dalle aree metropolitane. Ci sono 16 Aic per area metropolitana, pari ad una media di 1360 ettari (corrispondente ad un quadrato di lato 3,7 km).

Il potenziale delle Apea in Italia

La distribuzione regionale delle aree industriali evidenzia una netta prevalenza nelle regioni del Nord e in particolare in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Nel Centro la Toscana è la regione con il maggior numero di aree e di estensione territoriale coinvolta. Nel Sud la Puglia e la Sicilia rappresentano i principali bacini di localizzazione delle aree industriali.

Fatta 100 la superficie territoriale italiana occupata dalle aree industriali, ben il 55% si trova localizzato nelle regioni del Nord, con il 18% in Lombardia, oltre il 125 in Veneto e l’11% in Emilia-Romagna.

La Toscana rappresenta quasi il 9% del totale nazionale. La dimensione media delle aree è di 73,55 ettari, ma con forti differenze regionali: più grandi le aree nel Sud e nelle Isole, più piccole nel Nord e nel Centro.

In base ai dati elaborati e presentati nelle pagine precedenti e relativi alla quantificazione e localizzazione del sistema produttivo industriale italiano, si evidenzia che una progressiva “apeizzazione” delle aree industriali ha potenzialmente la possibilità di coinvolgere 3.400 aree industriali di dimensioni medie di oltre 73 ettari l’una.

Dal punto di vista quantitativo, il Nord presenta le quantità più rilevanti e dunque si presenta come una delle aree più interessanti per la loro trasformazione, in valori assoluti, tuttavia i dati evidenziano una dimensione media delle aree industriali al Sud del 25% superiore alla media nazionale e del 30% superiore a quella del Nord, evidenziando che proprio nelle aree del Sud l’apeizzazione delle aree industriali potrebbe contare su ambiti territoriali più estesi e dunque maggiormente interessanti dal punto di vista della ottimizzazione dei processi coinvolti, a partire dalla gestione dei servizi comuni e dell’approvvigionamento energetico e delle altre fonti produttive, oltre ai servizi di supporto alla produzione e alle imprese. 

Apea e Ecoap come driver innovativi

Per fare ciò e per mantenere le caratteristiche imprenditoriali che nel passato hanno rappresentato il successo del modello italiano, la piccola e media impresa, il punto nodale è la costruzione di nuovi rapporti tra imprese, di vere e proprie “reti di impresa”, territoriali e tematiche, ovvero:

  • organizzate sul territorio in base alla localizzazione e cooperanti tra loro, per le quali le Apea rappresentano un modello innovativo ed efficace di supporto alla produzione, alla competitività e all’innovazione;
  • coordinate a livello locale, regionale, nazionale ed europeo da una rete immateriale di collegamento, basata sullo scambio informativo e sulla cooperazione tematica, grazie a sistemi informativi adeguati alle esigenze di promozione e sviluppo di sinergie operative, produttive e di cooperazione strategica, al fine di rendere sostenibile e competitiva la produzione e di conseguenza i nuovi prodotti, secondo la logica Ecoap;
  • a tutti i livelli, dalla produzione alla distribuzione, dalla progettazione alla realizzazione di prodotti, l’esigenza è “mettere in rete”, ottimizzando e internalizzando in processi produttivi evoluti i diversi settori di operatività;
  • per le imprese significa fare unire soprattutto aspetti gestionali, organizzativi e relazionali, prima che giuridici e formali, esternalizzando e condividendo i processi non-core business.

Economie – Diseconomie

Il sistema produttivo italiano, organizzato a scala locale su aree produttive scarsamente coordinate, se non in particolari casi, dal punto di vista gestionale e a livello di sistema produce notevoli diseconomie nelle aree interessate. Queste diseconomie sono relative:

  • alla mancata ottimizzazione di processi gestionali relativi alle attività “non-core” dell’impresa e in particolare tutto quanto attiene al funzionamento del sistema produttivo ma riferito a fattori sia interni che esterni all’impresa e non direttamente collegati all’innovazione di prodotto: approvvigionamento energetico, gestione e smaltimento dei rifiuti, gestione dei servizi per i propri dipendenti, mobilità, ecc.;
  • alla mancata o scarsa cooperazione interaziendale tra soggetti diversi operanti nelle stesse aree produttive, i cui processi (se non in casi specifici, ad esempio di distretto produttivo) risultano scarsamente integrati.

Obiettivi principali di una Apea

  • Aumentare la qualità ambientale degli insediamenti produttivi, siano essi di nuova realizzazione che esistenti, riducendo il consumo di suolo e minimizzando l’impermeabilizzazione dei terreni;
  • consentire alle imprese, alle loro aggregazioni ed ai sistemi produttivi locali di beneficiare delle economie di scala e degli altri vantaggi associati ad un percorso Apea;
  •  incardinare l’individuazione, la progettazione, la realizzazione e la gestione delle Apea con un sistema di relazioni tra attori pubblici e privati che possa identificare una modello innovativo di governance sostenibile;
  •  favorire la semplificazione nelle autorizzazioni e nei controlli ambientali per le imprese localizzate nelle Apea;
  • rendere più agevole per le singole imprese insediate, grazie all’approccio cooperativo e territoriale, il rispetto delle normative ambientali e di salute e sicurezza sul lavoro, così come la loro adesione agli schemi di certificazione ambientale e sociale.

Sviluppare l’empatia industriale

L’empatia industriale è la forma più avanzata di collaborazione tra imprese e consiste nella collocazione in un’unica area di realtà produttive che dalla vicinanza e dalla reciproca collaborazione, a livello di materie prime, prodotti e processi produttivi, nonché dall’ottimizzazione dei servizi (core e non-core) traggono vitalità e migliorano la propria competitività.

Il concetto di “empatia industriale” è una delle modalità innovative attraverso le quali il sistema produttivo italiano ed europeo può perseguire le politiche che guardano alla terza rivoluzione industriale (Rifkin), i cui pilastri fondanti sono:

  •  riduzione del fabbisogno energetico attraverso politiche di efficientamento e risparmio energetico;
  •  trasformazione degli edifici, compresi quelli destinati alle attività produttive, in veri e propri “produttori di energia”;
  •  promozione di una migliore gestione delle fonti rinnovabili attraverso l’integrazione dei diversi sistemi;
  •  allargamento dell’utilizzo delle tecnologie digitali e dell’uso di internet quale veicolo di comunicazione e collaborazione;
  •  revisione e miglioramento del sistema dei trasporti con sistemi ad alta efficienza e ad emissioni zero.

Lavorare in funzione dell’affermazione del terzo ciclo industriale significa investire fortemente nel percorso di apeizzazione delle aree e delle imprese italiane, adottando sistemi intelligenti di interscambio informativo e supportando la costruzione di simbiosi produttive e processi osmotici tra imprese.

servizio a cura di Marco Caserio

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