Edilizia storica | Bondeno, Ferrara

Consolidamento e miglioramento sismico: rinnovare evocando la memoria

Cantiere di consolidamento e miglioramento sismico integrale dell’edificio con interventi minimi e misurati sull’involucro esterno quali la ricucitura del quadro fessurativo indotto dagli eventi sismici, il restauro di tutti i paramenti murari in mattoni e ricostruzione di porzioni murarie con tessitura analoga a quelle esistenti. Ricostruzione del modulo verso nord che presentava strutture e materiali inadeguati a garantire i livelli di sicurezza antisismica e dissonanti rispetto ai caratteri testimoniali dell’edificio storico.

Il territorio emiliano ferito dallo sciame sismico del maggio 2012 è caratterizzato da una dinamica plasticità del costruito operante a vari livelli, sovrapposti e talvolta intersecantisi. Da un lato, una capillare manifattura di piccole e medie imprese sigla diffusamente le periferie urbane, rappresentandone, per certi versi, la matrice dominante.

L’altro volto della realtà produttiva, invece, è dato da una moltitudine di imprese agricole che operano sul territorio aperto, manutenendolo e plasmandolo in base al fluire delle stagioni e delle rotazioni colturali. L’operare sulla terra ha col tempo maturato matrici insediative sedimentatesi in vere e proprie ‘strutture-documento’, le cui emergenze precipue sono date dalle corti rurali, aggregazioni di blocchi specializzati per singole funzioni.

Un ambiente improntato all’agricoltura

Nel palinsesto economico dell’Alto Ferrarese l’agricoltura ha avuto da sempre un’importanza preponderante, improntando di sé il territorio intero. Ma, diversamente da quanto possa suggerire l’attuale configurazione, come ci documenta Pietro Nicolini in “Ferrara Agricola” (1926), si trattava di un territorio tutt’altro che “statico, fisso, cristallizzato in forme tradizionali”; era “al contrario pieno di vita e saturo di dinamismo”, al punto da far dubitare al Nicolini stesso che in Italia non vi fosse “un’altra provincia agricola nella quale l’economia rurale abbia avuto dei mutamenti così profondi e caratteristici”.

Ricostruzione del modulo di completamento verso nord con il lucernario in linea a staccare il nuovo volume dalla fabbrica esistente.

Il fienile padano

Il fienile padano, che così copiosamente comincia a popolare questi paesaggi già due secoli or sono, rappresenta una vera e propria “machine à produire”, ovvero macchina a servizio della produttività rurale, costruzione che nulla lascia al caso e al superfluo, disegnata dalle reali necessità di quella che a metà ‘800 era definita “la moderna agricoltura”.

Le straordinarie analogie che informano questi edifici sul piano degli aspetti dimensionali, costruttivi ed ergonomici ci serbano preziose informazioni sulla loro natura e concezione. Anzitutto, queste “macchine” si somigliano tutte, sorprendentemente, fin nei dettagli minimi.

Manica laterale a doppia altezza verso est; recupero dell’invaso spaziale originario con le nuove incastellature metalliche intervallate da quadranti murari segnati da tagli verticali verso la corte interna.

In esse potremmo riconoscere la prefigurazione di una standardizzazione ante litteram, dettata dalla metabolizzazione di moduli funzionali e costruttivi dedotti dalla pratica empirica. Queste collimazioni trovano una loro spiegazione nell’equilibrio che all’epoca viene a determinarsi tra configurazione della possessione terriera e dimensione della sua produttività, di cui l’allevamento, in particolare bovino, era parte integrante.

Ancora una volta, la trattatistica locale ci fornisce stimoli e documenti preziosi per la comprensione dei fenomeni. 1857: Papa Pio IX si reca in visita a Ferrara e per l’occasione viene organizzata un’esposizione agricola. Nulla di comparabile, nemmeno lontanamente, con le grandi esposizioni che prendono vita nel corso del secolo, animando il progresso materiale e culturale; ma, certo, accadimento di notevole impulso per la pubblicistica locale.

Di lì a poco, nel 1860, Michele Cariani pubblica “La agricoltura ferrarese in pratica”, un compendio di informazioni e buone prassi tradotte dall’esperienza diretta raccolta sul territorio. Vi è una nota che riguarda i criteri di dimensionamento dei fienili padani: il Cariani “per il bestiame raccomanda per ogni possessione la scala dei 16 buoi”, la scala ottimale, ponderata dall’esperienza, che faceva dei cascinali padani delle vere e proprie “machines à produire”.

Configurazione tipo-morfologica ante operam

Dopo aver percorso un largo tratto di quella campagna emiliana, inconfondibile nella sua uniforme distesa e misurata al più da sparuti filari di pioppi, arrivati qui si ha d’improvviso la straniante impressione – anche se l’architettura è chiaramente riferibile a precisi moduli padani – di trovarsi lì dove il tempo si è fermato, rapiti a forza da quel “passato mitico” narrato da Bernardo Bertolucci in “Novecento”. Quella campagna disegnata da gente che vive, lavora e scrive le proprie memorie sulla terra.

Il paesaggio silente, liricizzato da tenaci nebbie (“fumane”), cela una sinfonìa di sensazioni e tradizioni sopite, custodite e trasmesse nella materia dell’architettura. L’edificio oggetto d’intervento costituiva la sezione produttiva di un’antica corte agricola, denominata “Fondo Casazza”, risalente a metà Ottocento. La configurazione della corte è rimasta sostanzialmente inalterata per oltre un secolo, con l’aia baricentrica, dove si consumava il rito della mietitura, il fienile sul lato ovest e l’abitazione con servizi verso est.

Il fienile rappresentava il cuore produttivo dell’insediamento, con la stalla per l’allevamento bovino al piano terreno e il soprastante rimessaggio, interamente libero e ben areato, destinato al deposito vernino di paglia e foraggi. Dal punto di vista tipologico, l’edificio è costituito da 3 moduli paralleli con sviluppo longitudinale nord-sud, due per il ricovero animale più una zona filtro porticata versa l’aia. Sul piano costruttivo, il fabbricato è descritto da una maglia di pilastri in mattoni di pianta quadrata, di lato pari a 70 cm, con un piede basamentale che ne incrementa la sezione.

Vista dell’edificio prima dei lavori di recupero.

Le murature perimetrali e interne sono anch’esse in mattoni a vista (spessore pari a 2 teste); tracce d’intonachino e una documentazione fotografica d’archivio testimoniavano tuttavia la presenza di una velatura a calce, cosiddetta ‘di sacrificio’, a protezione dei paramenti murari. I solai intermedi erano realizzati in travetti di rovere (di sezione 8×12 cm) e piano di calpestio in mattoni posati di piatto.

In corrispondenza del modulo baricentrico, le travi secondarie scaricavano a loro volta su una doppia pilastrata di colonne circolari in mattoni (del diametro di 30 cm), disposte ai lati della corsia di transito e delimitanti le cosiddette ‘poste’ dei bovini.

L’orditura di copertura del fienile presentava un sistema principale di 3 capriate (di circa 7 metri di luce) in corrispondenza delle pilastrate libere centrali. Una sequenza di travi secondarie costituiva l’orditura di appoggio del tavolato ligneo e del soprastante manto di copertura in coppi. Una parte delle aperture perimetrali era stata col tempo tamponata; i 4 fornici verso la corte erano infatti celati da dozzinali blocchi di cemento vibrocompresso.

Svuotamento del volume interno, rimozione dell’impalcato intermedio della navata baricentrica e ritrovo dell’invaso spaziale originario.

Il progetto di recupero

Il progetto ha riguardato il consolidamento e miglioramento sismico integrale dell’edificio, con interventi minimi e misurati sull’involucro esterno, quali la ricucitura del quadro fessurativo indotto dagli eventi sismici, il restauro di tutti i paramenti murari in mattoni, con ricostruzione, laddove necessario, di porzioni murarie con tessitura analoga a quelle esistenti.

Sul lato verso la corte è stata operata la sostituzione dei precedenti tamponamenti in blocchi cementizi con diaframmi in mattoni faccia a vista (“gelosie”), leggermente arretrati rispetto al piano esterno dei contrafforti esistenti in modo da conservarne l’identità morfologica.

L’intervento ha previsto altresì la ricostruzione del più recente modulo verso nord, che presentava strutture e materiali inadeguati a garantire i livelli di sicurezza antisismica e dissonanti rispetto ai caratteri testimoniali dell’edificio storico.

In particolare, l’integrazione volumetrica rispetta gli allineamenti dell’edificio esistente, armonizzandone il reinserimento. Un lucernario lineare in copertura dichiara la separazione tra i due corpi di fabbrica, restituendo all’interno la percezione unitaria degli antichi paramenti, riscaldati e modellati dalla luce zenitale.

Entrando nel cascinale, si rivive la memoria dell’antica stalla – la grande stanza-cripta al piano terra – recuperata ai suoi paramenti murari originari e misurata da colonne ricostruite con un’anima in ferro.

Al piano terra, la luce che entra dalle antiche finestre rievoca la penombra e il mistero degli usi di un tempo: sembra voler dire che l’antica architettura già indicava, da parte dei vecchi contadini, una difesa dalla Natura, un riparo dai rigidi inverni e dalle afose estati, un luogo dove vivere in simbiosi col tepore di quei “16 capi” di bestiame che rappresentavano la propria ragione di vita.

Nella parte superiore domina invece la Natura: dove un tempo c’era il fienile, si estende ora uno spazio aperto, flessibile, scandito dalle traiettorie di luce naturale disegnate dallegelosiein mattoni dei diaframmi murari ricomposti. Una luce filtrata e modulata, che in ogni istante del giorno e dell’anno assume diverse vibrazioni, descrivendo atmosfere liriche e mutevoli.

L’intervento trae la sua chiave interpretativa dal contrasto tra la penombra protettiva del piano terra e la cangiante esposizione alla luce della parte superiore. L’antico fienile diventa, così, un caleidoscopio in cui si osservano visioni e trasparenze multiple e complesse, proiettate dall’incidenza e dall’intensità della luce naturale.

La vibrante narrazione visivoluministica proietta e intreccia trame multiformi su pareti e pavimenti, divenendo timbro spaziale del fienile recuperato. L’involucro-diaframma traduce e trasfigura uno degli elementi primari della Natura – la Luce – nell’empatìa dello spazio, luogo in cui coltivare – come ben sapeva Sir Brewster – la piacevolezza della visione.

Il vecchio contadino padano aveva così costruito con spirito di difesa la sua piccola scatola per rifugiarsi dalla Natura, troppo impegnativa e ostile alla propria raison d’etre. Quella Natura, ora, rivive e partecipa alla nuova vita dell’edificio, catturata da calibrati tagli oppure “per lo vano” delle piccole finestre esistenti che ritagliano il paesaggio “in isfuggita”, mentre fuori l’orizzonte sembra perdersi nelle caparbie nebbie e non finire mai.

I nuovi inserimenti

A demolizioni avvenute, gli interventi di restauro delle murature sono stati operati con l’intento di porre in luce le successive stratificazioni che le hanno plasmate, rendendole documenti anonimi ma non per questo insignificanti, atti a narrare le storie e le vicende che hanno progressivamente trasformato l’edificio.

Tra queste molteplici tracce sono stati inseriti interventi radi e puntuali, limitati a una gamma ristretta di materiali. Gli spazi sono ridisegnati prestando particolare attenzione allo snodarsi dei percorsi di passaggio tra un locale e l’altro, operando scavi selettivi e quelle che Carlo Scarpa chiamava “demolizioni creative”.

Dettaglio dei piedritti del nuovo telaio metallico accostato alla scatola muraria esistente, realizzati con doppi profili (Upn 160) accoppiati tramite calastrelli.

I nuovi inserimenti, cromaticamente neutri e dall’aspetto minimale, esibiscono il silenzioso commento all’antico e tormentato involucro che li accoglie. Dalle ‘incastellature’ metalliche delle nuove strutture ‘intra muros’, di colore grigio antracite, ai pavimenti di cemento lisciato al quarzo, dello stesso colore, sui quali danzano mirabolanti le mutevoli figure disegnate dalla luce naturale.

Qualsiasi nuovo inserimento – dai profili accoppiati dei piedritti ai controventi, ai grigliati metallici fino ai solai in lamiera grecata – rispetta una regola soltanto, quella che impone che materiali e nuove strutturesi accostino sfiorandoli e quasi senza toccarli ai preesistenti apparati murari”, dichiarando la propria alterità.

Tra la fabbrica esistente e quanto vi è stato aggiunto o sostituito non si osservano mediazioni né intenzioni mimetiche, poiché si è voluto “incastonare” tra le stratificazioni che formano l’antico edificio strutture e piani che le separano e le ricompongono come un “museo di sé stesso”, narrato dallo scorrere del tempo, che si appresta a rivivere nella futura veste di laboratorio di ricerca sul paesaggio.

Nuove incastellature metalliche accostate alla muratura esistente, ricucita e restaurata con speciali malte a base di calce naturale.

I materiali impiegati per i nuovi inserimenti sono meccanici, asettici, privi di imperfezioni, tali da non opporre ostacoli al tatto; artigianali, corrosi, mescolati e tormentati sono invece quei materiali dei quali il tempo si è avvalso per scrivere la storia dell’edificio. Le stesse cancellate esistenti a protezione delle aperture interne ed esterne sono state ripulite e restaurate con cura.

Dei rispettivi pannelli di chiusura in lamiera sono state conservate le tenaci incrostazioni di vernice antiruggine, di un color rosso intenso, in una singolare assonanza con certe trasmutazioni materiche tratte dall’arte informale del Novecento, come i calligrafismi e le “texturologie” di Jean Dubuffet.

Interior Steel Skeleton

La configurazione morfologica e strutturale dell’impianto esistente ne delinea i criteri di ripristino e integrazione. L’intervento ha previsto la conservazione chirurgica dell’involucro, risarcito nelle lacune e nelle lesioni con “qualche calibrato colpo di bisturi”, quello necessario a restituirne l’immagine unitaria e l’identità storico-testimoniale. All’interno, invece, la scatola muraria è liberata da incongruenze e strutture compromesse e, quindi, rimodulata da un interposto telaio metallico che ricalca lo schema statico d’origine.

Pareti-diaframma in mattoni faccia a vista disposti secondo giaciture, angolazioni e aggetti diversificati.

L’incorporazione della nuova struttura traduce una duplice finalità. Da un lato, s’impone la conservazione dell’involucro murario con il ripristino delle originarie strutture ferite dal sisma. Dall’altro, pur rispettandone i caratteri identitari, l’edificio include una strutturasnella’, indipendente dall’involucro ma a esso ancorata, flessibile e reversibile all’uso. La soluzione adottata risolve il contrasto con l’inserimento di uno telaio metallico (“interior steel skeleton”) di colore neutro (“color dell’ombra”, Ral 7016), autonomo dalla scatola muraria, a sostengo dell’impalcato intermedio.

La nuova griglia strutturale rilegge e abbraccia le murature esistenti. Le maniche laterali (est e ovest) sono scandite da quattro campate di luce pari a 3,50 m, mentre il modulo baricentrico (ex stalla) ripropone le geometrie strutturali originarie, con le tre campate longitudinali (di luce 2 – 2,50 – 2 m) misurate da 5 colonne circolari in luogo dei pilastri demoliti, d’interasse pari a 2,25 m. Pilastri e travi del nuovo telaio sono assemblati con doppi profili (Upn 160, L = 65 x 9 mm) calastrellati con piatti metallici (110x160x15 mm).

Prospetto principale verso la corte interna con i nuovi diaframmi murari ricomposti tra i pilastri esistenti.

Appositi collari d’acciaio (in profili UPN 160) – intermedi e sommitali – solidarizzano i piedritti del nuovo telaio ai pilastri in muratura tramite pernature (1Ø12, L = 15 cm) inghisate con speciali resine.

In corrispondenza delle pilastrate perimetrali, l’azione vincolante è corroborata da piatti metallici passanti (spessore 15 mm), con funzione di catena, alloggiati in sedi ricavate ad hoc tramite carotaggi di sezione circolare e ancorati sul piano esterno delle colonne con cosiddetti “bolzoni di contrasto”, costituiti da doppi profili (2L 65×9 mm) accoppiati.

Il solaio intermedio è stato interamente ricostruito in lamiera grecata collaborante (Hi-Bond A55/P600 S100) con soprastante soletta armata con rete elettrosaldata (Ø 10/20×20). I nuovi solai risultano così corrugati espressivamente all’intradosso, in assonanza con i travetti lignei (in batteria) dei vecchi orizzontamenti; i soprastanti pavimenti industriali al quarzo, lisciati con apposite macchine levigatrici, costituiscono un commento neutro ai tessuti parietali, chirurgicamente ricuciti e riscaldati dalla luce radente.

Campata tipica del prospetto principale verso la corte interna.

Coperture

Le capriate lignee di copertura, di luce pari a 7 metri, sono state recuperate alla loro funzione statica tramite interventi puntuali di miglioramento dei nodi, a mezzo di piastre e fascette metalliche sagomate e viti autoperforanti a tutto filetto (n. 9Ø9×360 per ogni nodo, Rothoblass, classe 10.9).

Il soprastante tegumento, invece, è stato integralmente ricostruito con un doppio tavolato di abete (sp. 32+25 mm), battentato e impermeabilizzato, sul quale corre l’orditura secondaria (magatelli sp. 40 mm) a supporto del manto in coppi di recupero.

Rafforzamenti fondali

Le indagini preliminari hanno fatto emergere quell’abilità costruttiva, spontaneamente operante, che suggeriva al sapiente carpentiere ottocentesco di ‘radicare’ la costruzione nei terreni “feraci e argillosi” per almeno un metro di profondità, sovente allargandone la base con precise scalettature.

Purtuttavia, l’esigenza di migliorare sismicamente le strutture esistenti e l’interposizione di un nuovo telaio al loro interno hanno comportato la realizzazione di “vincoli di base” delle colonne esistenti, con relativi collegamenti al piano tra gli stessi.

In particolare, sono stati eseguiti cordoli perimetrali in c.a. a “confinamento” di tutti i plinti isolati in muratura, atti a impedirne la rotazione, sui quali è vincolato altresì il nuovo telaio in acciaio.

I nuovi ‘collari’ di fondazione hanno una sezione costante di 25 cm e una profondità variabile da 50 a 95 cm per i pilastri, a seconda dei singoli casi. I cordoli di confinamento al piede delle murature interne (di sez. 40×25 cm) sono maggiorati alla base del quadriportico (sez. 60×25 cm).

Prospetto verso ovest e il nuovo corpo di completamento ricostruito.

Minimalismo impiantistico

Il concept impiantistico si traduce nella ricerca di condizioni microclimatiche adeguate, innestando su questo edificio passivo ante litteram – condensato di temprata saggezza ecologica – sistemi tecnologici innovativi, pur armonizzati e integrati all’involucro recuperato.

È nascosto il sistema di riscaldamento radiante incorporato nei tessuti pavimentali, che innerva il fluido termovettore tramite un circuito di serpentine multistrato in polietilene reticolato (Pex – Al – Pex, 16×2 mm), posate su pannelli isolanti presagomati (tipo ‘Ecofloor 40’) muniti di nocchie fermatubo.

L’impianto è termoregolato da collettori di distribuzione – con moduli di mandata e di ritorno in poliammide rinforzata con fibre di vetro – alloggiati in cassette a scomparsa nella muratura. Sono nascosti altresì gli impianti elettrici speciali. Luci led (strip light) integrate alle strutture metalliche sono il commento neutro alle calde tessiture murarie: la luce radente espone la storia dell’edificio, facendolo rivivere come “museo di sé stesso”.

Arch. Moreno Pivetti | Progettista e Direttore lavori.

Arch. Moreno Pivetti | Progettista e Direttore lavori

«Ogni evento sismico ripropone impietoso il seguente dilemma: ricostruire “com’era e dov’era”? Con spirito di adeguamento o contrapposizione, imitazione o contrasto? La riflessione è aperta: ricostruire e trasformare ma, anzitutto, conservare e reinterpretare i valori culturali identitari del territorio, affinché l’uomo non cancelli ciò che ha graziato la calamità. Trasformare e conservare risparmiando il linguaggio, filtro contro un’arbitraria espressività, è il vertice più colto dell’eredità progettuale affidataci da quella tradizione moderna che va da Franco Albini ad Ernesto N. Rogers, dai Bbpr a Carlo Scarpa, per giungere a Guido Canali. Questo lascito culturale – strettamente italiano – ci suggerisce come il continuo interrogarsi attorno ai fondamenti del fare avvenga soltanto attraverso la rinuncia a quanto non è essenziale. Questa lezione insegna che nel confronto dialettico con la tradizione l’oltraggio più grave che l’architetto può farle è di celarsi dietro un’acritica imitazione, negandosi al dovere di “dare voce al proprio tempo”».

Chi ha fatto cosa

Opera: Restauro e riuso della Corte ‘Casazza’, Bondeno (Ferrara)
Committente: Committente privato
Progetto architettonico e direzione lavori: Arch. Moreno Pivetti
Progetto strutturale: Ing. Michele Saporito
Superficie totale: 550 mq
Destinazione futura: Centro studi sul paesaggio
Contributo al testo e foto: Arch. Moreno Pivetti
Appaltatore, opere murarie e affini: Ediltor srl
Carpenterie metalliche primarie: Metal Service srl
Montaggio carpenterie metalliche primarie: Tecnomontaggi srl
Malte e prodotti per restauro: Opificio Bio Aedilitia srl
Sabbiatura paramenti murari a vista: Sabbiatura Estense srl
Trattamento pavimenti industriali: Nodari Trattamenti di Mirko Nodari
Serramenti: Top Infissi srl
Impianti speciali: Tecnimpianti srl
Bonifiche ambientali: C.S.A. Consulenze e Servizi Ambientali srl
Indagini geologiche: Gaia srl

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