Associazione «Conoscere è libertà» - Apa Confartigianato | Edilizia sociale

Aspetti e temi dell’abitare sociale in Lombardia

L’interessante convegno tenutosi a Monza ha ripercorso i tempi e i provvedimenti legislativi dell’edilizia residenziale pubblica in Italia, dall’Ina Casa ai Peep ai giorni nostri, con interventi di Marco Dettori (Assimpredil Ance) e dell’arch. Filippo Tartaglia.

A Monza il convegno «Nuovi modelli per l’abitare sociale in Lombardia», tenutosi nella sala conferenze di Apa Confartigianato e promosso dall’associazione «Conoscere è libertà», è stato seguito da addetti ai lavori, imprenditori, rappresentanze istituzionali, costruttori e ha posto l’accento sulle politiche per l’abitare sociale, vista anche l’attuale situazione sociale ed economica in cui versa l’italia e i rapidi mutamenti sociali che impongono di ripensare le politiche del welfare e dell’abitare sociale.sala convegno

Marco Dettori | Presidente Assimpredil Ance
Marco Dettori | Presidente Assimpredil Ance

È emerso dagli interventi dei relatori un nutrito confronto, che ha evidenziato gli aspetti riguardanti l’evoluzione della domanda abitativa nel territorio, le nuove emergenze, le proposte per ripensare l’edilizia residenziale pubblica che vada oltre la statalizzazione degli anni ’70, la semplificazione delle procedure per la gestione degli alloggi Erp e lo sviluppo delle partecipazioni a fondi immobiliari per la realizzazione di alloggi di edilizia sociale, quest’ultimo tema sviluppato da Marco Dettori (presidente di Assimpredil Ance).
Entriamo dunque nel merito di quanto emerso partendo dalla ricostruzione del dopoguerra (dopo l’esperienza degli anni del Regime, in cui comunque l’edilizia sociale aveva assunto specifici connotati e sviluppi) e in particolare da quello che è passato alla storia della politica sociale e degli sviluppi costruttivi come il piano Ina Casa.

La prima fase della ricostruzione. In Italia si può considerare che la stagione della grande ricostruzione in tema di edilizia pubblica (alloggi popolari) si sia chiusa nel 1963: sino a quell’anno il piano, durato 14 anni (il primo periodo dal ’49 al ’56 e il secondo dal ’56 al ’63), era stato ideato con lo scopo principale di dare lavoro ad un gran numero di disoccupati che, privi di specializzazioni, non avevano possibilità di trovare sbocchi occupazionali.
Ricordiamo che l’Italia alla fine del secondo conflitto mondiale era un Paese dal tessuto produttivo distrutto. Allora il settore edilizio fu scelto dal Governo come il più adeguato per impiegare tutta quella manodopera senza specifica competenza. Nello stesso tempo la produzione di alloggi popolari permetteva al Governo di affrontare nell’ambito del processo di pacificazione nazionale una situazione esplosiva causata dal disagio sociale degli strati più poveri della popolazione.

Piano Ina Casa. Il piano di costruzione di alloggi popolari è stato gestito dall’ente pubblico Ina Casa. Gli strumenti attuativi sono stati contenuti nella legge 43 del 28/02/1949 chiamata «Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per i lavoratori», legge conosciuta come «legge Fanfani», dal nome di Amintore Fanfani, ministro del Lavoro e della previdenza sociale dal ‘47 al ’51 nei Governi presieduti da Alcide De Gasperi.

Le risorse. Le risorse necessarie furono trovate attraverso una forma di risparmio obbligatorio per il quale i datori di lavoro e i lavoratori dipendenti del Paese versavano all’Ina Casa trattenute mensili sui salari e sugli stipendi (trattenute che sarebbero continuate anche dopo la scadenza della legge). Nei primi sette anni gli alloggi erano costruiti tramite il risparmio obbligatorio, nei secondi sette anni era stata prevista la partecipazione dei risparmiatori privati, associati in cooperativa, che anticipavano parte del costo di costruzione dell’alloggio, che sarebbe poi diventato di proprietà, a fronte del pagamento di un canone mensile.

Quartiere degli Olmi, Milano, 1967.
Quartiere degli Olmi, Milano, 1967.

Dalla Gescal alle Regioni. Nel ’63 è stata istituita la Gescal, con il compito di gestire e attuare un programma decennale per la costruzione di alloggi per i lavoratori. Attraverso i provvedimenti legislativi sull’edilizia pubblica dal ’62 al ’98, anno del trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni, si è cercato di porre soluzione ai problemi che si erano evidenziati e si è posta l’edilizia economica e popolare all’interno di una programmazione urbanistica, si è integrata l’edilizia privata di carattere economico con l’edilizia sovvenzionata di carattere popolare e si è provveduto alla riduzione (con le norme per l’esproprio dei suoli edificabili) della formazione di rendite fondiarie.

La legislazione. La legislazione specifica sull’edilizia residenziale pubblica e l’azione conseguente di costruzione di alloggi destinati alle famiglie in condizioni economiche modeste hanno una lunga tradizione iniziata nel corso del XIX secolo, sviluppatasi successivamente in tre grandi fasi distinte tra loro. Durante il convegno di Monza gli interventi di Laura Schiaffino (ing. ufficio tecnico Aler Milano) e del prof. Filippo Tartaglia (architetto, già docente universitario) hanno ben delineato queste fasi, che possiamo così sintetizzare:

Una prima fase caratterizzata dai provvedimenti legislativi succedutisi dal dopoguerra al 1971, provvedimenti che hanno fatto leva sul quadro giuridico introdotto dal testo unico per l’edilizia popolare ed economica del 1938 (regio decreto del 28 aprile 1938 n. 1165), dal quale sono stati generati gli Istituti autonomi case popolari. In questa fase si sono realizzati il piano Ina Casa e il piano Gescal (1963-1973, secondo la legge 60/1963).

Quartiere Comasina, Milano, 1954-1963.
Quartiere Comasina, Milano, 1954-1963.

Una seconda fase, che consideriamo dal 1971 al 1975, è stata caratterizzata dall’istituzione degli Iacp (legge 865/1971) come unici referenti dello Stato in tema di edilizia residenziale pubblica e del piano decennale per l’edilizia (legge 457/1978). Quest’ultima legge ha previsto un piano decennale di edilizia residenziale riguardante gli interventi di edilizia sovvenzionata diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio degli enti pubblici. Insieme a interventi di edilizia convenzionata e agevolata diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio esistente. Inoltre, era prevista l’acquisizione e l’urbanizzazione di aree destinate agli insediamenti residenziali. La legge ha anche rivisto l’assetto istituzionale centrale, andando a ridefinire le funzioni del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) e delle Regioni, alle quali era demandato il compito di formulare (sulla base del piano nazionale) i programmi quadriennali e i progetti biennali d’intervento dopo aver individuato il fabbisogno regionale.

Negli anni ’90, con la consapevolezza dell’ente pubblico di essere in grado di operare con criteri d’economicità ed efficienza, emergeva l’esigenza di dotare gli enti preposti allo sviluppo delle politiche di edilizia residenziale pubblica dei mezzi necessari al raggiungimento degli obiettivi che già negli anni ’70 l’operatore pubblico si era proposto di raggiungere e non era riuscito a realizzare con la legge 865/1971 (e normative successive). La trasformazione da istituto in azienda è avvenuta quando lo Stato, non più capace di garantire i finanziamenti a pioggia derivanti dai piani pluriennali (leggi n. 865/1971, 513/1977, 457/1978), ha delegato le funzioni alle Regioni.

Ora il quadro normativo dispone che siano le Regioni a indicare l’intervento pubblico in tema di edilizia residenziale e l’intervento viene organizzato attraverso le diverse aziende secondo l’indirizzo dato dalle stesse Regioni. Il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato agli enti locali è attuato attraverso il ddl 112/1998. Nella terza sezione (edilizia residenziale pubblica) l’art. 59 stabilisce che le funzioni e i compiti mantenuti dallo Stato attengono:

  • alla determinazione dei principi e delle finalità di carattere generale e unitario in tema di edilizia residenziale pubblica
  • alla definizione dei livelli minimi del servizio abitativo, oltre agli standard di qualità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica
  • al concorso nell’elaborazione di programmi di edilizia residenziale pubblica aventi interesse a livello nazionale
  • alla definizione dei criteri per favorire l’accesso al mercato delle locazioni dei nuclei familiari meno abbienti e agli interventi riguardanti il sostegno finanziario al reddito.
Il prof. Filippo Tartaglia è intervenuto su «Semplificazione delle procedure per la gestione degli alloggi Erp».
Il prof. Filippo Tartaglia è intervenuto su «Semplificazione delle procedure per la gestione degli alloggi Erp».

Prof. Tartaglia, nel convegno di oggi un interessante excursus nella legislazione e nei provvedimenti che hanno portato ai modelli per l’abitare sociale. Cosa ci serberà però il futuro? Snellimento di procedure burocratiche, aspetti formativi per i tecnici, ampi sviluppi per le ristrutturazioni, facilitate anche dagli sgravi fiscali: qual è il suo punto di vista?
I modelli per l’abitare sociale sono stati generati dalle leggi sia per il finanziamento che per le tipologie abitative. Sin dal 1903, con le legge che prende il nome dal suo relatore, l’on. Luzzati, si estende ai privati, agli enti morali, alle imprese la possibilità di costruire abitazioni da dare in locazione. Nel 1904 viene approvato il regolamento esecutivo e quattro anni dopo vengono apportate delle modifiche relative agli enti mutuanti e alle agevolazioni fiscali. Già nel 1909 vengono indetti dei concorsi di progettazione e per il quartiere Cola di Rienzo l’arch. Antonio Camisasca propone un esempio di monolocale con particolari caratteristiche e con una superficie inferiore a 30 mq. Oggi non sarebbe abitabile. Nel 1920 la Pirelli, utilizzando la legge Luzzato, costruisce a Milano la Casa del Borgo Pirelli. Si arriva nel 1926 con la legge 253 per avere un testo unico delle leggi per le case popolari e nel 1927 con la legge 985 vengono istituite le sezioni autonome degli Iacp. Nel 1935 viene indetto dal Regime fascista un concorso per la realizzazione del quartiere Fabio Filzi a Milano: il progetto vincitore era degli architetti Albini, Palanti e Camus, che per ridurre il costo hanno abolito le decorazioni e i fronzoli limitando alla razionalità ogni parte del progetto introducendo così, per la prima volta in Italia, il movimento Razionalista in tema di edilizia popolare. Come ben sapete, nel 1942 viene approvata la legge 1150, nota come legge urbanistica, e nell’immediato dopoguerra la legge Fanfani, alla quale seguono numerose altre leggi per finanziare o modificare i meccanismi di aggiudicazione o di tipologia. Ricordo la legge 408 del 02/07/1949, conosciuta come legge Tupini, nel 1967 la legge ponte Ripamonti, nel 1971 la legge 865 riguardo alle urbanizzazioni (legge Bucalossi), nel 1977 la legge 10 riguardante i piani pluriennali di attuazione e nel 1981 la legge 663, passata alla storia come legge Nicolazzi. Senza dimenticare che nel 1963 c’è stata la legge 60, Gescal, del piano decennale, legge che prevedeva un prelevamento percentuale dalla busta paga dei dipendenti e una parte dal datore di lavoro per reperire i fondi di finanziamento, indicando inoltre la dimensione degli appartamenti.

Quartiere Borgo Pirelli, casa a tre piani in viale Sarca a Milano, 1920-1923.
Quartiere Borgo Pirelli, casa a tre piani in viale Sarca a Milano, 1920-1923.

Passate le competenze alle Regioni, si susseguono diversi provvedimenti per finanziare le costruzioni: in particolare, la Regione Lombardia pubblica il testo unico (legge 27/2009), ma l’anno successivo pubblica la legge 19/2010 per indicare le modifiche per le vendite del patrimonio Erp. Nel 2012 la legge 4 indica le prescrizioni per ampliamenti, demolizioni e ricostruzioni. Poi nel 2013 c’è la legge 17.
Però mi chiedo: se nei concorsi si prevedono 30 giorni per redigere i progetti preliminari, perché occorrono almeno 120 giorni per verificarli? Credo dunque che per snellire le procedure occorra intervenire riducendo i 120 giorni. In realtà la legge prevede che l’esame duri al massimo 60 giorni, ma spesso capita che al 58° giorno vengano interrotti i termini perché manca sempre qualcosa nella documentazione.

Prof. Tartaglia, ora si punta sul riordino delle periferie, sulla ristrutturazione dei vecchi quartieri, si fa leva anche sulle migliorie che assecondino un nuovo assetto urbanistico-architettonico. Ci faccia un esempio di quello che si dovrebbe o potrebbe mettere in cantiere con costi relativamente bassi.
Vengono introdotti nuovi strumenti per accelerare le pratiche (Scia, Dia, Cia…), ma il responsabile rimane sempre il progettista. Inoltre, attualmente, ci risulta che siano in corso finanziamenti per la ristrutturazione dei vecchi quartieri storici (esistenti da oltre 70 anni), per i quali è richiesto il parere della Sovrintendenza in quanto l’isolamento termico (cappotto) interviene sulle facciate, e successivamente occorre il parere della Paesaggistica (commissione introdotta in sostituzione della Commissione edilizia), con il risultato che i tempi rimangono molto lunghi. Purtroppo si fanno norme nella convinzione di aumentare gli introiti della pubblica amministrazione, mentre in realtà si va a frenare lo sviluppo.

Quartiere Molise, Milano, piazzale Cuoco, 1932-1938.
Quartiere Molise, Milano, piazzale Cuoco, 1932-1938.

Un esempio ci viene dalla norma sulle serre: la legge regionale 32/2005 le considera utili per l’isolamento termico e possono rappresentare per due stagioni all’anno un nuovo ambiente, un giardino per avere essenze a km zero, un luogo nel quale sostare. Il regolamento del comune di Milano, in vigore da due mesi, stabilisce che oltre 1,5 m di profondità la serra è un volume abitabile. Se durante la ristrutturazione delle coperture piane di un edificio fosse possibile realizzare una serra, il cui costo è di 600-700 euro/mq, gli inquilini degli ultimi piani delle case a riscatto potrebbero valutare l’opportunità di avere un giardino d’inverno con le essenze aromatiche a km zero. Così come agli inizi del ‘900 le case popolari avevano i servizi igienici all’interno delle abitazioni, anticipando di mezzo secolo una consuetudine, oggi si potrebbero anticipare in questo modo le usanze dei futuri anni.

Quartiere Fabio Filzi, Milano, viale Argonne, 1935-1938.
Quartiere Fabio Filzi, Milano, viale Argonne, 1935-1938.

Per saperne di più:
Storia dell’architettura italiana (il primo Novecento), edizioni Electa, a cura di Giorgio Ciucci e Giorgio Muratore
La casa popolare in Lombardia 1903-2003, edizioni Unicopli, a cura di Raffaella Pugliese
100 anni di edilizia residenziale pubblica a Milano, edizioni Aler-Centro Tibaldi
Franco Albini 1905-1977, edizioni Electa, a cura di Antonio Piva e Vittorio Prina
La grande ricostruzione – Il piano Ina Casa e l’Italia degli anni ’50, Donzelli Editore, a cura di Paola Di Biagi
Gli architetti e il Fascismo – Architettura e città 1922-1944, edizioni Piccola Biblioteca Einaudi, a cura di Giorgio Ciucci
Paesaggio e architettura nell’Italia contemporanea, Donzelli Editore, a cura di Giovanni Durbiano e Matteo Robiglio
Urbanistica e sfera pubblica, Donzelli Editore, a cura di Cristina Bianchetti.

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