Edilizia storica | Rinascente Tritone, Roma

Cantieri complessi. La sfida: coniugare rispetto della storia, funzionalità e stile

Una delle sfide principali di questo progetto è stata sicuramente l'organizzazione della logistica di cantiere, che si è dovuta misurare con difficoltà derivate dalla particolare localizzazione del sito e con le problematiche legate alle caratteristiche specifiche dell'opera da realizzare nell'ambito di un cantiere imploso, interessato per quasi tutta la sua durata da un'intensa attività d'indagini archeologiche e servito da un unico accesso carrabile. Uno degli obiettivi di progetto, fissati di concerto con la soprintendenza statale, è stato quello di conservare le quinte urbane, ragione per la quale la scelta degli accessi al cantiere è stata limitata, nel posizionamento e nelle dimensioni, dalle bucature al piano terra nei prospetti esistenti.

La realizzazione della «Rinascente Tritone» ha comportato un intervento di ristrutturazione e riqualificazione di un compendio immobiliare in pieno centro storico che si può annoverare tra gli interventi più complessi realizzati nel centro di Roma negli ultimi anni.

Volume totale (80.500 mc); superficie totale (21.600 mq); superficie di vendita (12.300 mq); superficie ristorazione (1.100 mq); terrazze ristorazione (500 mq).

L’opera è stata completata in poco più di tre anni di cantiere, seguiti ai circa sette anni spesi nelle complesse vicende amministrative e nella continua ricerca di soluzioni progettuali sostenibili, adeguate alla ricchezza dei reperti archeologici rinvenuti e culminate nel restauro e valorizzazione di una lunga porzione dell’Aqua Virgo.

L’inevitabile necessità di comprimere i tempi di realizzazione, in tale contesto, ha reso necessario trovare e adattare al progetto soluzioni logistiche e tecnico-costruttive che consentissero di raggiungere tale risultato.

Prima fase delle demolizioni dei corpi bassi.
Corpo di fabbrica Tritone durante le demolizioni.

La Presint Engineering International (PEI Engineering), società d’ingegneria romana, che ha come Ad Francesco Bellini e come direttore tecnico Fiorenzo Boria, si è occupata della redazione del progetto edilizio, della direzione lavori e del coordinamento progettuale dei vari architetti attivi sullo scenario internazionale, che hanno definito il design degli allestimenti interni, allestimenti che hanno comportato problematiche d’ingegnerizzazione diverse per ciascuno dei sette livelli dell’edificio.

Le sfide tecnologiche e progettuali più impegnative, oltre quelle derivanti dall’archeologia, sono scaturite dalla necessità di conservare sagome e altezze degli edifici preesistenti, consentendo al contempo di massimizzare la superficie commerciale, dalla necessità di preservare l’immagine urbana dell’edificio, conservando la facciata su via del Tritone, una porzione di edificio su via Due Macelli e le membrature esterne di un piccolo palazzetto novecentesco oggi inglobato nel grande magazzino, rivisitando contemporaneamente l’intera struttura edilizia.

Studio di progettazione Presint.

Arch. Fiorenzo Boria | Progettazione e direzione lavori

«Una delle sfide tecnologiche più impegnative è scaturita dalla necessità di contenimento delle altezze, considerata la natura e il contesto dell’intervento: il vincolo di rispettare l’altezza dell’edificio preesistente, assicurando nel contempo il rispetto dei requisiti igienico-sanitari degli ambienti interni, ha costretto i progettisti a lavorare su stratigrafie orizzontali di spessori molto ridotti. L’obiettivo da raggiungere è stato il contenimento dello spessore massimo dell’intero pacchetto solaio-impianti-controsoffitto entro i 70 cm complessivi, questo ha richiesto l’ottimizzazione degli elementi strutturali, il coordinamento minuzioso di tutte le reti impiantistiche oltre che la scelta di materiali molto performanti. I materiali isolanti ad alte prestazioni sono stati validi alleati per garantire il corretto funzionamento energetico dell’edificio, in un contesto tanto complesso, assicurando ottime caratteristiche di resistenza termica con spessori ridotti».

Getto fondazione, porzione “manica” con gli elementi strutturali del nucleo scale già realizzati a contrasto dei puntelli esistenti.

L’organizzazione del cantiere

Una delle sfide principali di questo progetto è stata sicuramente l’organizzazione della logistica di cantiere, che si è dovuta misurare con difficoltà derivate dalla particolare localizzazione del sito e con le problematiche legate alle caratteristiche specifiche dell’opera da realizzare nell’ambito di un cantiere imploso, interessato per quasi tutta la sua durata da un’intensa attività d’indagini archeologiche e servito da un unico accesso carrabile.

Uno degli obiettivi di progetto, fissati di concerto con la Soprintendenza Statale, è stato quello di conservare le quinte urbane, ragione per la quale la scelta degli accessi al cantiere è stata limitata, nel posizionamento e nelle dimensioni, dalle bucature al piano terra nei prospetti esistenti.

L’unico accesso carrabile esistente risultava posizionato su via del Tritone e il suo utilizzo con i mezzi di cantiere avrebbe richiesto l’attraversamento della corsia preferenziale per i mezzi pubblici, per questo motivo si è scelto di utilizzare l’ingresso all’ex galleria commerciale, posizionato al centro della facciata su via Due Macelli.

Nelle diverse fasi del cantiere, l’accesso dei mezzi pesanti, ha prima richiesto il sostegno delle strutture esistenti con puntelli ad alta capacità di carico poi, a seguito delle demolizioni dei solai del piano primo e terra, è stata realizzata una rampa in terreno compattato che è stata sostituita infine da una rampa a struttura metallica, per consentire la prosecuzione delle indagini archeologiche anche al di sotto di essa.

L’altra sfida del cantiere è derivata dal dover concentrare in uno spazio già ridotto, in relazione alla complessità e alle dimensioni dell’intervento (4000 mq), una serie di lavorazioni molto diverse tra loro, con esigenze talvolta in netto contrasto:

  1. la conservazione della facciata su via del Tritone ha comportato, al fine di contenere possibili episodi di instabilità, la necessità di dover mantenere due campate dell’edificio esistente, fino alla realizzazione dei nuovi solai, cui agganciare la struttura portante della facciata stessa (800 mq di area di sedime occupati);
  2. il corpo di fabbrica posto su via Due Macelli è stato conservato e sottoposto a opere di consolidamento (300 mq di area di sedime occupati in corrispondenza dell’unico accesso all’area di cantiere);
  3. il progetto di adeguamento strutturale del piccolo palazzetto novecentesco, conservato all’interno del lotto, ha avuto un lungo iter di concertazione con la Soprintendenza Statale ed è stato una delle ultime porzioni di cantiere a essere chiusa (350 mq di area di sedime occupati);
  4. la liberazione dell’Acquedotto Vergine, il suo restauro e il progetto di valorizzazione, definito completamente quando già la maggior parte delle nuove strutture era stata realizzata, hanno interessato il margine del lotto verso l’acquedotto stesso (400 mq di area di sedime occupati);
  5. le indagini archeologiche, hanno interessato a tappeto tutta l’area del lotto e si sono svolte in fasi successive e hanno richiesto di volta in volta aree libere, per consentire gli scavi in sicurezza.

L’archeologia: un cantiere nel cantiere

La conoscenza, la protezione e la valorizzazione dei reperti archeologici, presenti nell’area di sedime dell’edificio esistente, hanno avuto un ruolo primario nella storia del cantiere, dettandone i tempi e richiedendo continui aggiustamenti delle fasizzazioni previste per i lavori, così da consentire il proseguimento in parallelo delle indagini archeologiche, dei lavori di protezione dei reperti e il restauro di una consistente porzione delle arcate dell’Acquedotto Vergine.

Tra il 2009 e il 2017, le campagne d’indagini archeologiche hanno consentito di ricostruire la stratificazione storica del sito. Le indagini si sono articolate in diverse fasi, strettamente correlate all’avanzamento del cantiere:

  1. nella fase di acquisizione delle autorizzazioni necessarie alla trasformazione del complesso edilizio esistente, a lavori edilizi non ancora iniziati, sono stati realizzati carotaggi e trincee, nei campi liberi dagli elementi strutturali di fondazione. In questa fase l’estensione e la profondità degli scavi è stata condizionata da ragioni di sicurezza, legate alla stabilità degli edifici esistenti e dalla presenza dell’acqua di falda, posta a circa un metro e mezzo sotto il piano di calpestio del livello interrato;
  2. successivamente, a seguito delle demolizioni necessarie alla realizzazione delle nuove strutture, sono stati fatti scavi estensivi in tutta l’area di sedime, mediante una successione di sottocantieri appositamente studiata per consentire il proseguimento delle opere edilizie;
  3. solo in alcuni punti, ritenuti indicativi dagli archeologi della Soprintendenza Statale, sono stati fatti approfondimenti puntuali sotto falda.

Le strutture antiche rinvenute nell’area sono state pulite, restaurate e protette da uno strato di tessuto non tessuto (tnt), materiale ottenuto dalla combinazione di fibre di poliestere, caratterizzato da una forte resistenza alla trazione e dalla possibilità di essere modellato a contatto con le superfici da proteggere.

I reperti sono stati protetti da un ulteriore strato di Geomix, una miscela fluida da riempimento autolivellante, assimilabile a un terreno artificiale che ha consentito un veloce riempimento degli scavi e consentito un’altrettanto veloce rimozione con mezzi manuali.

Puntellamenti provvisori durante l’approfondimento degli scavi a ridossi dell’Acquedotto (AFSSABAP).Per gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Soprintendenza Speciale Archeologia, belle arti e paesaggio di Roma.

L’obiettivo più importante del progetto di valorizzazione archeologica è stata la liberazione, il restauro e la valorizzazione di un tratto di circa ottanta metri dell’acquedotto romano dell’Aqua Virgo, costruito per volontà di Marco Vespasiano Agrippa nel 19 a.C. e che fino a non molti anni fa alimentava ancora la Fontana di Trevi. Durante le prime fasi del cantiere, l’Acquedotto era nascosto dai muri d’ambito ottocentesco dell’edificio preesistente.

Durante i primi saggi sono state portate alla luce alcune porzioni delle arcate e successivamente un ardito progetto strutturale ha permesso di liberare quasi tutto il confine dell’edificio, occupato dall’Acquedotto stesso. La linea indicata dalla Soprintendenza è stata quella di liberare la parte visibile dell’Acquedotto dalle superfetazioni, per procedere al suo restauro.

Le operazioni di liberazione e restauro, così come le indagini archeologiche nel loro complesso, sono state eseguite dalla società LAND srl.
I principali interventi che hanno interessato l’Acquedotto sono stati:

  • la riduzione del biodeterioramento dovuto alla presenza di umidità mediante disinfestazione da vegetazione e trattamenti con biocidi per eliminare muschi e funghi;
  • la riduzione e la rimozione con trattamenti meccanici o chimici delle croste e dei depositi calcarei;
  • la rimozione meccanica di elementi estranei (travi metalliche, resti d’impianti idrici, cemento armato);
  • il risarcimento delle lacune e la parziale ripresa del paramento con mattoni antichi o malte compatibili.
Palazzetto novecentesco a demolizioni delle strutture adiacenti già avvenute.

Le opere di demolizione

Il contesto operativo ha fatto si che l’attività di demolizione degli edifici esistenti si configurasse come una tra le sfide principali che un simile progetto ha dovuto affrontare in fase realizzativa. L’impresa appaltatrice (CMB) ha affidato le opere in subappalto a una ditta specializzata in demolizioni complesse, la Despe.

La volumetria complessiva demolita è stata pari a circa 80mila mc vuoto per pieno. Le demolizioni hanno seguito uno specifico Piano delle Demolizioni, supportato da verifiche strutturali sui volumi che dovevano necessariamente essere conservati o demoliti in un momento successivo (Tritone, Due Macelli, Palazzetto novecentesco).

Mentre gli ultimi due presentavano strutture indipendenti dalle restanti porzioni del complesso edilizio, il corpo di fabbrica su via Del Tritone presentava connessioni strutturali dirette con i due corpi di fabbrica ad esso adiacenti e ortogonali, demoliti in prima battuta, per liberare l’area centrale del cantiere.

Armatura del solettone di fondazione con passaggio corrugati per lo spostamento nella sua nuova posizione della Cabina Acea presente nell’edificio.

Si è proceduto pertanto alla verifica di stabilità sotto l’azione del vento del corpo di fabbrica disposto longitudinalmente a via del Tritone, a fronte della quale sono stati realizzati alcuni interventi d’irrigidimento a carattere provvisorio, costituiti da controventature metalliche.

Altro aspetto delicato è stata la presenza di alcuni puntelli in c.a., posti a contrasto tra l’edificio perpendicolare a via Due Macelli (manica) e un edificio adiacente. Sia lo stato delle puntellazioni che la loro reale efficacia hanno spinto i progettisti verso una soluzione che consentisse il mantenimento delle stesse, previo consolidamento, senza procedere alla loro demolizione e sostituzione con altra struttura.

La demolizione di tale porzione di edificio è avvenuta quindi soltanto dopo aver realizzato strutture principali in c.a. dei vani scala, previste in progetto in adiacenza alle puntellazioni, che hanno consentito di realizzare un contrasto efficace. Le tipologie d’intervento sono sostanzialmente quattro, ri-articolate più volte in corso di esecuzione in ragione di particolari esigenze di cantiere emerse con l’avanzamento dei lavori generali e delle indagini archeologiche:

  • demolizione dei corpi bassi (interrato e terra)
  • demolizione dei corpi alti (sette piani)
  • decostruzione con minimacchine (escluse facciate lati strada)
  • decostruzione interna (escluse facciate perimetrali).
Getto della fondazione della parte centrale dell’edificio.

La demolizione dei corpi bassi è stata organizzata nelle seguenti fasi: predisposizione della necessaria puntellazione; accesso da via due Macelli con escavatore Volvo ec140cl per realizzazione rampa di accesso alla quota di fondazione; accesso da via due Macelli con escavatore Liebherr r 924b hdsl per demolizione da quota copertura a piano fondazione.

Una volta demoliti i corpi bassi e montata la gru a torre, si è potuto accedere all’area operativa con escavatori Daewoo solars 338 nlc-v con braccio da 20 metri. Per particolari esigenze di cantiere, anche una parte delle demolizione dei corpi alti è avvenuta con mini escavatori posizionati ai piani.

Casseratura del secondo livello delle pareti in cemento armato.

È stato previsto un sistema di puntellazione dei vari piani delle porzioni di edificio da demolire, per permettere il posizionamento e transito di minimacchine durante le attività di demolizione. Il sistema di puntellazione è stato dimensionato per il carico della macchina e dell’attrezzatura (circa 3500 kg) e delle macerie prodotte (spessore max 0,5 m ≈ 1000 kg/m2) e amplificato con un coefficiente che tenesse conto del fattore dinamico esercitato durante la movimentazione sui solai.

Il materiale di risulta proveniente dalla demolizione delle strutture in cemento armato è stato sottoposto a deferrizzazione, in modo da separare il ferro di armatura dal calcestruzzo, frantumato in porzione idonee a un suo riutilizzo trasportato in apposita discarica specializzata in riciclo da materiale inerte da demolizione.

Getto della soletta del primo livello.

Le sfide strutturali: conservazione delle testimonianze storiche

Anche la realizzazione delle strutture ha comportato lo studio di soluzioni progettuali complesse, legate al tema dell‘interazione tra porzioni di edificio esistenti da conservare ed elementi da realizzare ex novo, nello specifico ci riferiamo alla facciata su via del Tritone e alle membrature esterne del piccolo palazzetto novecentesco interno al lotto, che è stato completamente svuotato, prima della realizzazione dei nuovi solai alle quote di progetto.

La quinta urbana su via del Tritone è costituita da una «riedizione» della facciata del settecentesco Palazzo Torlonia, fatta durante i lavori di demolizione e ricostruzione dello stesso negli anni Cinquanta. La facciata che è stata conservata è costituita da una tamponatura in mattoni forati, con uno scheletro portante costituito da telai in c.a.

Completamento dell’ultima porzione di strutture in c.a. (“manica”).

La stabilità finale della facciata è stata assicurata da un secondo telaio in c.a. realizzato in aderenza agli elementi strutturali esistenti e a questi collegato, successivamente reso solidale alla nuova struttura dell’edificio realizzato alle spalle.

Il sostegno della facciata nelle fasi intermedie (demolizioni e ricostruzione della struttura portante dell’edificio retrostante) è stato garantito da un sistema di puntelli di controventatura, realizzati con profili metallici Hea400, che ha interessato tutta la prima campata strutturale del vecchio edificio, posta direttamente a ridosso della facciata.

L’aggancio della facciata alla nuova costruzione è avvenuto attraverso un susseguirsi di fasi di demolizione e ricostruzione che hanno permesso di eseguire getti in continuità per almeno due campate contigue, al fine di non avere riprese di getto nei punti critici e più sollecitati della struttura ovvero sulle campate più lunghe.

Aggancio della trave metallica del lucernario centrale sulla struttura in c.a.

La sequenza costruttiva può essere sintetizzata come segue:

  1. demolizione parziale della parte superiore dei plinti esistenti e realizzazione della nuova fondazione;
  2. realizzazione dei nuovi pilastri in facciata, addossati e ricollegati ai pilastri di facciata esistenti;
  3. realizzazione di tutti i nuovi pilastri;
  4. puntellazione dei pilastri esistenti;
  5. demolizione di porzioni limitate di solaio;
  6. getto parziale del solaio, prevedendo la continuità di almeno due campate (i pilastri esistenti sono stati inglobati nel getto, previa disposizione di chiusure laterali metalliche, che hanno permesso nelle fasi successive di demolire il pilastro esistente e di richiudere il foro con getto di calcestruzzo);
  7. completamento di tutti i piani della nuova struttura con la successione di fasi da 3 a 8;
  8. demolizione dei pilastri esistenti, procedendo dal livello più alto sino alla fondazione.

Massimiliano Stimamiglio | Direttore generale Stiferite

Massimiliano Stimamiglio | Direttore generale Stiferite.

«Il settore dell’edilizia sta attraversando una fase di grande trasformazione grazie al crescente impegno europeo e nazionale per la realizzazione di edifici sempre più efficienti, più sostenibili e più sicuri. In questo contesto il ruolo dei materiali isolanti ha assunto un peso rilevante e la nostra azienda, che opera nel settore da più di 50 anni, è da sempre impegnata a sostenere il processo di efficientamento energetico, con lo sviluppo sia di nuovi prodotti e sia di efficaci tecniche applicative, e con una particolare attenzione per gli interventi di restauro e ristrutturazione che sono fondamentali per migliorare l’efficienza energetica del nostro Paese dove l’età del patrimonio edilizio esistente è particolarmente avanzata. Per condividere le nostre esperienze e competenze tecniche con l’intera filiera del mondo edilizio, abbiamo da tempo sviluppato una rete capillare, coordinata dall’Ufficio Tecnico Stiferite e formata da funzionari tecnici e responsabili commerciali di zona, capace di dialogare con progettisti, distributori e imprese applicatrici e di offrire prodotti e soluzioni tecniche di comprovata efficacia.
In questo cantiere, per l’isolamento termico delle strutture sono stati utilizzati circa 13.000 metri quadrati di pannelli Stiferite in schiuma polyso di spessore 120 mm con diverse tipologie di rivestimento in funzione delle esigenze applicative delle diverse strutture. Per le pareti del cavedio, isolate con un sistema a cappotto, sono stati utilizzati i pannelli Stiferite Class SK, specifici per questa applicazione, rivestiti su entrambi i lati in velo vetro saturato. 

Pannello Stiferite Class SK.

L’efficienza isolante dei pannelli Stiferite Class SK, che nello spessore impiegato garantiscono eccellenti valori di trasmittanza e resistenza termica (U = 0,21 W/m2K e R = 4,80 m2K/W), consente interessanti economie, anche ambientali, limitando i volumi e i pesi dei materiali isolanti e riducendo i tempi di lavorazione e i costi dei materiali necessari alla messa in opera e finitura del sistema a cappotto (tasselli di fissaggio, profili, profondità delle soglie per le aperture). Per l’isolamento di alcune pareti perimetrali in intercapedine e per le coperture a falde sono stati impiegati i pannelli Stiferite GT con rivestimenti gas tight triplo strato su entrambe le facce. I rivestimenti gas tight permettono di ottenere valori di conducibilità termica dichiarata estremamente bassi: λD pari a 0,023 W/mK, valore medio per 25 anni di esercizio e comprensivo delle correzioni statistiche».

Soletta di consolidamento dei solai e struttura metallica del tetto Due Macelli.
Innovazione | Struttura metallica del tetto “DueMacelli”.

L’opera in sintesi

  • Struttura corpi principali: cemento armato; fondazione a platea (s=1 mt); pilastri e setti d’irrigidimento (nuclei scale-acensori); solette piene (s=21/24 cm).
  • Lucernario centrale: struttura metallica; infissi Schuco in alluminio verniciato con profilo a taglio termico Aws57ro; vetri clear guardian SunGuard SnN63-34/16/55.2 argon 90%.
  • Scale di sicurezza antincendio: struttura in acciaio; gradini e pianerottoli in grigliato keller antitacco.
  • Struttura palazzetto novecentesco: mista acciaio e cemento armato.
  • Interventi edificio due macelli: nuove fondazioni su micropali Φ200 (l=10 m) realizzate lateralmente alle fondazioni esistenti e collegate a queste; soletta sopra le fondazioni (s=31 cm); rinforzo di travi e pilastri in c.a. tramite incamiciatura in calcestruzzo colabile e gabbia d’armatura (s=6 cm); rinforzo delle pareti in muratura esistenti tramite placcaggio con betoncino armato (s=6 cm); soletta sopra i solai esistenti (s=6 cm); sostituzione del tetto esistente con un tetto a capriate metalliche.
  • Tamponature: blocchi Porotherm Wienerberger; cappotto esterno con pannelli Stiferite Class SK in schiuma Polyiso e materiali complementari Baumit.
  • Infissi esterni su facciate storiche: secco in acciaio zincato e verniciato con profilo a taglio termico Os2, Vetri 55.2 extraclear guardian Silent Sn70/16/44.4.
  • Infissi esterni su facciate nuove: Schuco in alluminio verniciato con profilo a taglio termico AwS65, Vetri 55.2 extraclear guardian Silent Sn70/16/44.4.
  • Impianto di spegnimento: Water mist istallato in subappalto da Tyco.
  • Impianto di sollevamento: Scale mobili, ascensori e montacarichi ThyssenKrupp Elevetor.

Chi ha fatto Cosa

Committente: Rina Estate Italia srl, Rinascente spa
Progettazione architettonica: Pei Engineering, arch. Fiorenzo Boria; team: ing. Antonio Frassinelli, arch. Loredana Gallo, arch. Valerio Pallotta
Progettazione strutturale: Pei Engineering, ing. Michele Tiberi
Progettazione impiantistica: Esa Engineering srl
Project management: Arcadis, arch. Alessandro Pessina
Impresa appaltatatrice: CMB, responsabile geom. Carlo Pietricola- Capo cantiere, geom. Mauro Imperi
Progettazione variante impianti meccanici:  Bre Engineering srl, ing. Gianpiero Bozino Resmini
Progettazione variante impianti elettrici: Studio CS, ing. Stefano Ceserani
Varianti strutturali in cosro d’opera e progetto costruttivo strutture: Studio CFR, ing. Alessandro Pigliapoco
Progetto costruttivo architettonico: Arch. Alberto Cruciani
Indagini archeologiche e restauro: LAND srl
Direzione lavori: Pei Engineering, arch. Fiorenzo Boria, team: ing. Antonio Frassinelli, arch. Loredana Gallo, geom. Marco Leoni, arch. Valerio Pallotta
Direzione operativa strutture: Pei Engineering, ing. Michele Tiberi
Direzione operative impianti: Pei Engineering, ing. Caterina Favero, ing. Giulio Vannucci
Subappalto demolizioni: Despe
Subappalto impianti meccanici e progetto costruttivo: Ellemme spa
Subappalto impianti elettrici: Elettroservice spa
Subappalto impianto Water Mist: Tyco

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