Casalgrande Padana | Casa Baldi, Roma

Paolo Portoghesi presenta il restauro della «sua» Casa Baldi

Casa Baldi è una villa realizzata sulle colline romane negli anni Sessanta. Oggi è stata restaurata e riconsegnata alla città con una nuova destinazione d’uso grazie all’investimento di Casalgrande Padana che ne ha affidato il restauro allo stesso architetto che l'ha realizzata tanti anni fa, Paolo Portoghesi. Diverrà sede di un Creative Centre. Il punto di vista dello stesso architetto.

Dopo 60 anni, Casa Baldi, il gioiello di Paolo Portoghesi, torna a nuova vita. Si tratta di una villa sulle colline romane nata come residenza del regista Gian Vittorio Baldi e progettata dall’allora giovanissimo architetto Paolo Portoghesi tra il 1959 e 1961.

Casa Baldi | Apertura del Creative Centre Casalgrande Padana.

L’opera rappresentò un innovativo manifesto architettonico del primo dopoguerra, capace di stimolare un grande dibattito, al tempo rimbalzato perfino Oltreoceano sulle pagine del New York Times. Un edificio intenzionalmente ambiguo per parola dello stesso autore. Un manifesto programmatico di ricerca sperimentale verso un nuovo linguaggio legato ai luoghi e alla storia.

Casa Baldi oggi.

Il restauro e la nuova destinazione d’uso

L’opera di Paolo Portoghesi torna a nuova vita grazie all’accurato restauro realizzato negli ultimi mesi e sponsorizzato da Casalgrande Padana, che lo offrirà alla città di Roma nella nuova veste di Creative Centre, spazio dedicato all’architettura, dove saranno ospitati forum e corsi dedicati.

Con grande sensibilità, Casalgrande Padana ha affidato il progetto di restauro e la nuova destinazione d’uso allo stesso architetto Paolo Portoghesi, che ha elaborato una serie di soluzioni coerenti con l’opera originale e allo stesso tempo sensibili a valorizzarne architettonicamente e funzionalmente la nuova destinazione d’uso.

Cos’è un Creative Centre

I Creative Centre sono luoghi aperti ai professionisti del settore, ideati da Casalgrande Padana per superare il tradizionale concetto di showroom commerciale, proponendosi come un crocevia tra ceramica e progetto, e coniugando dimensione espositiva, comunicazione, informazione tecnica e un’articolata serie di iniziative, sia nel campo dell’architettura, che del design e della produzione.

Il successo di questa formula è testimoniato dal fatto che nel giro di pochi anni al primo Creative Centre, sorto a pochi passi dal polo produttivo di Casalgrande, si è affiancato il Creative Centre di Milano Foro Buonaparte, divenuto ormai punto di riferimento per la comunità di architetti, non solo del capoluogo lombardo.

In questa logica, per soddisfare la domanda crescente che si esprime a livello nazionale, Casalgrande Padana ha deciso di realizzare un nuovo Creative Centre a Roma.

Casa Baldi: ieri

Casa Baldi è il piccolo edificio residenziale completato a Roma sull’ansa della Flaminia nel lontano 1961, su progetto di Paolo Portoghesi. Dall’inizio ai nostri giorni si è scritto moltissimo su Casa Baldi. Si può dire che quest’architettura ha continuato a essere costruita nel tempo anche attraverso il cantiere della critica.

Tra i molti tavoli che si aprirono, vale la pena ricordare l’articolo, in forma di polemica con l’autore, dedicatogli sul numero 86 del 1962 dalla rivista «L’architettura cronache e storia» diretta da Bruno Zevi, dove Casa Baldi venne definita «Un edificio problematico» e introdotta come «una piccola costruzione che ha suscitato negli ambienti architettonici romani perplessità e resistenze, perché da un lato sembra informata ai più attuali temi figurativi (specie per quanto riguarda la manipolazione dello spazio), dall’altro è carica di memorie culturali, la cui presenza appare equivoca e persino di carattere reazionario».

Casa Baldi 1961.

Molto interessante e chiarificatrice la lunga e approfondita replica di Paolo Portoghesi, chiamato sulle stesse pagine a illustrare le sue motivazioni, introdotte da uno spiazzante incipit: «Casa Baldi è un edificio ambiguo, aperto a molteplici letture; e poiché questa ambiguità è intenzionale e dovrebbe servire a provocare nell’osservatore una volontà attiva d’interpretazione, coinvolgendolo in una narrazione che lo renda partecipe e quasi co-autore dell’opera, una giustificazione analitica potrebbe essere oltre che inutile, contraddittoria».

Casa Baldi: oggi

Paolo Portoghesi ha commentato la genesi di questa singolare architettura svelando le idee e le linee guida alla base del progetto di nuova destinazione che, a poco meno di sessant’anni dai primi schizzi, lo vedono nuovamente protagonista attivo.

Paolo Portoghesi | Architetto | Casa Baldi è stata per me una magnifica esperienza d’iniziazione al cantiere

Paolo Portoghesi | Architetto.

«Gian Vittorio Baldi era uomo di cultura. Regista di una certa importanza, autore di esperimenti di “Cinema verité” e produttore dei primi film di Pasolini. Ci siamo conosciuti nell’occasione di un documentario per il quale mi aveva chiesto il commento parlato. Dovendosi costruire una casa a Roma ambiva a qualcosa di diverso e si rivolse a me dicendomi: ‘Ritieniti completamente libero. Io ho solo due problemi, quello di spendere poco (non più di 10 milioni di allora) e, oltre alle normali dotazioni, disporre di due camere da letto e di uno studio’In principio ho pensato di curare l’aspetto distributivo poi, avendo visitato il terreno, sono rimasto affascinato dalla situazione e ho cercato di dare risposta a un luogo straordinario, collocato su una collina sopraelevata di una cinquantina di metri rispetto alla via Flaminia, con una rupe di tufo di fronte al paesaggio dove si svolse la battaglia tra Costantino e Massenzio. Accanto sorge il rudere romano di un sepolcro mai studiato, ma di grande fascino che, consumato dall’acqua e dal tempo, ha perso le sue sembianze per trasformarsi in una specie di scultura. Il progetto è nato dunque da un committente speciale, un budget molto modesto, un luogo pieno di suggestioni. Allo stesso tempo non bisogna dimenticare che eravamo in un periodo storico dove l’architettura era fortemente in crisi. C’era stata in Italia, soprattutto a Roma, la parentesi dell’Architettura Organica, sostenuta da Zevi, che aveva dato risultati piuttosto deludenti. Quindi per un giovane c’era di che aprirsi a un mondo di cose diverse. E la mia principale preoccupazione era costruire un ‘edificio romano’, non scindibile dal luogo straordinario dove doveva sorgere. Posso dire che in quest’edificio c’è tutto quanto ho cercato di fare nella mia vita. Cioè recuperare la storia e le sue forme attraverso i luoghi, applicando la lente della sensibilità moderna. Per cui il progetto traeva intenzionalmente riferimento dalle ricerche del movimento De Stijl. Soprattutto da Van Doesburg, Van Eesteren, Rietveld e allo stesso tempo dalla morfologia degli edifici borrominiani che io avevo studiato con particolare attenzione. Quindi rappresenta il tentativo di legare due fenomeni completamente diversi che però, secondo me, avevano in comune l’aver messo in discussione il fondamento dell’architettura. Voleva essere sostanzialmente questo. Una proposta di architettura nuova legata ai luoghi e alla storia, ma allo stesso tempo partecipe della rivoluzione del Movimento Moderno. A distanza di anni Casa Baldi appare anticipatrice e decisamente più convincente di altre esperienze del cosiddetto Postmoderno. Non fa la parodia della storia, ma si pone nella prospettiva di costruire del nuovo. C’è dell’utopia. Infatti la mia partecipazione al Postmoderno è molto di parte. Non ho mai accettato l’idea del pastiche fatto assemblando pezzi di storia attraverso una mescolanza ridicola, diciamo quasi umoristica. Questo sicuramente era lontanissimo dalle mie intenzioni sia allora, sia quando feci la mostra della Biennale di Venezia nel 1980. Il problema per me era apprendere dal passato la capacità di costruire le città che abbiamo quasi perso. Soprattutto nella visione razionalistica, la città diventa qualcosa di inventato senza tener conto della storia, delle abitudini e delle esigenze dei cittadini. Del resto gli architetti moderni hanno sempre preferito abitare nei centri storici piuttosto che nelle case da loro costruite. Sono riusciti a fare singoli capolavori indiscussi, ma molto raramente brani di città vivibile. Questo è un dramma che conosciamo ancora adesso. Le nostre periferie sono in larga parte delle sperimentazioni non riuscite. In merito alla scala dell’edificio, Casa Baldi testimonia una grande attenzione agli aspetti costruttivi, attraverso soluzioni tutt’altro che consuete. Pensiamo ad esempio all’ibridazione tra i setti portanti e le volte in mattoniSetti realmente portanti, nel senso che il tufo a vista all’esterno è la struttura e non un rivestimento. Rispetto alle volte, bisogna invece considerare che, al tempo, in cantiere operavano ancora maestranze artigianali di grande capacità. I bravissimi ‘voltaroli’ erano in grado di realizzare strutture leggere capaci di una resistenza formidabile, impiegando mattoni messi di coltello. Lo stesso Pier Luigi Nervi (di cui sono stato allievo), aveva studiato il tema della volta alla romana dal punto di vista scientifico, arrivando alla conclusione che questa struttura si reggeva soprattutto in funzione dell’abilità con cui veniva realizzato il rinfianco della volta. Cioè gli inerti che venivano messi in opera con la calce e la pozzolana finivano per formare una mensola. Quindi la volta funzionava staticamente come due mensole ravvicinate. Casa Baldi è stata per me una magnifica esperienza d’iniziazione al cantiere. Va detto che è stata costruita da mio padre. Quindi ho potuto seguire i lavori giorno per giorno, risolvendo le enormi difficoltà di realizzare l’edificio a un costo paragonabile a quello di un appartamento di periferia. Ne è venuto fuori questo esperimento, che purtroppo non poteva proliferare perché mancavano le premesse di gusto indispensabili. Una casa così la poteva volere solo un regista, quindi una rara avis rispetto alla società romana del tempo. A distanza di anni mi fa uno strano effetto tornare ad occuparsi di questo manufatto. Innanzi tutto il rischio per un edificio del genere è che venga travolto dalle trasformazioni o addirittura distrutto. Già durante gli anni ’70- 80 il secondo proprietario intraprese degli interventi nel sotterraneo che non ho condiviso. L’ipotesi invece di trasformarlo mi è sembrata a suo modo affascinante. Se un edificio non può continuare a mantenere la sua funzione, può essere interessante cambiarne la destinazione. Direi anzi che questa è stata una delle conquiste del Postmoderno. Nel riutilizzare le preesistenze, si è compreso come un edificio non è strettamente legato alla sua origine in modo così diretto come si pensava o meglio come pensavano i funzionalisti. In realtà ci sono architetture che funzionano benissimo anche dopo averne cambiato radicalmente la destinazione d’uso. La periferia di Roma è un esempio classico di eterogeneità architettonica. Quindi l’edificio è stato pensato piuttosto come un urlo che come elemento in accordo con l’ambiente. Anche se l’interlocutore era il paesaggio libero, c’era il rifiuto di una città che cresceva in un modo così assurdo, distruggendo il contratto con la natura. La casa era giocata su un’ambivalenza. Da una parte il dialogo con il paesaggio naturale. E questo soprattutto dall’interno. Dall’altra, l’accordo di forte contrasto con l’immediato costruito che si coglie dalla strada. È li dove si addensano i problemi compositivi risolti con fitto rigore attraverso l’insegnamento del movimento De Stijl. Secondo me la casa, pur avendo sofferto molto, ha sofferto soprattutto per quanto riguarda la fruizione dall’interno, perché non c’è più il paesaggio di una volta. Mentre dal punto di vista della sua percezione dall’esterno, direi che è rimasto l’urlo di protesta che si esprime attraverso la diversità. Quindi, in un certo senso, il fatto di stare in mezzo a delle cose più o meno contemporanee, assolutamente prive di qualità architettonica, finisce col metterne in risalto l’accordo iniziale. Sono stato felice di sapere che si partiva dal rispetto del manufatto. Certo non è facile trasformare una casa in uno showroom, anche se secondo me tra le possibili soluzioni questa è sicuramente una delle più interessanti e positive. In linea generale bisogna cercare di difendere al massimo alcune caratteristiche dell’edificio, quindi per esempio la spazialità. Per il resto si può invece agire con più libertà, possibilmente rievocando alcuni segni, alcuni metodi che sono stati alla base della progettazione. E questo è il sistema che ho adottato. Naturalmente c’è sempre un margine di rischio, ma io ho sempre amato il rischio, e quella casa è un esempio classico del rischio. Per lo sviluppo del progetto di ridestinazione ho impostato due ipotesiUna presupponeva che il salone, la parte spazialmente più interessante della casa, venisse conservato così com’era. L’altra, per rispondere alla necessità del committente di avere più superficie possibile per l’esposizione, prevedeva di rivestire le pareti con le lastre ceramiche prodotte dalla società. Il tutto adottando un criterio capace di valorizzarne la spazialità e al tempo stesso assimilare elementi compositivi che prima non c’erano, quali il colore e le superfici lucide della ceramica, molto diverse dall’intonaco. D’altra parte si parla di show room, quindi di esposizione di oggetti. Mettere questi oggetti in mezzo alle stanze avrebbe significato negare la fluidità dello spazio, che è l’elemento fondamentale della casa. Quindi, mentre nei piccoli ambienti c’è la massima libertà di disporre le cose, negli ambienti protagonisti, quello al primo piano soprattutto, il desiderio è di non alterare la composizione spaziale per conservarne la fluidità. Al piano terreno invece, il discorso è un po’ diverso. L’idea è di accostare le lastre ceramiche  dell’esposizione, in modo che vengano lambite da luce naturale indiretta. La stessa logica che a suo tempo ha definito il rapporto tra le diverse pareti dell’involucro della casa, le quali si staccano una dall’altra creando delle fenditure vetrate. Infatti, le finestre di Casa Baldi non sono buchi sul muro, ma rappresentano il risultato di un processo di avvicinamento, che nello stesso tempo evita ogni contatto e confusione. Una vicinanza intesa come desiderio. Tutto questo ho cercato di riprodurlo al piano terreno, ipotizzando di collocare le grandi lastre ceramiche a formare una curva, interrotta ove serve dalla luce radente proveniente dalle vetrate. In fondo una scoperta del barocco. Un palinsesto che lascia immaginare anche un particolare coinvolgimento del visitatore. Questa soluzione potrebbe dar luogo a un risultato molto interessante. Le persone potranno scegliere la materia in funzione della sua tessitura, del suo colore, della vibrazione delle superfici, ma nello stesso tempo avranno anche modo di vederla in azione nei confronti dello spazio. Un scelta coraggiosa che però, se, come spero, sarà possibile controllare negli accostamenti dei materiali, penso possa diventare interessante. Poi naturalmente la casa non muore li. Può darsi che in seguito si trovino altre destinazioni. Ecco perché l’importante è mantenerne vivo il valore fondamentaleCioè il carattere di protesta contro l’architettura dell’indifferenza. L’architettura della quantità o anche semplicemente del calcolo. Aspetto che secondo me può essere salvaguardato anche attraverso questo allestimento, il quale non secondariamente offrirà la possibilità ai moltissimi architetti che l’hanno sentita soltanto nominare di visitarla liberamente e conoscerla dal vivo».

Casa Baldi | Progetto di Paolo Portoghesi.

 

Casa Baldi | Progetto di Paolo Portoghesi.
Casa Baldi | Particolari costruttivi del 1961.

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