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Casa modello in mattoni a Teheran

Il progetto della parete tridimensionale frangisole in mattoni trae spunto dalla tradizione costruttiva araba. Il metodo costruttivo consente realizzazioni a basso costo, eseguite da maestranze non specializzate.

Alireza Mashhadimirza è un progettista iraniano, risultato finalista al Festival mondiale dell’architettura 2012, categoria residenze, con la sua «casa modello in mattoni», situata nel quartiere di Jeyhoom, disagiato nucleo della capitale Teheran. Anche la rivista Memar aveva definito l’edificio una delle migliori realizzazioni architettoniche di quell’anno. [1] [2]

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Edificio nel quartiere di Jeyhoom a Teheran, facciata su strada.
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Dettaglio del tamponamento esterno, tessitura forata, fioriera e una fase di cantiere.

Per la sua costruzione, l’architetto ha utilizzato un metodo assolutamente originale che gli ha permesso di compiere l’impresa con la bassa disponibilità finanziaria a disposizione, nel rispetto dei requisiti antisismici, perseguendo un buon risparmio con riferimento ai consumi energetici e garantendo livelli prestazionali acustici e di sicurezza antincendio adeguati. Per comprendere inoltre quanto la sua creatività sia stata fondamentale per decretare il successo di quest’opera, si consideri la limitatezza dello spazio che aveva a disposizione e l’inesperienza della forza lavoro impiegata.

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Pannellatura frangisole davanti ai serramenti e diverse sporgenze dei mattoni.

L’idea ha preso spunto dalla tradizione costruttiva locale e ha portato alla creazione di una parete tridimensionale capace di attenuare il sole abbagliante, perché costituita da una reinterpretazione della «mashrabiya», il termine arabo che identifica quegli elementi architettonici a graticcio, di origine medioevale, utilizzati sulle facciate urbane per produrre semi-trasparenze.

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Sequenza costruttiva per la posa dei mattoni.

Il progetto dell’involucro verticale

Alireza Mashhadimirza fonda il proprio studio nel 2000. Da allora ha eseguito numerosi progetti, per la maggior parte residenziali. L’interesse di Mashhadimirza si concentra sulla qualità espressiva dei materiali; cerca di scoprire nuovi modi di utilizzare materiali antichi e allo stesso tempo di esplorare le potenzialità estetiche di materiali nuovi. Il tema ricorrente nei progetti dei suoi ultimi anni riguarda l’impiego del mattone cotto o crudo. L’uso di questo materiale in Iran risale ad almeno 5000 anni fa. Per gli iraniani il mattone ha contemporaneamente valori culturali e ambientali. Edifici in mattoni trasmettono senso di familiarità, di sicurezza e di compatibilità con il paesaggio. Nei progetti di Mashhadimirza, il mattone viene usato in modo creativo, ma effettivamente nel mondo esistono oggi numerosi sistemi che combinano il concetto del mattone tradizionale, come elemento base della muratura, con le nuove tecnologie.
Egli cerca di utilizzare il materiale antico, adoperando sistemi rudimentali low-tech, per ottenere effetti assolutamente nuovi. Le ragioni sono appunto individuabili principalmente nel contenimento dei costi e nella valorizzazione del lavoro manuale, poiché in Iran la mano d’opera costa poco, mentre i materiali e le tecnologie avanzate talvolta hanno costi proibitivi. In occidente, al contrario, è la mano d’opera ad incidere in maniera rilevante sul costo totale del fabbricato e si può affermare che ormai difficilmente i progettisti utilizzano tecnologie totalmente personalizzate, soprattutto se si tratta di interventi dove vi è attenzione al contenimento della spesa.
La maggior parte dei palazzi nuovi in Iran sono case di cortina.

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Diverse sporgenze dei mattoni e incastro e allineamento dei mattoni.
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Effetto della tessitura.

I regolamenti comunali e le leggi del mercato impongono agli architetti di riempire al massimo la volumetria a loro disposizione, sul lotto edificabile e il risultato è sempre una semplice forma quadrangolare, come una scatola da scarpe messa in verticale.

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Prospetto su strada.

Nei lotti di terreno più piccoli, la pianta della casa è determinata dalle dimensioni non riducibili degli spazi di parcheggio, della scala, dell’ascensore, dei pozzi d’illuminazione, degli impianti tecnici.

Così la creatività dell’architetto si concentra sulle facciate e sul loro rapporto morfologico con il resto del palazzo. La facciata è comunque l’elemento che mette in comunicazione l’interno delle case con il mondo esterno.

Inoltre gli iraniani sono particolarmente sensibili a tutelare l’intimità della loro vita privata e, in questo senso, l’architettura moderna non aiuta l’uomo, tanto da ricorrere ad una molti-tudine di tendaggi, consapevoli che la tenda è comunque un accessorio e non costituisce una soluzione al problema.
Così Mashhadimirza, nei suoi progetti, trasforma la facciata in un elemento architettonico che cerca di risolvere i problemi di intimità e di identità delle case: l’illuminazione, l’estetica, la privacy, la riconoscibilità stilistica, l’ambiente e la natura in una soluzione unica. Per questo essi hanno come caratteristica comune l’utilizzo dei mattoni cotti e crudi, disposti secondo geometrie insolite, in combinazione con altri materiali, quali tondini di acciaio e listelli di legno.

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Disegni architettonici: piante e sezione e abaco esplicativo per la posa dei mattoni (metodo 23).
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Schema per la posa a secco mediante infilaggio dei mattoni e la stratificazione di facciata.

Le facciate sono realizzate con elementi messi in opera da manodopera anche inesperta, data la scarsità e l’alto costo di quella specializzata, avvalendosi, per ovviare a questo tipo di problema, dell’ispirazione suscitata dall’osservazione delle tecniche tradizionali impiegate nelle fabbriche di tappeti [3].
Già dall’XI secolo in Iran, l’arte del tappeto, che è tradizione di fama mondiale, si è trasformata in produzione industriale, consolidando di conseguenza il rapporto tra essa e la storia dell’architettura iraniana.
L’incremento della produzione ha rivoluzionato il metodo tradizionale di tessitura.

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Dettaglio costruttivo.

Prima occorrevano sistemi complessi per creare tappeti dalle più svariate forme geometriche e colorazioni molto ricche, con operai semi esperti. Attualmente, con la nuova metodologia adottata, un maestro tessitore esegue riga per riga, i nodi, i colori e le altre caratteristiche indicate, leggendo il disegno fatto dall’artista come se fosse uno spartito musicale; allo stesso modo gli operai, disposti in fila, mettono in pratica le indicazioni del supervisore che, come un direttore di orchestra, controlla il risultato finale dell’opera.

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Edificio nel quartiere di Darband a Teheran. Disposizione e dimensione degli elementi.
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Render verso sud.

L’esecuzione dell’involucro verticale

Mashhadimirza, partendo dal presupposto che attualmente in Iran l’architettura è ritenuta una fantasia e un lusso, ritiene che essa sia comunque una disciplina che determina la realtà fisica e funzionale di un territorio e ne considera l’importante ruolo sociale, tanto che il progetto ha costituito per lui una sfida e non una fonte di guadagno. In più, ha potuto dimostrare che si può «fare» architettura anche in aree economicamente e culturalmente povere e con una spesa contenuta.

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Unione dei mattoni e rotazione dei mattoni.

La parcella professionale che il committente gli ha corrisposto era così bassa che egli non ho potuto pagare un assistente alla costruzione, ma nello stesso tempo non ha potuto lasciare soli gli operai a leggere e a decifrare disegni esecutivi complessi.

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Edificio del quartiere Farmaniye di Teheran. Render della facciata.

È giunto pertanto alla decisione di creare un metodo che non avesse bisogno di alcuna fase di interpretazione dei disegni e lo ha determinato prestando attenzione ai dettagli costruttivi e progettando i particolari complessi in un modo molto semplice. Il costo di costruzione del progetto di Jeyhoom (compresa la struttura ed i servizi tecnici) alla fine è stato di soli 180 $/m2. Per l’istruzione degli artigiani incaricati dei lavori, egli ha predisposto una tabella, un abaco simile a quello utilizzato per la lavorazione dei tappeti, e vi ha indicato tutte le informazioni e i compiti di ciascun operatore.
La procedura, da impiegare per la messa in opera di facciate complesse di mattoni, pur con operai inesperti, è stata denominata «metodo 23», perché tutto è determinato da quel numero, la quantità di righe, i pezzi, le scatole e le colonne di sostegno.
Gli operai hanno ricevuto 23 scatole di mattoni forati e preparati opportunamente, secondo una sequenza predeterminata; ogni scatola conteneva i mattoni numerati e tagliati in misura e perforati. La metodologia è stata trasmessa con istruzioni fornite su fogli A4, attraverso un grafico indicante la numerazione degli elementi; nella prima delle caselle numerate da 1 a 23 c’erano 23 mattoni e nella casella 23 c’era solo un mattone: il 23-esimo.

Per ognuno dei quattro piani del palazzo sono state predisposte 23 caselle. Seguendo tali istruzioni, gli operai hanno aperto la casella n. 1 disponendo i mattoni nel riquadro, a partire dal numero 1 e terminando con il numero 23. La stessa operazione è proseguita per tutte le scatole e quindi per tutti i piani.

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Render di dettaglio.

In questo modo lavorare è stato come mettere insieme i pezzi di un semplice puzzle, dove ogni pezzo ha un codice, che ne identifica la posizione e l’orientamento ed è facilmente collocabile al posto giusto; si è ridotta la necessità della supervisione e l’installazione è stata fatta in breve tempo e da operai non specializzati con un ridotto costo di esecuzione. Ovviamente è stato necessario spiegare il metodo agli operai, ma essi, appena comprese le modalità di posa in opera, hanno compiuto il lavoro con estrema facilità.
La forma della facciata non deriva quindi da disegni esecutivi, indecifrabili per gli operai analfabeti, bensì dall’ordine prestabilito del materiale che va installato in maniera sequenziale, esattamente come i nodi dei tappeti persiani.

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Edificio a Orûmîyeh (Urmia). Modellino di studio.

Alcuni casi di studio

Di seguito vengono descritte le specificità delle facciate di alcuni altri palazzi residenziali progettati e costruiti da Alireza Mashhadimirza.

Darband
Area: 1.152 m2
Superficie costruita: 7.000 m2
Si tratta di una costruzione residenziale che si trova nel quartiere Darband a nord di Teheran. Il palazzo è situato sul pendio della montagna Alborz: il lotto sorge su una quota più alta rispetto ai terreni adiacenti. La superficie totale delle facciate è di 3000 m2. Il palazzo ospita 30 appartamenti.
Dice Mashhadimirza: «Abbiamo deciso di dividere il volume dell’edificio in parti più piccole. Il risultato ricorda un frutto tagliato a spicchi, nel quale il colore della buccia contrasta con quello della polpa».
Ogni appartamento è un volume distinto, così gli abitanti possono riconoscere la propria abitazione all’interno dell’agglomerato degli appartamenti. Lo spazio vuoto che divide gli appartamenti è destinato a terrazzi. I palazzi vicini sono costruzioni in mattoni, risalenti a 6070 anni fa e la facciata del palazzo è in completa sintonia con l’ambiente circostante. L’interno dei muri perimetrali è rivestito da piastrelle in ceramica o pannellatura in legno.

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Render rappresentante la “mobilità” dei mattoni di facciata.

Farmanieh
Area: 250 m2
Superficie costruita: 1.129 m2
Un’altra costruzione residenziale che si trova a Teheran, nel quartiere Farmanieh. La casa ha due facciate esposte la prima a ovest e la seconda a est. La facciata ovest, che dà sulla strada, è esposta al sole caldo e penetrante del pomeriggio. Un muro traforato di mattoni mitiga la presenza del sole e la rende gradevole anche nei pomeriggi d’estate. La facciata est dà sul cortile e perciò è meno problematica, sia per la luce, sia per la privacy. Qui le coppie di mattoni bicolori, che girano uno rispetto all’altro, controllano la luce e la vista a seconda della necessità. Le grate della facciata est sono più aperte verso l’esterno.

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Casa dei 40 nodi, a Teheran. Piante e sezione.

Orûmîyeh
Area: 388 m2
Superficie costruita: 2.272 m2
Nel caso specifico di questa costruzione a Orûmîyeh (Urmia, nell’Azarbaijan iraniano occidentale), le grate formate dalla disposizione dei mattoni o da elementi in legno, che seguono uno schema geometrico, permettono alle persone dentro gli edifici di vedere liberamente l’esterno. La disposizione degli elementi costituenti è casuale ed è determinata dagli operai stessi durante la messa in opera dei mattoni. Le piante e i fiori sono collocati nello spazio che separa le finestre dalle strisce di mattoni che sporgono dalla facciata. Le grate si regolano per mezzo di carrucole e funi collegate a contrappesi appositamente progettati.

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Iconografia istruttiva delle fasi di montaggio e riferimenti alle metodologie artigianali per la tessitura dei tappeti persiani.

House of 40 knots
Area: 245 m2
Superficie costruita: 1370 m2
Un altro progetto che ha preso spunto dall’abilità persiana della tessitura dei tappeti è la casa detta dei 40 nodi, costruita da Alireza Mashhadimirza insieme al collega Madjdabadi Habibeh, finalista al Brick Award 2014 e terzo classificato al Memar Award 2014. In essa, due entità si fondono in una facciata in stile contemporaneo che si presenta come un insieme intrecciato di elementi. Anche qui il riferimento è alle fabbriche tessili, dove due persone lavorano insieme per fare un tappeto; uno legge le istruzioni, mentre un altro si siede dietro il telaio e esegue gli intrecci. Ciò che vale per la tessitura può valere anche per l’architettura, «chi legge le istruzioni (che di solito sono disegnate su fogli a quadretti) non significa che necessariamente debba saper lavorare a maglia; chi legge, di solito si esprime ritmicamente, come se cantasse: due rossi, un giallo, due blu …» Anche la facciata di questo edificio è fatta artigianalmente con un sistema analogo. Un artigiano legge e gli altri messi sul ponteggio infilano i mattoni, opportunamente forati, in un telaio composto da barre verticali tonde e profilati di sostegno a «L». Con questa tecnica, non sono necessari disegni esecutivi e la sequenza costruttiva può essere compiuta con una serie di semplici accorgimenti in opera.

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Viste dall’interno.

Gli operai possono posare i laterizi riga per riga, senza avere cognizione di tutto il disegno di facciata. Pur se Mashhadimirza e Madjdabadi hanno volutamente evitato di pensare separatamente ai diversi componenti, il risultato è stato comunque concepito nell’insieme e l’aspetto compositivo si definisce attraverso una serie di regole differenti che permettono di rendere visibili gli intrecci da entrambe le parti: mentre all’esterno la texture appare appunto integrata in un disegno di insieme, dall’interno invece essa si mostra come parapetto finestra e parte del rivestimento murario. La semplicità di tale sistema modulare e geometrico è inoltre utilizzata a varie scale e in varie situazioni: all’esterno, nelle sporgenze superficiali; in facciata per la formazione delle fioriere; all’interno per la formazione di scaffalature d’arredo. L’opera è stata selezionata per l’ultima edizione dell’Aga Khan Award For Architecture [4].

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Vista esterna d’insieme.
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Schema costruttivo e di posa dei mattoni e differenze di configurazione e fasi di posa.

Riferimenti Bibliografici
[1] Azita Izadi, Projects, Memar Magazine 72 (2012).
[2] Kamran Afshar Naderi, Architectural Award Criticism and Architectural Criticism Award: Be the First or the Best/ Alireza Mashhadimirza, Memar Magazine 90 (2015).
CIL 169
[3] Pamela Karimi, Domesticity and Consumer Culture in Iran. Interior revolutions of the modern era, Routledge (Londra), 2013.
[4] Mohsen Mostafavi, Architecture is life. Aga Khan Award for Architecture 2013 , Lars Müller Publishers, Zurigo, 2013.

Roberto Gamba Architetto, libero professionista

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