«L’ultima legge Finanziaria ha stanziato 250 milioni di euro per i prossimi 4 anni, da investire in un piano d’intervento sulla vulnerabilità sismica degli edifici pubblici».
Le parole del ministro della Protezione Civile Nello Musumeci – con un videomessaggio durante l’incontro “Catania: sicurezza e futuro” – rappresentano una prima risposta alle attese degli operatori nei confronti della politica, relativamente a un tema sempre attuale nel nostro territorio: quello del rischio sismico e dei suoi effetti.
Qual è il quadro nella città di Catania e come intervenire? Questa la domanda che ha fatto da filo conduttore dell’evento – tenutosi al dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università etnea – promosso da Ance Catania, UniCt (Dicar), Comune di Catania, Ingegneri, Geometri, Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori etnei, Ingegneria Sismica Italiana, Ingv e Protezione Civile. Un tema che stimola le riflessioni di tutti gli addetti ai lavori, accomunati dall’intento di sensibilizzare cittadini e istituzioni.
Proprio queste ultime devono farsi carico della “sicurezza” in senso generale, come evidenziato dal vicesindaco di Catania Paolo La Greca, che rilancia l’iniziativa di «un tavolo stabile per favorire il confronto con enti e ordini professionali, riprendendo il modello di “Catania Sicura”, promosso anni fa da Ance Catania e ben visto a livello nazionale. Un punto di partenza per idee e proposte che diano vita a progetti che, come auspicato dal prefetto Maria Carmela Librizzi, «si trasformino in qualcosa di concreto, soprattutto in un territorio come il nostro, in cui bisogna far fronte a diversi tipi di eventi calamitosi, da quelli idrogeologici alle alte temperature estive, ai terremoti».
Questi ultimi al centro del confronto, «per proporre studi e ricerche sull’argomento, sperando in un impegno sempre maggiore da parte delle istituzioni anche attraverso incentivi fiscali e soluzioni finanziarie per gli interventi di adeguamento», commenta il presidente Ance Catania Rosario Fresta. Un pensiero comune con gli Ingegneri, che puntano l’accento sulla «consapevolezza di vivere in una terra fragile e la necessità di invertire la tendenza a ricostruire post evento, piuttosto che prevenire – spiega il presidente di categoria Mauro Scaccianoce – in quest’ottica, bisogna pensare a misure economiche strutturali per almeno 20-30 anni, con risorse certe che garantiscano il salto di classe dei nostri edifici, oltre a misure di premialità volumetriche per la demolizione e ricostruzione degli edifici privi di pregio storico».
In termini di edilizia e urbanistica, figura chiave sono gli Architetti: «Occorre individuare strategie efficaci per farci trovare pronti ad un evento che è atteso nel nostro territorio – interviene il presidente Oappc CT Sebastian Carlo Greco – in tal senso, leggere le criticità della nostra città consentirebbe di attuare politiche di rigenerazione per rinnovare il patrimonio edilizio». Non solo professionisti, imprese ed istituzioni, ma anche accademici: «Formare alla prevenzione i tecnici del presente e del futuro, utilizzando al meglio le nuove tecnologie, dev’essere una delle nostre missioni – evidenzia il rettore Francesco Priolo – specie in un territorio come il nostro, frequentemente sottoposto a eventi sismici, molti dei quali restano nella memoria di ciascuno di noi. Oltre a fare opportuna memoria di quanto avvenne più di trecento anni fa, con il catastrofico terremoto che distrusse la Sicilia orientale, studiosi, ricercatori, architetti, ingegneri, geologi, geometri, esperti di protezione civile e di vulcanologia, costruttori, devono saper lavorare insieme per garantire a questa terra sicurezza e futuro».
A fargli eco il direttore del Dicar Matteo Ignaccolo: «Siamo contenti dell’ampia partecipazione all’incontro, un dato che conferma la proficua interazione tra dipartimento, professionisti e imprese, ma anche la sensibilità verso un tema quale la necessità e l’urgenza di mettere in sicurezza persone, infrastrutture, beni culturali, dai vari rischi ai quali la nostra regione è soggetta. Il Dicar in quest’ottica è protagonista oltre che con dottorati e progetti di ricerca, con la futura proposta didattica riguardante corsi di studio incentrati sulla transizione ecologica e il monitoraggio e il management del patrimonio costruito».
Al tavolo anche ISI, Ingegneria Sismica Italiana, il cui obiettivo «è dare visibilità ad azioni che facciano da volano nel rendere il territorio più resiliente – spiega il vicepresidente Luca Zordan – tra queste la proposta di un’assicurazione obbligatoria dell’immobile. Non un’ulteriore tassazione verso i cittadini, ma uno stimolo a verificare l’effettiva affidabilità delle costruzioni e all’intervento in caso di carenze strutturali. Si innescherebbe così un sistema di prevenzione che gioverebbe a tutti». Tra gli altri elementi, a tenere banco, come sottolineato dal direttore dell’osservatorio etneo Ingv Stefano Branca, il rapporto con il territorio e con l’Etna,
che caratterizza il suolo su cui si è sviluppata la città di Catania e i paesi limitrofi.
Aspetto analizzato minuziosamente dal presidente dei Geologi di Sicilia Mauro Corrao, con un focus sulla diversa conformazione geologica del comprensorio etneo, la ramificazione delle falde acquifere e la risposta del terreno e degli edifici in caso di evento sismico. Quest’ultimo argomento trova stretta correlazione con il tema discusso dal dirigente di ricerca Ingv Domenico Patanè, che parlando dell’Osservatorio Sismico Urbano su Catania, ha evidenziato l’importanza delle reti di monitoraggio durante i movimenti tellurici, in grado di fornire informazioni sull’integrità del costruito e delle infrastrutture prima e dopo l’attività sismica. Un progetto che permetterebbe di pianificare mirate politiche di resilienza, riducendo rischi, tempi di intervento e di ripresa. Temi strettamente legati alla politica e alle problematiche riscontrate nel post-sisma di Santo Stefano del 2018 sono stai oggetto dell’intervento del commissario straordinario per la ricostruzione Salvatore Scalia, che ha messo in luce le difficoltà burocratiche e legislative nell’operare in tempi brevi, oltre a una presente difformità tra alcune leggi adottate per le regioni settentrionali, rispetto alla Sicilia. A completare un quadro non del tutto incoraggiante, il professore di Scienza delle Costruzioni del Dicar Ivo Caliò. Molti edifici, realizzati prima del 1981, anno in cui la Sicilia orientale è stata classificata come zona sismica – sono incapaci di deformazioni senza subire il crollo. L’esigenza di intervenire in modo efficace su ampie porzioni del tessuto urbano, anche attraverso la demolizione, è quanto ha sottolineato il Dirigente generale della Protezione Civile regionale, Salvo Cocina – anche con l’assunzione di scelte radicali.
Nel richiamare il cambio di paradigma del costruttore da mero esecutore a promotore di nuove politiche e strumenti complessi d’intervento per la tutela del territorio e delle comunità insediate, il vicepresidente Ance Catania – Salvatore Messina – ha rimarcato l’esigenza di rendere strutturali gli interventi incentivanti con particolare attenzione al Sismabonus, caratterizzato da un obiettivo ambizioso, ovvero passare dal singolo intervento dell’unità abitativa alla scala di edificio. Così come il fascicolo del fabbricato, illustrato dal segretario dell’Ordine degli Ingegneri etnei Alfio Torrisi, strumento utile per monitorare lo stato di salute degli edifici. Ulteriori spunti dalla tavola rotonda sono arrivati dagli Architetti e dal consigliere dell’Ordine Giovanni Longhitano. Per la categoria, risulta di grande rilevanza la realizzazione di un “Master Plan” della sicurezza sismica e idrogeologica – con una programmazione integrata a diversi livelli sovracomunale – che dia slancio a una nuova architettura della città e lo sviluppo di infrastrutture blu e verdi, per contenere i cambiamenti climatici. A concludere l’incontro il presidente dei Geometri di Catania Agatino Spoto, soffermandosi sul reale valore dell’immobile, che deve avere riscontro anche in relazione agli standard di sicurezza.