Punti di Vista | Geom. Giuseppe Cardone, socio Properties' Management srl

Categorie professionali: sì all’unità, no ai compartimenti stagni

Le competenze non sono compartimenti stagni, le professionalità devono essere concepite come un’unica equipe progettuale e realizzativa. Come dare altrimenti risposta alle richieste di miglioramento della qualità dell’ambiente, della qualità delle abitazioni, del contesto urbano e della sua attrattività rispetto a investitori e imprese.
Geom. Giuseppe Cardone, socio Properties’ Management srl, Monza.

Il punto di vista del prof. Gianfranco Dioguardi su questo sito, e in precedenza alcuni articoli sui contesti urbanistici delle città italiane pubblicati sull’edizione cartacea di Imprese Edili, hanno già trattato le trasformazioni rilevanti che negli ultimi 10-15 anni hanno interessato le città sulla scia dei mutamenti economici e sociali.
Questi due fattori hanno infatti introdotto un vasto elenco di problematiche da risolvere (categorie di bisogni, necessità d’informatizzazione, erogazione di servizi, mobilità di merci e persone…).

Questi però sono tempi caratterizzati da finanze locali in forte decrescita e il ruolo dell’ente locale, da dispensatore di servizi, ha subito una mutazione fondamentale ed epocale. L’ente locale infatti è divenuto lui stesso bisognoso di uno sviluppo economico che lo sorregga. Un elemento di sostegno in questo senso è la messa a disposizione da parte dello stesso ente pubblico di aree per l’insediamento delle attività industriali.
Questo perché è ormai prioritario sostenere la domanda di sviluppo economico produttivo interno attraendo investimenti che possono rendere più facile la crescita dei settori più dinamici e innovativi dell’economia urbana creando soprattutto nuove possibilità di lavoro.
La giornata della collera indetta il 13 febbraio dalle associazioni operanti nel comparto delle costruzioni ha espresso chiaramente la necessità improcrastinabile di creare occupazione.
Sono molti i fronti che possono essere aperti e sui quali si possono sviluppare azioni propositive: la comunicazione digitale (la città cablata, come l’ha definita il professor Dioguardi), il potenziamento delle reti infrastrutturali (ferrovie e strade: siamo in forte ritardo rispetto agli altri paesi europei), l’adeguamento e la modernizzazione delle reti idriche- fognanti, la messa in sicurezza degli edifici.
Per arrivare ad ottenere queste positività è comunque necessario che sia implementata la domanda formativa dei lavoratori. Necessitano infatti competenze sempre più aggiornate, passatemi il termine «sempre più moderne» per affrontare un mercato del lavoro e delle costruzioni in rapida evoluzione, con l’esigenza di apprendere nuovi metodi e sistemi costruttivi.
Le associazioni di categoria, gli Ordini e i Collegi professionali stanno già operando in questo senso, ma rimane un tabù da sfatare. Le competenze non sono compartimenti stagni, le professionalità devono essere concepite come un’unica equipe progettuale e realizzativa. Come dare altrimenti risposta alle richieste di miglioramento della qualità dell’ambiente, della qualità delle abitazioni, del contesto urbano e della sua attrattività rispetto a investitori e imprese.
Il lavoro di equipe senza condizionamenti e divisioni che potremmo definire «di casta», di censo, di primogenitura progettuale, può essere già una prima risposta ai problemi legati alla bassa qualità del costruito, alla manutenzione carente per non dire assente di quartieri e aree industriali dismesse.
Detto della necessità inderogabile d’integrare le professionalità nel comparto delle costruzioni, mi preme esprimere dei dubbi, per esempio, sulla scelta effettuata dai progettisti del Cnappc di uscire dal Cup (Comitato unitario delle professioni) considerato lontano dalle realtà dei professionisti e dei cittadini.
Il Cnappc sostiene l’incapacità degli organismi interprofessionali di farsi capaci di un coordinamento per guidare il cambiamento in atto nel mercato dei servizi professionali affrontando il momento di crisi che sta vivendo l’Italia con proposte innovative e integrate, che vadano oltre il tavolo governativo. A questo punto mi chiedo come può affermarsi una volontà di partecipazione e scambio professionale quando un Consiglio di professionisti si estranea da un Comitato unitario sostenendo che la realtà dei nostri mestieri è cambiata… soprattutto nella richiesta di servizi integrati, di uso di tecnologie avanzate… di maggiore responsabilità etica. I principi di inter-disciplinarietà e di rete, formalizzati solo in parte nelle società tra professionisti e società multiprofessionali, sono la risposta alle esigenze del presente e del futuro, sulla quale ognuno dei nostri Consigli nazionali ha compiti importanti per promuovere un cambiamento profondo nella realtà organizzativa e di lavoro dei nostri iscritti, nella stragrande maggioranza ancora legata a una tradizione micro-professionale e solitaria.
Questa profonda trasformazione, che è innanzitutto culturale, deve comunque salvaguardare l’etica professionale e la peculiarità dei nostri mestieri, ma avrebbe dovuto, già da tempo, riflettersi negli approcci e nelle strategie degli organismi interprofessionali facendone dei fondamentali nodi di un coordinamento capace di guidare il cambiamento.
La realtà del mondo che ci circonda è fatta di integrazione delle conoscenze, reti di lavoro e cooperazione e a distanza: i comitati interprofessionali, invece, sono tavoli formali d’incontro, tesi a rappresentare in sede politica una mera somma di numeri delle cosiddetta categoria delle professioni liberali, in funzione di proposta o resistenza a norme che regolano il mercato.
Questa grande distanza tra la realtà e i coordinamenti tra le professioni non fa che approfondire il solco che divide i professionisti dai cittadini ed emarginare i professionisti italiani dal mercato. Non a caso, negli ultimi mesi, si è evidenziata l’incapacità da parte dell’insieme delle professioni, peraltro divise in due diversi coordinamenti, di affrontare con proposte davvero innovative e integrate la crisi che colpisce l’Italia; di mettere in mora chi ha responsabilità di governo con progetti strutturati, realizzabili e sostenibili; di collegarsi stabilmente con tutti i soggetti economici e sociali del Paese; di organizzare servizi integrati di sostegno ai cittadini e ai professionisti.
La volontà di alcuni di noi di perseguire questa via è rimasta isolata. I coordinamenti si sono accontentati, più o meno bene, di trattare la Riforma delle Professioni sui tavoli governativi, con posizioni spesso diverse, in una difficile opera di equilibrismo: hanno in sostanza svolto un’opera di mediazione tutta interna, avulsa dalla realtà, salvo poi rappresentare, anche arbitrariamente, posizioni opposte a quelle di parte degli associati, per esempio le nostre.
Mi sembra che la scelta del Cnappc vada proprio in senso contrario alla volontà di affrontare la situazione, come da loro scritto «con proposte innovative ed integrate». In questo modo, agendo divisi verrebbero meno le condizioni proposte dalle associazioni dei professionisti dell’area tecnica e del Comitato unitario delle professioni che sono sintetizzate in un contributo per favorire il lavoro nelle aziende, riqualificare il patrimonio costruito abbandonato, provvedere alla bonifica delle abitazioni da materiali edilizi nocivi, provvedere all’attuazione del risparmio energetico, proposte fattibili, sostenibili che possono essere realizzate, fra l’altro, con interventi di defiscalizzazione.
Geom. Giuseppe Cardone, socio Properties’ Management srl

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