Punti di Vista | Roberto Tretti, Ala Assoarchitetti

Costruire è influire

«… Quanto raccontato per affermare che ordine e disordine del costruito sono portatori di valori che travalicano l’intrinseca dimensione urbanistica e architettonica, agiscono sub liminalmente sulle nostre percezioni ed emozioni, accolgono o respingono i nostri bisogni e il desiderio di conoscenza. L’architettura e l’ambiente influenzano direttamente il nostro status psicologico, alterano percettibilmente l’umore, l’empatia e la capacità di essere felici».
Roberto Tretti | Ala Assoarchitetti.

«(…) Progettare e costruire, ci piaccia o no, presuppongono una responsabilità che va oltre l’offrire soluzioni pratiche, sono attività in grado di modificare, ben oltre l’intuibile, il nostro benessere e il nostro (discutibile) modello di sviluppo».

Venezia, tre mesi fa, sotto un improvviso violento acquazzone. Trovo rifugio in un sottoportico, uno dei tanti disseminati in quella specialissima città. Al mio fianco le vetrine di un famoso fast food, con accese le luci al neon nelle prime ombre della sera. Il locale manifesta il solito standard della catena multinazionale presente indifferenziatamente nei cinque continenti, potrebbe essere Zurigo, come Shanghai o Cincinnati, nulla lo àncora a una relazione con l’incanto di Venezia. All’interno una trentina di adolescenti, credo nord europei, in modalità gita scolastica.

Attira la mia attenzione il loro aspetto, alti, magri e per lo più biondi, ma soprattutto il fatto che ad onta del mio cappotto sono tutti in maniche corte e in preda a un’eccitazione collettiva frutto del verosimile incrocio tra cocacola e birre varie.

L’entusiasmo poi di trovarsi così a sud e di aver sostituito la neve glaciale con una banale pioggerella, presumibilmente amplifica la propensione a trasformare il locale in un campo di battaglia. Lo dimostrano esplodendo sacchetti di patatine e portandosi sulla schiena, l’un contro l’altro armati di cannucce e pop corn.

I canti da curva sud confondono il personale, loro coetaneo, che non sa se condannarne il comportamento o rispettarlo come promessa di appetiti esuberanti quanto il relativo conto finale.

Spinto dalla gazzarra degli svedesi (… norvegesi, finlandesi ?) a concludere in fretta la mia permanenza al riparo, esco sul vicino campiello, tuttavia ancora sotto il flagello di una pioggia incessante.

Fatti trenta metri sono fradicio, ma ho posto una discreta distanza tra me e quella giovanile baraonda mentre una raffica di vento di buriana mi costringe a entrare distrattamente nel primo ricovero utile, un atrio imponente circondato da forme bizantine, marmi e colonne, in compagnia di altri rifugiati come me.

Spinto dal diluvio e dalla curiosità oltrepasso la grande porta, infilandomi nel buio come la notte, dove un centinaio di candele proiettano la loro tremula luce su mosaici e incisioni marmoree. Quasi senza rendermene conto sono entrato nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Rialto. C’è profumo d’incenso e un silenzio di pietra.

Dal soffitto della navata centrale pende un crocifisso alto quattro metri e sopra l’altare maggiore un Cristo assiso in cielo, circondato da angeli, con i piedi posati su alcune nuvole e le mani che stringono un calice.

Il baccano del fast food ha ceduto il passo al rispetto e al silenzio. I bambini restano aggrappati ai genitori e gruppetti di ragazzi si guardano intorno con aria attonita.

Istintivamente i visitatori sussurrano, sprofondati in un sussiego collettivo dal quale non osano riemergere.

La chiassosità contemporanea era stata sostituita da un tipo particolare d’intimità, sembrava prendere forma ciò che ancora vi è di serio nella natura umana: pensieri sui limiti e sull’infinito, l’impotenza e il sublime.

La pietra cesellata dava conforto a tutto ciò che fuori era compromesso e indegno e pareva in grado di accendere il desiderio di rendersi meritevoli di tanta perfezione.

Ora, una serie d’idee che all’esterno sarebbero parse inconcepibili cominciano a sembrare ragionevoli.

Sotto l’influenza del marmo, dei mosaici, dell’oscurità e dell’incenso diventa plausibile che in qualsiasi momento un angelo possa decidere di scendere attraverso i densi strati di nubi color piombo, entrare da una vetrata policroma e suonando una tromba d’oro annunciare in latino un imminente evento celestiale.

Fantasticherie che sarebbero sembrate folli solo trenta metri più in là, in compagnia delle friggitrici e di un gruppo di svedesi scatenati, ma che grazie a un’opera architettonica erano riuscite ad acquistare un significato e una maestà assolute.

Quanto raccontato per affermare che ordine e disordine del costruito sono portatori di valori che travalicano l’intrinseca dimensione urbanistica e architettonica, agiscono sub liminalmente sulle nostre percezioni ed emozioni, accolgono o respingono i nostri bisogni e il desiderio di conoscenza.

L’architettura e l’ambiente influenzano direttamente il nostro status psicologico, alterano percettibilmente l’umore, l’empatia e la capacità di essere felici.

Progettare e costruire, ci piaccia o no, presuppongono una responsabilità che va oltre l’offrire soluzioni pratiche, sono attività in grado di modificare, ben oltre l’intuibile, il nostro benessere e il nostro (discutibile) modello di sviluppo. A ciascuno il suo.

Roberto Tretti, Ala Assoarchitetti

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