Punti Di Vista | Bruno Gabbiani, Presidente Ala Assoarchitetti

Dalla Tav al concorso di Palazzo dei Diamanti. Ma che fine hanno fatto i pronipoti dei costruttori dell’Occidente?

(…) L’ambiente, il territorio, il paesaggio, le città sono beni preziosi, finiti e non rigenerabili, che devono essere sempre salvaguardati. Quindi come tali, devono essere ben manutenuti nella quotidianità, da parte di tutti i cittadini; modificati con scienza e coscienza da parte dei decisori e degli operatori, nell’occasione delle azioni che conducono a realizzare le case per le persone, i luoghi del lavoro per produrre e distribuire la ricchezza, le infrastrutture e i servizi per la comodità e la sicurezza di tutti. Architetti e ingegneri vogliono operare per raggiungere questi obiettivi, mettendo a disposizione del Paese le capacità disciplinari acquisite, oltre che con il sacrificio dei singoli, anche grazie agli investimenti che tutto il corpo sociale ha fatto nel tempo, nella cultura e nella formazione professionale.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

Lo sanno tutti: i romani furono il primo popolo della storia che realizzò una rete di strade, organizzate secondo un disegno strategico che intersecava tre continenti; gli italiani del millennio successivo crearono un’organizzazione urbana e del territorio, che rimane nel mondo un riferimento ineguagliato.

Non è un richiamo retorico a un passato che non potrà più ritornare, ma una riflessione che vogliamo sviluppare e proporre alla discussione, poiché l’elaborazione scientifica e culturale di architetti, urbanisti, artisti, letterati e ambientalisti ha sempre mantenuto alto nel nostro Paese il tema della salvaguardia del territorio e dell’ambiente.

In particolare gli architetti sono sempre stati attivi propositori di norme di regolamentazione finalizzate alla tutela dell’esistente e alla qualità del costruito e ciò ben da prima e soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale, che ha dato l’avvio al tumultuoso fenomeno di trasformazione del territorio italiano, i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti.

Ne è testimonianza il ricco dibattito apparso sulla stampa, per tutti gli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso. Mancavano case, infrastrutture, fabbriche, servizi turistici e anche se restano esemplari molte realizzazioni che seppero unire efficienza, economia e qualità dell’architettura, nella maggioranza dei casi la fretta e la quantità prevalsero su ogni altra considerazione.

Ma gli architetti furono le vittime, non gli strumenti di questa politica, che condusse a compromettere gran parte del territorio del Paese. Essi in generale non furono infatti complici, né stettero zitti o acquiescenti, né sui grandi, né sui piccoli temi, anche se a volte la loro battaglia fu tacciata di corporativismo, finalizzato a difendere presunti privilegi della loro delicata professione.

Ora l’Italia del terzo millennio, anche a seguito della vasta operazione culturale operata nelle scuole e sui media anche dagli architetti e soprattutto avendo in parte soddisfatto alle esigenze abitative dei singoli, sembra aver raggiunto una vasta condivisione della consapevolezza che l’ambiente, il territorio, il paesaggio, le città sono beni preziosi, finiti e non rigenerabili, che devono essere sempre salvaguardati.

Quindi come tali, devono essere ben manutenuti nella quotidianità, da parte di tutti i cittadini; modificati con scienza e coscienza da parte dei decisori e degli operatori, nell’occasione delle azioni che conducono a realizzare le case per le persone, i luoghi del lavoro per produrre e distribuire la ricchezza, le infrastrutture e i servizi per la comodità e la sicurezza di tutti.

Per ottener questo sono necessarie la partecipazione del popolo, con le espressioni dei singoli cittadini e delle organizzazioni politiche e civili, la capacità dei costruttori, ma anche la creatività degli architetti, la cultura degli ingegneri e degli altri professionisti che concorrono con le proprie competenze alle trasformazioni del territorio.

Tuttavia in questi decenni, almeno una parte dell’opinione pubblica sembra considerare dette opere di trasformazione del territorio, come portatrici di malcostume e di disagi ingiustificati, se non addirittura di devastazione ambientale e sociale.

Ci appaiono in proposito emblematiche le vicende della Tav e del concorso di Ferrara. Sembra che nella mente di alcuni, gli effetti negativi che spesso accompagnano ogni realizzazione, non possano essere bilanciati con vantaggio, da altri effetti positivi sperati e che addirittura si possa rinunciare a nuove strade, ferrovie, servizi innovativi, in nome di un’innocenza che sarebbe insita nel non fare, senza pagare un prezzo pesante, in termini di mancato sviluppo.

Architetti e ingegneri sono negativamente coinvolti in questa visione pessimistica, se non apocalittica, che sconta la perdita della speranza – ma anche l’ignoranza – delle ampie possibilità che ha un’Italia ben governata, d’operare virtuosamente le trasformazioni del territorio, proprio utilizzando la sapienza e le tecniche acquisite nei due millenni trascorsi.

Così in modo paradossale, architetti e ingegneri, che hanno sempre lottato per ben operare le trasformazioni, si trovano accusati di responsabilità che non sono le loro, per cui una corrente d’opinione, assieme all’acqua sporca (il malcostume e la cattiva progettazione) secondo la prassi diffusa, getta anche il bimbo (la capacità di ben fare), rinunciando alla diffusione della qualità della vita, che sta alla base di tutte le positive trasformazioni del territorio.

E per “non fare” non s’è esitato nemmeno a iniziative che hanno ulteriormente contribuito alla demolizione della certezza del diritto in Italia: all’annullamento di un concorso pubblico di progettazione, regolarmente concluso, nel caso del Palazzo dei Diamanti; alla messa in discussione di un accordo che deriva da un trattato internazionale stipulato con i nostri vicini, che appartengono alla medesima Ue, in quello dalla Tav.

In entrambi i casi, i perdenti sono quegli italiani che ancora non hanno rinunciato alla speranza di contribuire a costruire un Paese moderno, rivolto all’Europa, nel quale sia possibile meglio diffondere il benessere, la cultura, la sicurezza.

Architetti e ingegneri vogliono invece operare per raggiungere questi obiettivi, mettendo a disposizione del Paese le capacità disciplinari acquisite, oltre che con il sacrificio dei singoli, anche grazie agli investimenti che tutto il corpo sociale ha fatto nel tempo, nella cultura e nella formazione professionale.

Bruno Gabbiani, Presidente Ala Assoarchitetti

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