Assimpredil Ance | Qualificazione delle imprese & stazioni appaltanti

De Albertis: nel nuovo Codice degli appalti più attenzione al risultato e meno formalismo procedurale

Per il vertice dei costruttori di Milano, Lodi, Monza e Brianza «serve un’articolata e profonda revisione del Codice degli appalti, che ridia centralità alla realizzazione dell’opera pubblica, con l’aggregazione delle stazioni appaltanti e una maggiore qualificazione e selezione delle imprese».
Claudio De Albertis | Presidente Assimpredil Ance
Claudio De Albertis | Presidente Assimpredil Ance

Claudio De Albertis, presidente di Assimpredil Ance >>, l’associazione che raggruppa le imprese di costruzione delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza, intervenendo al convegno «Il nuovo Codice appalti: quali scenari?», a cui ha partecipato anche il vice Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, sen. Riccardo Nencini, ha sostenuto che «è chiara la necessità di mettere mano alla disciplina attuale del Codice degli appalti, non con semplici rimaneggiamenti, ma attraverso un’articolata e profonda revisione, partendo dagli elementi di debolezza e criticità dimostrati: il disegno di legge di recepimento delle direttive europee in tema di appalti e concessioni, che ha da poco iniziato al Senato il proprio iter parlamentare, rappresenta l’occasione per una razionalizzazione della legislazione in materia.

La riforma del Codice degli appalti deve prestare maggiore attenzione e restituire centralità alla realizzazione dell’opera pubblica: oggi buona parte delle norme sono dedicate alla fase di scelta dell’appaltatore, pochissime alla fase di esecuzione. La legislazione vigente è incentrata prevalentemente sull’attuazione dei principi comunitari in tema di concorrenza, definendo minuziosamente le procedure di gara ma senza un’articolazione puntuale della fase realizzativa. Si è perso di vista, così, che la concorrenza è lo strumento per la migliore realizzazione dell’opera, non l’obiettivo. È la realizzazione dell’opera il cuore del procedimento e occorrono quindi norme che disciplinino in maniera puntuale sistemi di controllo e monitoraggio.

Queste premesse normative hanno finito per condizionare anche il comportamento delle stazioni appaltanti, oggi troppo frammentate: sono circa 30mila, secondo le ultime rilevazioni fatte dall’Autorità di vigilanza nel 2012. La frammentazione non giova alla qualità e all’efficienza dell’attività svolta, anche perché sono totalmente assenti forme e strumenti di coordinamento e di supporto tra i diversi ambiti della pubblica amministrazione; non esistono forme di «messa in comune» delle competenze acquisite e sviluppate e questo tende a far apparire ogni lavoro come peculiare e scarsamente comparabile nonostante le notevoli omogeneità tecniche realizzative che molte opere presentano, rendendo più difficile l’identificazione dei prezzi di mercato e la valutazione delle offerte.
Il miglioramento della qualità della pubblica amministrazione nel settore degli appalti pubblici può essere ottenuto solo attraverso forme di aggregazione che svolgano funzioni di consulenza specializzate nei vari segmenti di attività e che favoriscano la circolazione delle informazioni e delle esperienze, fino ad arrivare a vere e proprie centrali di committenza in grado di gestire il processo dalla fase progettuale almeno fino all’aggiudicazione. Ne deriverebbero evidenti benefici sia in termini di omogeneità dei prezzi sia di standardizzazione delle procedure di gara.

Bisogna inoltre rivedere il sistema di qualificazione delle imprese, incapace di valutare seriamente le imprese sotto il profilo della struttura, della patrimonializzazione e della capacità di organizzare i fattori della produzione. Non ritengo si debba scardinare completamente il sistema delle Soa, ma sicuramente va alzata l’asticella dei requisiti, per realizzare un sistema efficace di selezione dei concorrenti, che costituisca la soglia minima d’accesso al mercato pubblico. L’Amministrazione deve, quindi, poter dare rilevanza a requisiti ulteriori, tra i quali quelli reputazionali, per responsabilizzare e controllare l’impresa in fase esecutiva, creando un incentivo da far valere nelle successive gare. Così le due fasi (selezione e esecuzione) sarebbero messe in una relazione effettiva e virtuosa, oggi purtroppo assente.
I meccanismi di qualificazione delle imprese e la loro selezione devono essere maggiormente orientati alla reale specializzazione e professionalità delle aziende, favorendo una selezione, dolorosa ma necessaria, basata sulla qualità e sulla loro storia, che nel contempo determini la loro crescita, organizzativa, tecnologica e dimensionale.

C’è la consapevolezza che non può essere persa questa occasione per realizzare una nuova politica industriale, che passa necessariamente anche attraverso la promozione della crescita dimensionale delle strutture, stimolando le imprese verso forme di cooperazione, di sinergia finanche e di fusione, rendendole capaci di erogare prestazioni anche di livello più complesso.
Ci sembra quindi di poter richiedere un percorso evolutivo della qualificazione che, anche attraverso agevolazioni fiscali, possa aiutare la crescita dimensionale e qualitativa delle imprese per garantire un’offerta prestazionale tecnicamente e finanziariamente più impegnativa, anche attraverso l’istituto del performance bond».

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