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Corrosione del calcestruzzo

Il Dizionario enciclopedico del calcestruzzo, edito da Enco, è una versione aggiornata di precedenti edizioni che furono pubblicate tra il 1990 e il 2004. L’ing. Mario Collepardi, presidente Enco e autore del testo, affronta nelle sezioni 17 e 18 il problema della corrosione promossa dalla carbonatazione e della corrosione promossa dal cloruro.

Enco Engineering Concrete ha pubblicato online il Dizionario enciclopedico del calcestruzzo, una nuova versione aggiornata alla nuova norma nazionale Uni 11104 e alla norma europea Uni-En 206-1. In queste due sezioni del libro, la 17 e la 18, l’ing. Mario Collepardi affronta il problema della corrosione promossa dalla carbonatazione e nella sezione 18 la corrosione promossa dal cloruro.

La carbonatazione

La carbonatazione, di per sé, non danneggia il calcestruzzo e neppure danneggia direttamente i ferri di armatura. Essa crea solo le condizioni favorevoli al processo di  In altre parole, un calcestruzzo armato conservato in un ambiente di pura Co2 potrà subire una completa carbonatazione del copriferro senza, però, alcun rischio di corrosione per le armature metalliche a causa della mancanza dei prodotti (H2O, O2) che alimentano la trasformazione di ferro metallico in ruggine. La velocità con cui il fronte della carbonatazione avanza nel copriferro segue una legge del tipo: x = K √t dove x è lo spessore di calcestruzzo penetrato dalla Co2 al tempo t, e K è una costante che dipende dalla qualità del calcestruzzo, in particolare dal rapporto acqua/cemento, a/c, oltre che dal tipo e classe di cemento, ma anche dall’umidità relativa (Ur) dell’aria raggiungendo il valore massimo a circa 60-70% di Ur.

Lo spessore carbonatato x è determinabile spruzzando una soluzione di fenolftaleina (il cui colore cambia con il pH, sulla superficie di frattura di un provino di calcestruzzo il quale è rimasto esposto all’aria; lo spessore di calcestruzzo che rimane di colore grigio corrisponde ad x, mentre la parte di calcestruzzo non carbonata si colora in rosso.

Corrosione promossa dalla carbonatazione

L’aria – e in particolare l’anidride carbonica, l’ossigeno e l’umidità in essa contenuti – può provocare la corrosione delle armature metalliche a seguito di un fenomeno denominato carbonatazione.

In realtà, il ruolo dell’anidride carbonica (Co2) è quello di un complice, mentre i veri killer nei confronti dei ferri sono l’ossigeno e l’umidità contenuti nell’aria, come è mostrato nel processo che riguarda la corrosione dei ferri di armatura.

Inizialmente nel calcestruzzo si stabiliscono, per lo sviluppo della calce di idrolisi, Ca(OH)2, a seguito dell’idratazione del cemento, condizioni di forte basicità (pH>13) particolarmente favorevoli alla buona conservazione delle armature metalliche; in queste condizioni, infatti, sul ferro si forma un film di ossido ferrico impermeabile e adesivo al substrato metallico.

In questa situazione, detta di passivazione, la pellicola impermeabile di ossido ferrico impedisce all’ossigeno ed all’umidità di arrivare al ferro metallico che si trova sotto il film impermeabile e pertanto impedisce la formazione di ruggine secondo lo schema del processo sopra mostrato.

Quando però la zona di calcestruzzo che protegge i ferri, il copriferro, è completamente penetrata dall’anidride carbonica, la situazione cambia radicalmente. Infatti, l’anidride carbonica annulla la basicità a seguito del processo di carbonatazione che consiste nella trasformazione della calce di idrolisi in carbonato di calcio (CaCo3): Ca(OH)2 + Co2 -> CaCo3 + H20.

Enco | Dec – sezione 17.

In seguito della carbonatazione, la calce d’idrolisi è in tutto o in parte neutralizzata e il pH scende a valori di circa 9: il ferro, già a pH minori di 11, perde la sua passività (depassivazione), cioè è in grado di subire la corrosione secondo la reazione che porta alla formazione di ruggine sopra mostrata.

In sostanza, il film di ossido di ferro inizialmente protettivo (per la sua impermeabilità all’ossigeno ed all’acqua) diventa poroso ed incoerente se il pH scende sotto 11 e non è più in grado di bloccare l’accesso dell’ossigeno e dell’umidità al substrato metallico. In queste condizioni, a seguito della trasformazione del ferro in ruggine (circa 6-7 volte più voluminosa del metallo), il copriferro viene prima fessurato e quindi espulso come è mostrato nella figura.

Corrosione promossa dal cloruro

La depassivazione delle armature metalliche, cioè la perdita del carattere protettivo da parte del film di ossido ferrico nei confronti del substrato metallico, può avvenire anche per la presenza dello ione Cl- sulla superficie dei ferri di armatura, a seguito dell’esposizione ai cloruri presenti nei sali disgelanti applicati d’inverno sulle pavimentazioni o nelle acque marine. Anche in questo caso, oltre alla depassivazione provocata dal cloruro, è necessario che il processo di corrosione sia alimentato da ossigeno ed acqua.

Per esempio, nelle strutture in ca immerse in acqua di mare la corrosione è trascurabile per la bassa concentrazione di ossigeno nell’acqua indispensabile per alimentare il processo corrosivo; nelle strutture semi-immerse, invece, l’alternanza di bagnato-asciutto dovuta al moto ondoso o alle maree, accelera fortemente la corrosione perché sia l’aria con l’ossigeno (nei periodi asciutti) sia l’acqua con i cloruri (nei periodi di bagnatura) possono accedere ai ferri di armatura.

Un’analoga situazione di alternanza bagnato-asciutto si verifica nelle strutture armate esposte ai sali disgelanti, ancorché l’esposizione al cloruro sia limitata a qualche mese per anno. A parte la protezione del calcestruzzo dalla penetrazione del cloruro l’impiego di acciaio inossidabile  comporta una migliore durabilità delle strutture in ca e cap.

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