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Diagnosi del degrado e restauro delle strutture il calcestruzzo armato – capitolo 6

Il libro è dedicato a chi deve occuparsi del restauro delle strutture in calcestruzzo armato e riguarda innanzitutto lo strutturista che deve intervenire dopo aver valutato tutti gli elementi disponibili. Il capitolo VI è curato dell’ing. Mario Collepardo, presidente Enco, e affronta il tema dei calcestruzzi speciali per il restauro.

Il libro «Diagnosi del degrado e restauro delle strutture in ca» è pubblicato da Enco – Engineering Concrete – società di ricerca e servizi specializzata nei settori dell’architettura e dell’ingegneria civile.

I primi tre capitoli sono di carattere generale e riguardano la terminologia, i metodi diagnostici e la fisica dell’acqua. Il IV capitolo ha affrontato la reazione del c.a agli alcali-aggregato, il capitolo V ha riportato le prove in situ e in laboratorio del degrado del c.a.

Il nuovo capitolo, il numero 6, affronta il tema dei calcestruzzi speciali per il restauro ed è esposto dall’ing. Mario Collepardo, presidente Enco.

Quando impiegare un calcestruzzo per il restauro

Ancora oggi la stragrande maggioranza degli interventi di restauro delle opere in calcestruzzo armato (c.a.) degradato sono eseguiti con l’impiego di malte cementizie premiscelate e/o di sostanze polimeriche (in forma di liquidi da iniettare o di vernici da applicare in superficie) prodotti e controllati industrialmente che verranno illustrati nel prossimo capitolo VII.

Tuttavia, con l’avvento di nuove tecnologie e di nuove norme sulla classificazione degli ambienti in base al loro grado di aggressione nei confronti delle opere in calcestruzzo, è possibile impiegare calcestruzzi speciali per il restauro delle opere degradate con vantaggi in termini applicativi per la rapidità e l’economia dell’intervento rispetto a quello eseguibile con le malte cementizie premiscelate.

L’impiego del calcestruzzo per il restauro delle strutture in c.a. presuppone innanzitutto che, a differenza del calcestruzzo degradato che si va a sostituire per rimozione parziale o totale, esso sia innanzitutto durabile in relazione all’ambiente dove si va a restaurare.

Questo pre-requisito di durabilità consiste nel possedere le caratteristiche composizionali e prestazionali in accordo alla normativa europea (1) in relazione all’ambiente cui l’opera è esposta (classe di esposizione).

Di seguito sono illustrati tre requisiti essenziali di questi calcestruzzi, durabili nell’ambiente cui sono destinati, da impiegare nel restauro delle opere degradate.
Questi requisiti sono così sintetizzabili e rintracciabili nei vari paragrafi che seguono:

  • primo requisito:  facilità di getto
  • secondo requisito: semplicità della stagionatura
  • terzo requisito: assenza di ritiro igrometrico
  • coesistenza del primo e secondo requisito
  • coesistenza del secondo e terzo requisito
  • coesistenza dei 3 requisiti.

Fase esecutiva del restauro

Nella fase esecutiva del restauro, date le difficoltà operative per la messa in opera del calcestruzzo entro spazi esigui (5-10 cm), spesso congestionati dalla presenza di ferri integrativi accanto a quelli originali, è necessario porre molta attenzione nella posa in opera e nella compattazione del calcestruzzo per il restauro di strutture degradate che presenta difficoltà molto maggiori di quelle che si incontrano nella messa in opera di nuove strutture.

Queste difficoltà esecutive possono essere agevolmente superate se si adopera un calcestruzzo autocompattante, cioè capace di essere messo in opera senza essere compattato per vibrazione, noto anche come Self-Compacting Concrete, SCC.

Un secondo requisito essenziale, per la riuscita di un restauro con un nuovo calcestruzzo applicato sul vecchio materiale, riguarda la stagionatura della superficie del calcestruzzo subito dopo la sformatura: l’applicazione di una protezione dall’essiccamento del conglomerato è di fondamentale importanza.

Nel caso di questi calcestruzzi speciali destinati al restauro delle opere degradate si può impiegare un additivo capace di ridurre il ritiro noto come Shrinkage-Reducing Admixture, SRA, che, anche in assenza di stagionatura umida, riduce i rischi di fessurazione da ritiro spesso provocati da una disattenta cura delle superfici delle strutture appena scasserate ed esposte alla essiccazione in ambienti asciutti, caldi e ventilati. Con l’ausilio di questo additivo si può quindi contare su un calcestruzzo auto-stagionante noto anche come Self-Curing Concrete.

Un terzo requisito decisivo per la riuscita di un restauro realizzato mediante getto di calcestruzzo, riguarda la compensazione in tutto o in parte del ritiro; infatti il ritiro del nuovo calcestruzzo rispetto al vecchio manufatto da restaurare che ha ormai “scontato” ogni forma di ritiro, è fonte di distacco tra vecchio e nuovo calcestruzzo.

Per questo motivo il calcestruzzo a ritiro compensato, noto anche come Shrinkage-Compensating Concrete, a base di agenti espansivi è spesso impiegato in fase di restauro. A seguito dell’espansione contrastata dalla presenza dei ferri di armatura il calcestruzzo a ritiro compensato può essere individuato come un calcestruzzo auto-compresso (Self-Compressing Concrete).

Una combinazione di tutti e tre i requisiti fondamentali sopra menzionati (autocompattazione, stagionatura umida e compensazione del ritiro) è realizzabile con il cosiddetto 3SC inteso come 3-Self-Concrete: Self-Compacting Concrete; Self-Curing Concrete; Self-Compressing Concrete.

Pre-requisito per l’impiego di un calcestruzzo nel restauro: durabilità negli ambienti aggressivi

Diagnosi del degrado del calcestruzzo armato-capitolo 6.

Nei paragrafi che seguono vengono illustrati i criteri per una corretta progettazione ed esecuzione delle opere in calcestruzzo normale, armato e precompresso
di adeguata durabilità in relazione alle condizioni aggressive dell’ambiente, in accordo alla norma europea Uni-En 206.

Per una corretta progettazione ed esecuzione delle strutture in calcestruzzo verranno presi in considerazione i seguenti elementi:

  • classe di esposizione: individua la categoria dell’ambiente in base al grado di aggressione nei confronti del calcestruzzo e/o dei ferri di armatura;
  • limite composizionale: individua i vincoli nella composizione del calcestruzzo ed in particolare nel massimo rapporto a/c.;
  • limite prestazionale: individua i vincoli nella prestazione corrispondente alla resistenza caratteristica (Rck) minima dettata da ragioni di durabilità da confrontare
    con la Rck del progetto desunta solo in base a considerazioni di carattere statico;
  • limite del copriferro (secondo Eurocodice 2: UNI EN 1992-1-1): individua lo spessore minimo di copriferro adeguato a garantire la protezione delle armature
    in relazione alla classe di esposizione;
  • classe di consistenza: individua la lavorabilità richiesta per una corretta posa in opera mirata ad una completa compattazione del conglomerato;
  • stagionatura: individua la durata minima per la protezione dei getti in relazione alle condizioni termo-igrometriche dell’ambiente al momento del getto ed allo sviluppo della resistenza del calcestruzzo;
  • idoneità degli ingredienti con particolare riferimento agli aggregati che debbono essere innanzitutto non alcali-reattivi, privi di cloruri e solfati, e non gelivi quando sono impiegati per calcestruzzi esposti ai cicli di gelo-disgelo (Appendice I).

Il primo e fondamentale elemento è quello di stabilire l’ambiente nel quale l’opera dovrà sorgere. La norma Uni-En 206 stabilisce le varie classi di esposizione
ambientale. A seconda della classe individuata per la specifica opera da costruire, vengono fissati alcuni limiti riguardanti i parametri del calcestruzzo il più importante dei quali è il massimo rapporto acqua-cemento (a/c).

Il libro è acquistabile online  
Prezzo 65 euro

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