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Diagnosi del degrado delle strutture in calcestruzzo: raccolta dei dati storici

Il Dizionario enciclopedico del calcestruzzo, edito da Enco, è una versione aggiornata di precedenti edizioni che furono pubblicate tra il 1990 e il 2004. La sezione 19 si compone di due parti. In questa seconda parte l’ing. Mario Collepardi, presidente Enco e autore del testo, affronta il tema della diagnosi del degrado delle strutture in calcestruzzo parlando della raccolta dei dati storici.

Enco Engineering Concrete ha pubblicato online il Dizionario enciclopedico del calcestruzzo, una nuova versione aggiornata alla nuova norma nazionale Uni 11104 e alla norma europea Uni-En 206-1. Questa è la seconda parte della sezione 19 del libro: l’ing. Mario Collepardi conclude la sezione 19 della Diagnosi del degrado delle strutture in calcestruzzo con la Raccolta dei dati storici.

La raccolta di tutti i dati sulla storia della struttura – dal periodo della costruzione fino alla manifestazione dei segni di degrado – unitamente agli elementi raccolti attraverso il sopralluogo dall’esame visivo, può essere molto utile all’individuazione delle possibili cause di degrado, i cui riscontri potranno essere trovati attraverso poche ma ben mirate prove in situ sulla struttura o di laboratorio nel seguito discusse.

I dati storici, come si può vedere nella Tabella includono quelli relativi al periodo della costruzione, ai materiali impiegati, all’apparizione dei primi segni di degrado, alle condizioni climatiche e di esercizio.

Enco | Raccolta dati storici.

È molto importante che i dati storici raccolti siano confermati da riscontri oggettivi attraverso le prove, perché molto spesso i dati raccolti a distanza di tempo sono inaffidabili, poco attendibili e quindi talvolta fuorvianti.

Per esempio, il fatto che alcune fessure si siano manifestate dopo alcuni mesi dal getto di una pavimentazione, indica solo che le fessure sono state notate dopo alcuni mesi, ma non esclude che esse si siano innescate, in forma di cavillature poco visibili inizialmente, già dopo poche ore dal getto, come spesso si verifica quando si lavora in climi asciutti e ventilati senza alcuna protezione dall’evaporazione dell’acqua dalle superfici delle pavimentazioni.

Così, anche la manifestazione della corrosione dei ferri viene di solito registrata con l’apparizione delle macchie di ruggine che si formano in superficie dopo alcune piogge, e non già quando appaiono sul copriferro le prime microfessure difficilmente rilevabili a vista.

Se le microfessure del copriferro appaiono, per esempio, sull’intradosso di una trave da ponte dopo pochi giorni o mesi di esercizio, è probabile che la microfessurazione abbia un’origine meccanica e che essa sia rapidamente seguita da fenomeni di corrosione dei ferri per la facilitata penetrazione degli agenti aggressivi (aria e umidità) attraverso il copriferro già fessurato.

Se, invece, le fessure appaiono dopo qualche anno è più probabile che la fessurazione sia stata indotta da fenomeni di corrosione dei ferri (promossa dagli stessi agenti aggressivi attraverso un calcestruzzo poroso ma non fessurato).

Nei due esempi ora menzionati, quindi, il tempo di apparizione delle fessure può in via ipotetica indicare se le fessure del copriferro siano la causa o l’effetto della corrosione dei ferri.

È evidente, in questo caso, come un esame dello stato di carbonatazione o di penetrazione dei cloruri all’interno del copriferro (uniforme, oppure differenziato ed accentuato in corrispondenza delle fessure) potrà dare conferma o meno alle ipotesi sopra avanzate.

Si può notare, in questo caso, come la raccolta dei dati “storici” e l’esame visivo del degrado, se non sono in grado da soli di portare ad una diagnosi ben definita ed attendibile, consentono tuttavia di limitare a pochi ma ben mirati prelievi da analizzare in laboratorionper l’emissione di una diagnosi.

Prove in situ e in laboratorio

La raccolta di risultati sperimentali determinati in sito o in laboratorio si basa sull’esecuzione di prove che possono essere suddivise in prove distruttive o semi-distruttive e prove non-distruttive.

La distinzione tra prove distruttive e prove non-distruttive consiste fondamentalmente nel fatto che le prime si basano su prove sperimentali, generalmente eseguite in laboratorio, effettuate su provini o campioni prelevati dalla struttura: ne consegue che esse prevedono in genere lo scrostamento di frammenti di intonaco, il sollevamento sia pure parziale di un rivestimento del pavimento, il carotaggio di una muratura…, tutte operazioni che possono arrecare una compromissione, sia pure modesta o trascurabile, a costruzioni quantomeno sospettate di essere coinvolte da un processo di deterioramento.

Le prove semi-distruttive provocano un danno più limitato, rispetto alle prove distruttive, e confinato solo allo spessore corticale della struttura.

Le prove non-distruttive, invece, presentano il vantaggio di fornire elementi utili alla interpretazione del potenziale deterioramento in atto, senza minimamente danneggiare lo stato dell’edificio o della struttura dal punto di vista estetico o strutturale.

Le prove non-distruttive consistono in misure di carattere prevalentemente fisico o fisico-meccanico, come per esempio la determinazione della durezza superficiale – sclerometria – o della velocità delle onde ultrasoniche da eseguire in sito sulla struttura; le prove distruttive, invece, sono prevalentemente di carattere chimico o chimico-fisico da effettuare in laboratorio.

Inoltre, le prove non-distruttive in sito forniscono dei dati soprattutto sul dissesto delle strutture (per esempio: cedimenti di fondazioni, sovraccarichi…) che non necessariamente coinvolgono il degrado dei materiali.

Le prove distruttive effettuate in laboratorio, invece, sono prevalentemente finalizzate alla valutazione del degrado dei materiali (per esempio: distacco parziale di intonaco, rigonfiamento di una muratura, corrosione di un metallo…) che non necessariamente significano un dissesto strutturale dell’edificio.

In generale, è molto difficile che con le sole prove non-distruttive si possa arrivare ad una diagnosi corretta del degrado di una struttura. Molto spesso, esse devono essere comparate con quelle distruttive.

L’accoppiamento di prove distruttive e non-distruttive, oltre al carattere di complementarità e di completezza dell’informazione desunta, presenta anche il vantaggio di ridurre globalmente il numero totale delle prove da eseguire e quindi il costo generale della diagnosi: infatti, in linea di massima, il costo della singola prova di laboratorio è relativamente basso, ma si richiede un numero relativamente elevato di prove sui diversi prelievi, rispetto alle prove non-distruttive, per poter emettere una diagnosi.

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