Rischio idrogeologico

Eventi estremi su città e territori: «serve il piano nazionale di adattamento»

Pubblicato il Rapporto 2022 dell’Osservatorio di Legambiente CittàClima. Lo studio raccoglie dati e informazioni su frane, trombe d’aria, piogge intense, ondate di calore e siccità avvenuti in Italia negli ultimi anni. Ma anche le buone pratiche dei Comuni. Manca ancora il Pnacc, fermo dal 2018. Servono anche i piani di settore.
Il Rapporto 2022 dell’Osservatorio Legambiente CittàClima.

Pochi giorni prima della frana del monte Epomeo che nella notte tra il 25 e il 26 novembre scorsi ha travolto numerose abitazioni di Casamicciola sull’isola di Ischia, Legambiente, la principale associazione ambientalista italiana, ha presentato il Rapporto 2022 dell’Osservatorio Città Clima, dal titolo Il clima è già cambiato, contenente dati e informazioni aggiornatissime sugli impatti degli eventi estremi su città, territori e persone.

Un documento puntuale, ricco di informazioni, teso a dimostrare la gravità della situazione climatica e idrogeologica del nostro Paese e, com’è nello stile dell’associazione, a indicare possibili soluzioni legislative e regolamentari per evitare tragedie simili a quelle avvenute di recente a Ischia.

Tra queste, forse la più politica, la richiesta al nuovo governo di un “impegno urgente per aggiornare e approvare entro la fine dell’anno il Piano nazionale di adattamento al clima”, piano fermo dal 2018, all’epoca del governo Gentiloni.

Bitti, i danni dell’alluvione del 28 novembre 2020 nella località sarda (foto, Protezione civile nazionale).

Gli eventi estremi in Italia

Nei primi dieci mesi del 2022 – si legge nel Rapporto – seppur con dati parziali (il Rapporto è stato chiuso alla fine dell’ottobre scorso; nda), in tutto il territorio nazionale sono stati registrati 254 fenomeni meteorologici estremi, il 27% in più di quelli dello scorso anno, misurati sui dodici mesi.

Negli ultimi tredici anni il bilancio è ancora più severo: dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati in Italia 1.503 eventi estremi con 780 comuni colpiti e 279 vittime. Tra le regioni più interessate, figurano Sicilia (175 eventi estremi), Lombardia (166), Lazio (136), Puglia (112), Emilia-Romagna (111), Toscana (107) e Veneto (101).

Alluvione nei pressi del lago di Como del giugno 2022 (foto, Protezione civile nazionale).

Più nel dettaglio, sul totale dei fenomeni estremi, in 529 casi, si è trattato di allagamenti da piogge intense come evento principale, che diventano 768 se si considerano gli effetti collaterali, come le grandinate e le esondazioni.

Per 531 casi gli effetti dell’evento estremo ha comportato lo stop alle infrastrutture con 89 giorni di blocco di metropolitane e treni urbani, mentre per 387 eventi si è trattato di danni causati da trombe d’aria.

A soffrire di tali fenomeni sono soprattutto le grandi città, a partire da Roma, dove si sono verificati 66 eventi, sei solo nell’ultimo anno, di cui 39 hanno riguardato allagamenti a seguito di piogge intense.

I danni dell’alluvione a Senigallia del 17 settembre 2022 (foto, Protezione civile nazionale).

In questa non invidiabile classifica dopo la Capitale troviamo Bari con 42 eventi, principalmente allagamenti dovuti a piogge intense (20) e danni da trombe d’aria (17), Agrigento, con 32 casi di cui 15 allagamenti, e infine Milano, con 30 eventi totali, dove negli anni considerati almeno 20 sono dovuti alle esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro.

Il Rapporto di Legambiente si sofferma poi sugli interventi per la prevenzione e i fondi pubblici spesi per gli interventi di emergenza. Nel periodo 1999-2022, gli interventi avviati per mitigare il rischio idrogeologico in Italia sono stati 9.961, per una spesa complessiva di 9,5 miliardi di euro: in media 400 milioni ogni anno. A queste risorse vanno aggiunti 13,3 miliardi, assegnati e spesi, per far fronte alle emergenze.

La piena del fiume Misa a Senigallia (foto, Protezione civile nazionale).

Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

Mentre quasi tutti i Paesi europei si sono negli anni dotati di un piano nazionale (o settoriale) di adattamento, l’Italia, con il suo Pnacc, è ferma alla bozza del 2018 (solo Polonia, Turchia e Slovenia sono prive, come l’Italia, di questo strumento strategico; nda). E questo nonostante la Commissione Europea ci chieda da tempo di approvare un efficace Piano, proprio per la vulnerabilità del nostro territorio.

La piena del torrente Parma a Colorno, ottobre 2014 (foto, Protezione civile nazionale).

«Nella lotta alla crisi climatica – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – l’Italia è in ritardo. Continua a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse economiche spese per i danni provocati da eventi estremi, alluvioni, piogge e frane, e non approva il Piano nazionale di adattamento al clima, dal 2018 fermo in un cassetto del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. È fondamentale approvare entro fine anno il Pnacc, ma anche definire un programma strutturale di finanziamento per le aree urbane più a rischio, rafforzare il ruolo delle autorità di distretto e dei Comuni contro il rischio idrogeologico e la siccità, approvare la legge sul consumo di suolo, e cambiare le regole edilizie per salvare le persone dagli impatti climatici e promuovere campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone».

Le squadre di emergenza al lavoro a Bitti (foto, Protezione civile nazionale).

Il Piano nazionale di adattamento dovrebbe contenere le priorità d’intervento: non uno studio dei processi in corso, come fu per la Strategia di adattamento adottata nel 2015, ma un vero e proprio strumento di governo, che indichi le aree dove intervenire nei prossimi anni perché a maggior rischio.

Ma secondo Legambiente non basta. Bisognerebbe dotare il Paese di una serie di Piani settoriali: diventa fondamentale definire un quadro di interventi che riguardino specificatamente le coste, per combattere l’erosione e adattare queste aree, tra le più a rischio, all’innalzamento del livello dei mari, un fenomeno in corso che sarà ancora più accentuato nei prossimi decenni.

Piani nazionali di adattamento riguardanti le aree costiere, ad esempio, in altri Paesi europei, a partire dalla Spagna, sono da tempo realtà: si tratta infatti di strumenti utili a governare i nuovi fenomeni in settori produttivi considerati, a ragione, di vitale importanza.

Infine, l’assenza di un Piano nazionale ha di fatto contribuito al mancato decollo dei piani di adattamento al clima delle città italiane: un dato che andrebbe confrontato con quanto avvenuto invece in altre città europee.

Le buone pratiche delle città

Nel Rapporto 2022, Legambiente segnala anche diverse buone pratiche messe in atto da Comuni e istituzioni locali, all’interno del programma sperimentale d’interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici in ambito urbano, emanato nel 2021 dall’allora ministero dell’Ambiente e della transizione energetica, che ha concesso finanziamenti in decine di aree urbane italiane.

Tra queste, Cremona con i progetti dei Boschi della Villetta e La strada in Verde, Lucca con Le scuole verdi, Ferrara, dove le azioni di adattamento riguarderanno piazza Cortevecchia, e L’Aquila con i progetti di riforestazione urbana.

Altre buone pratiche segnalate da Legambiente riguardano Milano, con il suo Piano Aria e Clima, finalizzato a ridurre l’inquinamento atmosferico e a rispondere all’emergenza climatica, Genova, con l’Action Plan Genova 2050, uno strumento che comprende un pacchetto di azioni concrete sulla sostenibilità ambientale, l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, per migliorare la qualità della vita cittadina.

Da Forlì arriva l’esempio del Giardino dei Musei: nato come azione all’interno del progetto Life SOS4life e finanziato con fondi statali, comunali e dal contributo della Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì, che ha l’obiettivo di riqualificare e valorizzare l’area, adibita a parcheggio sopraelevato, sostituendola con un’area a verde pubblico.

Legambiente, 10 proposte per un ambiente sicuro

Il decalogo dell’associazione ambientalista per un Paese in grado di affrontare le sfide del cambiamento climatico.

1) Vietare qualsiasi edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e in quelle individuate da Enea come aree a rischio inondazione al 2100 a causa dell’innalzamento del livello dei mari.
2) Delocalizzare gli edifici in aree classificate a elevato rischio idrogeologico.
3) Salvaguardare e ripristinare la permeabilità dei suoli nelle aree urbane.
4) Vietare l’utilizzo dei piani interrati a uso abitativo.
5) Mettere in sicurezza le infrastrutture urbane dai fenomeni meteorologici estremi.
6) Vietare l’intubamento dei corsi d’acqua e pianificare la riapertura di quelli tombati nel passato.
7) Recuperare, riutilizzare, risparmiare l’acqua in tutti gli interventi edilizi.
8) Utilizzare materiali capaci di ridurre l’effetto isola di calore nei quartieri.
9) Trattenere l’acqua in città.
10) Mettere a dimora alberi lungo le strade e nelle piazze, creare boschi urbani.

di Pietro Mezzi

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