Punti di Vista | Gabriele Buia, Presidente Ance

La svolta verso il futuro: lavoro, sostenibilità, sicurezza

Il presidente Ance Gabriele Buia all'assemblea dei costruttori 2019 fa una lunga disamina dei blocchi che impediscono al settore delle costruzioni di esprimere nel corso di questa lunga crisi strutturale il potenziale economico del settore e fa precise richieste d'intervento al Governo. Ci vuole un grande patto - dice - uno sforzo da parte di tutti: politica, istituzioni, finanza, forze sociali e sindacali, per ritrovare le condizioni per competere ad armi pari con le altre capitali del mondo.
Gabriele Buia, Presidente Ance | Assemblea 2019

Un anno è passato da quando tutti insieme, come oggi, abbiamo deciso che era venuto il momento di reagire all’immobilismo e al disfattismo, indicando le strade da prendere per costruire il bene sociale. Un tema che oggi è entrato di prepotenza al centro dell’agenda politica internazionale, ed è costantemente all’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi di informazione.

QUI VIDEO PRINCIPALI INTERVENTI ASSEMBELA ANCE 2019

Preoccuparsi di lasciare alle nuove generazioni condizioni adeguate di vita, lavoro e ambiente è sicuramente un segnale importante. Ma i buoni propositi non bastano. Servono azioni concrete. E oggi insieme vogliamo parlare proprio delle scelte e delle azioni da compiere per passare dalle buone intenzioni ai fatti reali.

Intanto è bene dire subito che quello che abbiamo passato è stato un anno difficile, ancora una volta e forse ancora di più. È stato difficile perché di lavoro ce n’è ancora troppo poco. Perché nonostante gli sforzi fatti alcune delle riforme che come Ance abbiamo proposto e contribuito a far approvare rimangono ancora tutte da attuare o completare. Perché le condizioni macroeconomiche generali non stanno migliorando, anzi. È già in atto un rallentamento dell’economia globale e di quella europea che si protrarrà nei prossimi anni.

Un rallentamento che colpirà direttamente la componente che è stata più dinamica, negli anni della grande crisi dell’economia italiana, quella che esporta. Ma questa frenata colpirà, indirettamente, anche gli altri comparti economici, quelli che ancora non hanno visto la luce, come il nostro.

Assemblea Ance 2019

Il Paese sta soffrendo da anni il crollo degli investimenti, vera causa delle nostre difficoltà economiche. La relazione tra investimenti e Pil è chiarissima, come dimostriamo da anni, e interventi mirati su tale componente hanno avuto l’effetto di sostenere la ricchezza nazionale negli ultimi anni.

Stiamo ancora scontando gli anni in cui gli investimenti sono stati dimezzati e il settore completamente abbandonato. Questa “dimenticanza” della politica nazionale l’abbiamo pagata cara.

E a farne le spese sono state soprattutto le nostre imprese: credit crunch 4 volte superiore alla media nazionale, investimenti in costruzioni ridotti della metà, troppi balzelli sulla casa e sull’attività di impresa, margini di redditività inesistenti.

E noi come reagiamo a tutto questo? Dopo un anno che lo abbiamo chiesto non siamo ancora riusciti ad aprire un Tavolo di crisi del settore per affrontare in modo organico tutte le emergenze. Occorre una task force interministeriale per l’edilizia. Un’esigenza che sappiamo essere all’attenzione del Ministro Patuanelli.

Certo l’instabilità politica interna (4 Governi negli ultimi 3 anni!) non ha giocato a nostro favore. In Germania negli ultimi 30 anni ci sono stati 3 Presidenti del Consiglio, in Francia 5, in Italia si sono succeduti per ben 16 volte. Cambiare continuamente governance sta condannando il Paese a una ripartenza continua. La politica cambia, ma i problemi restano. Tutti.

Le conseguenze di questo immobilismo le viviamo sulla pelle: un bilancio umano e lavorativo pesantissimo. Tanti ancora i colleghi e gli amici che si sono dovuti arrendere, chiudendo e lasciando a casa centinaia di migliaia di lavoratori, nell’indifferenza e nel silenzio generale. Ma qualcuno l’ha pagata ancora più cara.

Come il collega Riccardo Morpurgo, imprenditore edile e nostro associato di Senigallia suicida a 64 anni all’interno della sua azienda che non voleva veder chiudere: un martire di una crisi senza fine. Senza nessun aiuto né sostegno da parte dello Stato.

Non possiamo quindi accettare un sistema di favore solo per qualcuno. Non perché siamo contrari al rafforzamento dei grandi player nazionali e internazionali del nostro settore. Ma il pubblico non deve intervenire, come avviene in Progetto Italia, falsando il mercato e utilizzando il risparmio garantito degli italiani.

Non abbiamo mai condiviso un’operazione riservata solo a poche grandi imprese in difficoltà. Abbiamo detto più volte che saremmo stati favorevoli solo a un intervento di sistema a favore di un settore che è motore dell’economia.

Cominciamo allora a dotare di risorse adeguate il Fondo salva opere, introdotto dal dl crescita per il ristoro dei creditori e subappaltatori della filiera dei grandi gruppi in crisi.
Un’operazione questa sì di sistema, a vantaggio di tutte le imprese, e senza alcun rischio di perdita di capitale.

Eppure le risorse finora stanziate sono ridicole (solo qualche decina di milioni all’anno a fronte di centinaia di milioni di crediti) e i tempi per l’erogazione dei pagamenti troppo lunghi. Manca poi il decreto del Mit necessario per rendere il fondo effettivamente operativo. Non ci possono essere figli e figliastri. Tutte le imprese del settore hanno pari dignità e meritano rispetto!

È lo stesso principio secondo cui non si può consentire a imprese fallite e in concordato, che pagheranno solo una piccola parte dei debiti contratti, di partecipare alle gare, danneggiando quelle che sono ancora sul mercato. Il concordato in bianco ha impoverito il settore e ha arricchito solo i commissari liquidatori.

Non è solo la crisi a mettere in ginocchio le nostre imprese. Anche un sistema giudiziario inefficiente e un sistema di norme eccessivamente afflittive può dichiararne la fine. Come è avvenuto nel caso di Matteo Brusola, nostro associato di Assimpredil, che nel 2014, dopo aver ricevuto un’interdittiva antimafia è obbligato a lasciare entro 24 ore tutti i cantieri degli appalti Expo e successivamente a chiudere l’azienda, licenziando tutti i 118 lavoratori.

Dopo 3 anni la riabilitazione completa da parte della prefettura di Lodi. E come è capitato al nostro Vincenzo Russo, Presidente Ance Salerno, accusato di associazione esterna camorristica e poi prosciolto per non aver commesso il fatto. Non si tratta di casi isolati.

Occorre ristabilire un rapporto virtuoso tra Stato e cittadino basato su rispetto e fiducia. Rispetto che per primi noi operatori economici abbiamo il dovere di garantire nei confronti delle regole che sono alla base di uno Stato civile. Lo stesso rispetto che deve muovere ogni azione del legislatore e dell’amministrazione pubblica.

Troppo spesso invece negli ultimi anni, stiamo assistendo al totale ribaltamento del principio costituzionale (art.27) di presunzione di non colpevolezza. Basta il semplice status di indagato o la diffusione di notizie giornalistiche sull’avvio di indagini per far scattare provvedimenti afflittivi in grado di estromettere definitivamente dalla vita economica operatori, che poi magari verranno giudicati innocenti, all’esito del procedimento penale.

Si pensi alla misura dell’illecito professionale oppure alla diffusione dei Protocolli di Legalità per i quali anche in presenza di un mero rinvio a giudizio si può interrompere il rapporto contrattuale. Sono tutti esempi eclatanti di un sistema che scarica sui privati l’inefficienza dello Stato, che invece di dimostrare, presume. Perdendo di vista l’interesse pubblico che è quello di far ripartire il Paese.

In questi mesi abbiamo attivato decine di iniziative e di eventi sul territorio, a cominciare da sbloccacantieri e bloccadegrado, che hanno visto il diretto coinvolgimento dei territori, delle amministrazioni e della società civile che non accettano di assistere inermi all’abbandono e all’incuria.

La lista delle opere bloccate è ancora lunghissima: in totale 749 per 62 mld secondo il nostro monitoraggio di sbloccantieri. L’unico al momento disponibile tra l’altro, visto che non c’è un censimento reale delle opere ferme o in grande ritardo nel nostro Paese.

Nell’elenco c’è di tutto: scuole, ospedali, strade e anche fondamentali opere di messa in sicurezza come quelle che riguardano il letto del fiume Sarno, noto per la tragica frana di oltre 20 anni fa che causò 160 morti! E ancora è tutto fermo: 220 milioni non utilizzati per un’opera che può salvare vite umane! Cosa stiamo aspettando? Non abbiamo più tempo.

Cominciamo ad affrontare le priorità: la lotta alla burocrazia anzi alla burokràzia in stile Soviet. È bene cominciare a chiamarla così, perché ormai è un potere a sé, incontrollabile, ingestibile.

Una vera e propria dittatura che spoglia il cittadino/impresa di tutti i propri diritti. Tutti i tentativi fatti finora di riportarla sotto controllo sono naufragati in un nulla di fatto. O peggio ancora ne hanno aumentato il raggio d’azione. Ministeri, cabine di regia, unità, leggi… per la semplificazione.

È da un secolo esatto che ci provano tutti a snellire, come riferisce Gian Antonio Stella in un articolo sul Corriere della Sera di un anno fa. A cominciare da Ivanhoe Bonomi, l’allora Presidente del Consiglio che nel 1921 varò i “Provvedimenti per la riforma delle amministrazioni dello stato e la semplificazione dei servizi”. E anche l’ultimo mostro a 7 teste ne è la riprova.

Nel tentativo di rendere più efficiente la spesa degli investimenti in opere pubbliche si è dato vita a 7 diverse strutture che a vario titolo, nei palazzi pubblici dovrebbero occuparsi di sbloccare le infrastrutture e che dopo più di un  anno non sono ancora nemmeno operative! Come l’Idra del mito greco, che ogni volta che le veniva tagliata una testa ne generava altre due: ogni idea di semplificazione porta con sé un nuovo mostro pronto a sconfiggere chi gli si oppone. Così il mostro prolifera indisturbato e continua a legiferare senza sosta.

Il Professor Cassese ha individuato dall’Unità d’Italia a oggi ben 200mila leggi! Per la Cgia di Mestre solo nel 2018 sono stati prodotti 452 km di norme! Come Ance abbiamo verificato che sono 308 le norme in materia di appalti pubblici, entrate in vigore negli ultimi 25 anni. 308! Più di 12 norme all’anno solo per il nostro settore!!! Leggi, Dlgs, dpcm, circolari, dl, dpr chi più ne ha più ne metta. Con un ritmo che è persino aumentato negli ultimi anni (2 volte al mese), proprio nel periodo di crisi!

Pensate a come può riuscire a sopravvivere un’impresa con un sistema normativo che oltre a essere caotico e in continuo mutamento impone limiti e condizioni alla propria organizzazione. Come nel caso dei limiti che il legislatore ha imposto al subappalto. Per fortuna che l’Europa a cui abbiamo fatto ricorso si è pronunciata in modo chiaro contro queste restrizioni e ora l’Italia dovrà modificare subito queste norme.

In materia ambientale solo per le terre e rocce da scavo dal 2001 a oggi si sono registrati almeno 21 provvedimenti normativi ai quali ogni volta ha fatto seguito la necessità di cambiare le procedure aziendali e amministrative. Ma anche nel campo dell’edilizia privata la situazione non migliora.

Negli ultimi 10 anni solo il Testo Unico dell’edilizia è stato bersaglio continuo di cambiamenti: più di 70 disposizioni modificate!! Mentre sul fronte fiscale si sono registrati almeno 100 tra adempimenti e scadenze a cui le imprese edili devono far fronte ogni anno.

E come se non bastasse tra il dire e il fare c’è di mezzo…. ancora una miriade di norme. Il Governo attuale parte già con una zavorra di 352 provvedimenti attuativi ereditati dal precedente esecutivo. E il rischio è che si produca un vuoto normativo.

Sembra paradossale, ma è così. Il troppo sta generando il nulla. È questo il caso del Codice degli appalti approvato in gran fretta nel 2016, già più volte sanzionato dall’Europa, e oggetto continuo di modifiche a causa delle inefficienze che ha generato. Va rivisto e semplificato definitivamente.

Dopo le correzioni introdotte con lo sbloccacantieri è indispensabile approvare quanto prima un regolamento unico attuativo chiaro e dedicato ai lavori pubblici altrimenti si rischia il caos e il blocco del settore. E come si reagisce a questo caos? Si cerca la scappatoia ovviamente. E il primo a farlo sapete chi è? Lo Stato.

Ogni qual volta si devono realizzare interventi, anche se programmati con largo anticipo, si cerca il Deus ex machina, il Super Commissario con facoltà di tagliare i tempi e andare diritto al risultato, con licenza di deroga anche al Codice. Allora che lo scriviamo a fare? L’abuso della figura del Commissario, necessaria in casi di calamità e di estrema urgenza, diviene emblema del totale fallimento normativo. E quindi che si fa? Si migliorano e semplificano le norme ordinarie? No, si fanno più Commissari.

Come per i Contratti di Programma Anas e RFI che, secondo le proposte del governo, vedranno la previsione di commissari straordinari per più della metà degli interventi. Soluzioni dettate sempre dall’emergenza e dalla consapevolezza che con le leggi ordinarie i tempi sono troppo lunghi.

In questa fase di stallo economico e sociale del Paese la figura del Commissario, in alcuni contesti, può diventare una scelta obbligata per aprire i cantieri e realizzare opere in tempo utile. Ma la sua funzione dev’essere incentrata nel tagliare i tempi delle procedure autorizzative, salvaguardando le fasi di gara che devono essere improntate alla trasparenza e alla concorrenza. (modello Napoli‐Bari).

Modello che deve essere utilizzato anche per le 77 opere individuate dal Mit incagliate da anni per le quali il dl sbloccacantieri prevede la nomina di commissari. Ma chissà quanto dovremo attendere visto che ci vogliono ben 8 passaggi procedurali solo per nominarli. Non sono quindi certo le imprese e il contenzioso a bloccare la realizzazione delle opere. È ora di smentire il falso mito del boom dei ricorsi delle imprese.

Le analisi del Consiglio di Stato sono chiare: il tasso di contenzioso amministrativo, che peraltro non è addebitabile completamente alle imprese ma è riconducibile anche a errori di bando o di aggiudicazione, nel biennio 17/18 è solo l’1,5% complessivo dei bandi di lavori. Le cause come abbiamo visto sono altre.

A cominciare proprio da quello smog burocratico, per usare le parole di Michele Ainis, in cui “tutto si annebbia e nessuno poi risponde di questo immobilismo che condanna il Paese allo stallo”. E che porta il dipendente pubblico a non firmare più. Meglio non fare nulla che sbagliare: il tripudio della burocrazia difensiva. Tanto l’omissione in atti d’ufficio non viene mai contestata.

Un tema sul quale abbiamo proposte precise e che è allo studio della Corte dei Conti, su impulso del Presidente Buscema, per definire un sistema di controlli preventivi pensato per agevolare il lavoro della pa, arrivando ad essere esimenti della colpa grave. Ma attenzione a non allungare nuovamente la filiera dei passaggi decisionali. Dobbiamo togliere, non aggiungere!

Occorre poi in parallelo riconfigurare il perimetro della responsabilità erariale e del reato di abuso ufficio che pesano, realmente o a volte anche strumentalmente, come un macigno sull’attività dell’amministratore pubblico. E poi è ora di definire una chiara linea di azione che affronti il tema, con esiti del tutto fallimentari finora per qualunque governo o maggioranza politica, di una vera riforma della pa.

Lo studio Ambrosetti sulla Pa ha calcolato che ogni anno le imprese sopportano un costo di oltre 57 miliardi (oltre 3 punti di Pil) solo per la gestione dei rapporti con la Pa. Lo spreco di risorse umane, male impiegate o poco formate, la sovrapposizione di competenze e la mancanza di professionalità adeguate in ruoli chiave della Pa si traduce in una crescita costante del tempo sprecato e quindi del ritardo nel rilasciare qualunque atto amministrativo, sia per interventi pubblici sia privati, come emerge chiaramente nella ricerca effettuata da Promo Pa e Università Tor Vergata su input dell’Ance, che dimostra come, riducendo le inefficienze amministrative, il Pil potrebbe registrare uno 0,5% in più ogni anno.

Tutto questo è anche il frutto dello spaventoso blocco del turn over che in questi anni sta colpendo soprattutto il Sud (‐15.000 dipendenti nei Comuni). Siamo dunque arrivati a un punto di non ritorno. È ora di cambiare veramente le cose e per farlo occorre una Commissione costituente con il compito di ridisegnare i meccanismi della catena decisionale dell’amministrazione.

Il Premier Conte circa dieci giorni fa ha dichiarato che sta lavorando a una riforma che porterà a ridurre la burocrazia. È un’ottima notizia. Noi siamo a disposizione con proposte e idee che scaturiscono dall’esperienza diretta di operatori a stretto contatto quotidiano con la pa. È ora di agire subito. Le conseguenze di questa mala gestio, infatti, come ben l’ha definita Raffaele Cantone, determinano anche il proliferare dell’illegalità.

Nel dossier presentato qualche giorno fa, dall’ormai ex Presidente dell’Anac sulla corruzione in Italia negli ultimi tre anni, tra le principali peculiarità riscontrate nelle vicende di corruzione esaminate negli appalti pubblici ci sono innanzitutto “affidamenti diretti ove non consentito, abuso della procedura di somma urgenza, gare mandate deserte, ribassi anomali…. inerzia prolungata nel bandire le gare… assenza di controlli, assunzioni clientelari” e tanto altro ancora.

Anche noi imprenditori, certo, abbiamo le nostre responsabilità. Ma abbiamo sempre la possibilità di scegliere tra alimentare il malaffare o seguire la strada della legalità. La scelta della legalità è obbligata e dobbiamo farla con convinzione e coraggio.

Come quella compiuta dal nostro collega Gaetano Debole, vicepresidente di Ance Enna. La sua storia è emblematica di come un imprenditore sia costretto a mettere in gioco la propria vita per denunciare il malaffare. Grazie a lui è stato possibile sventare un sistema corruttivo che teneva in scacco da anni il Provveditorato alle opere pubbliche di Palermo.

Un esempio chiaro e lampante di cosa voglia dire spesso essere un imprenditore edile: sempre in prima linea sul territorio, esposto a ogni tipo di rischio. Con un sistema del genere ci si sorprende poi che non si riesca a crescere. Qualcosa sta cominciando a muoversi, ma ancora troppo lentamente. Con una crescita dello zero virgola, secondo le previsioni del Governo, ci vorranno ancora 4 anni per tornare ai livelli pre‐crisi in Italia. Per il settore, di questo passo ne serviranno addirittura 22!!

Peraltro si tratta di uno zero virgola che, con molta probabilità, è determinato proprio dalla previsione, fin troppo ottimistica, secondo le nostre valutazioni, di un aumento di 3 miliardi della spesa per investimenti per opere pubbliche. E comunque i soldi pubblici da soli non bastano. Un grande piano per le infrastrutture sostenibili non può che coinvolgere anche risorse private.

Ma per favorire l’ingresso di capitali privati, come quelli degli investitori istituzionali, occorrono garanzie precise che solo lo Stato può fornire, come già avviene in molti Paesi europei. Una condizione necessaria per far decollare tanti progetti in Ppp che al momento sono bloccati. Qualcosa eppur si muove. A cominciare dagli investimenti locali: più 15% secondo quanto riportato nella Nota di aggiornamento del Def 2019: sono soldi già spesi non previsioni!

Un primo risultato che è anche il frutto delle nostre battaglie per superare uno scellerato Patto di (in)stabilità e avere programmi semplici che tagliano le procedure a monte, come il Piano spagnolo, finanziato dall’ultima Legge di Bilancio, anche se con solo 440 milioni contro i 3 miliardi proposti.

Ma il gap tra Nord e Sud è ancora troppo elevato: Pil ancora sotto del 10% rispetto all’inizio della crisi, ripresa degli investimenti al ralenti: tre volte meno del Nord. Senza una politica di vero rilancio dell’economia del Mezzogiorno l’Italia non potrà tornare a crescere.

Siamo penultimi in Europa per spesa (39 i miliardi ancora inutilizzati) dei Fondi strutturali e questa volta rischiamo che l’Ue se li riprenda. Eppure di cose da fare per rendere più competitivo il Sud ce ne sarebbero tante. Le infrastrutture al Sud sono un investimento sociale oltreché un’esigenza economica. A cominciare dall’AV: finché non arriverà anche a Reggio Calabria saremo ancora un Paese spaccato in due. È bene tenerne conto invece di procedere a mere valutazioni costi benefici.

Così come vanno affrontate, non solo in occasione delle ricorrenze le tante emergenze che affiggono i comuni colpiti dal sisma de L’Aquila e del Centro Italia. Oggi ricorrono i tre anni dall’ultima e rovinosa scossa ma siamo ancora completamente fermi! E come potrebbe essere diversamente se solo per portare via le macerie (non tutte peraltro) ci abbiamo messo oltre due anni!!!! E se questi sono i tempi per un’emergenza sociale e nazionale come quella della ricostruzione figuriamoci quali sono quelli per l’ordinario.

Anche in questi giorni non si fa che parlare di un grande piano di investimenti per le infrastrutture, ma sapete quanto passa prima che un investimento si trasformi in cantiere? Se non ci sono intoppi almeno 15 anni per un’opera medio grande e fino a 6 per una di piccole dimensioni. L’Anas impiega 5 anni per l’approvazione delle tre fasi progettuali.

È chiaro dunque che senza un’azione incisiva per snellire procedure, norme e processo decisionale tutte le buone intenzioni rimarranno sulla carta. Bene fa dunque il Presidente Conte a indicare in Palazzo Chigi il centro di coordinamento di questa priorità d’azione fondamentale per la crescita e il benessere del Paese. Aspettiamo ora i primi risultati.

Ed è qui che si misurerà la vera efficacia della Manovra finanziaria che è all’esame del Parlamento in questi giorni. Abbiamo apprezzato lo sforzo del Governo d’imprimere un’accelerazione ai programmi di spesa per investimenti e di prevedere nuove risorse per i contratti di programma Anas e Rfi, per la rigenerazione delle città e per interventi di edilizia sociale. Come sappiamo stanziare risorse non basta.

L’esempio più eclatante è quello dal Contratto di Programma Anas 2016/2020 (approvato a fine 2017 e aggiornato nel 2019): negli ultimi 3 anni, neanche la metà (il 47%) degli investimenti previsti è stata effettivamente realizzata.

Così come è inaccettabile continuare a caricare le imprese di adempimenti fiscali che ne drenano liquidità. Stiamo ancora pagando il prezzo dello split payment, che deve essere abolito al più presto visto che è in vigore la fatturazione elettronica, e ora ci viene richiesto un nuovo adempimento che obbliga le imprese ad anticipare soldi allo Stato. Quello stesso Stato che ci deve ancora pagare 8 miliardi di debiti, che gli sono costati ben 2 procedure d’infrazione presso la Ue.

Occorre dunque eliminare la previsione contenuta nel dl fiscale per la quale il versamento delle ritenute fiscali per i lavoratori dipendenti impiegati nei lavori venga effettuato direttamente dal committente. Senza pensare all’impatto che avrà anche sulle pubbliche amministrazioni. Escludendo, peraltro, la possibilità, di farlo mediante la compensazione con propri crediti fiscali!

Sacrosanto l’obiettivo di combattere l’evasione fiscale, ma senza penalizzare il sistema delle imprese con ulteriori incombenze. Chiediamo, quindi, al Governo un impegno immediato per ritirare questa misura.

Bene invece l’utilizzo della leva fiscale per favorire interventi sugli immobili esistenti di efficientamento e di messa in sicurezza sismica degli edifici che devono godere di un maggior lasso temporale per programmare ed eseguire interventi spesso complessi, altrimenti se ne vanifica l’effetto sia sociale che economico.

Dobbiamo superare la logica delle proroghe di anno in anno. È necessario dare certezza almeno fino al 2030 per gli incentivi più incisivi, rendendoli accessibili a tutti attraverso facili meccanismi di cessione del credito. Misure che vanno armonizzate con il nuovo bonus facciate per sfruttare al meglio, a seconda dei diversi contesti, le opportunità fiscali previste, senza perdere di vista il vero obiettivo che è quello di rendere più sicure e meno inquinanti le nostre città.

Lo sforzo di spendere risorse stanziate da anni a favore di un vero piano di edilizia sociale, come annunciato dalla ministra De Micheli, va nella giusta direzione. Occorre però inquadrare questi interventi in una più ampia azione a sostegno delle politiche abitative e di rigenerazione delle nostre città. Abbiamo una grande sfida da affrontare. E non possiamo perderla. In questo senso è senz’altro apprezzabile la previsione, contenuta nella Manovra di un grande piano d’investimenti sostenibili per 55 miliardi in 15 anni.

Ma ci vuole più coraggio, senza rimandare sempre all’anno successivo il maggior impiego di risorse. Per il 2020 è prevista la spesa di soli 690 milioni (l’1,1%)! Un’azione che è tanto più necessaria se vogliamo giocare un ruolo di primo piano nella nuova politica industriale che si sta disegnando in Europa e non solo.

Secondo l’economista americano, Jeremy Rifkin siamo agli albori di una terza rivoluzione industriale. “Costruire una nuova civiltà ecologica… richiederà uno sforzo collettivo che deve riunire Governo, economia e società civile per realizzare rapidamente l’infrastruttura a zero emissioni e portare l’umanità in un’era sostenibile”. Una grande svolta che impone un cambiamento radicale nei modelli di sviluppo economico sociale ai quali siamo abituati.

Noi imprenditori dell’edilizia e della lunga filiera dell’industria delle costruzioni dobbiamo essere gli attori del cambiamento e di una vera svolta verso il futuro. Non solo perché ben 15 dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile impattano direttamente con il nostro settore. Ma perché siamo convinti che senza sostenibilità non c’è futuro per le nostre città, per i nostri territori, per il Paese.

Se vogliamo veramente centrare questi obiettivi, occorre cominciare subito a superare la contrapposizione ideologica tra crescita e sostenibilità, che ha contribuito a ingessare i nostri territori condannandoli al degrado. Sviluppo e crescita sono un binomio indissolubile. Che dobbiamo perseguire con tutti gli strumenti possibili: risorse pubbliche e private, norme e misure fiscali orientate a favorire una vera sostenibilità e non a scaricare sulle spalle di qualcuno il peso di questo passaggio, un sistema di qualificazione delle imprese anche per il mercato privato. La sostenibilità non deve costare di più a cittadini e imprese: deve diventare conveniente!

Piano per una vera sostenibilità: 7 azioni per il futuro

Come Ance siamo convinti che la sostenibilità sia un obiettivo veramente raggiungibile e non solo un bel titolo da convegno. Per questo abbiamo elaborato delle prime linee d’azione che portiamo all’attenzione dei decisori pubblici e che vogliamo condividere con tutte le forze sociali e produttive che hanno a cuore il futuro del nostro Paese.

Agire per la sostenibilità significa rispondere alle esigenze delle persone, al loro bisogno di sicurezza, socialità, benessere, fiducia, lavoro. Significa semplificare la vita delle persone, eliminando i mille ostacoli sul loro cammino e favorendo l’ingresso dei giovani. Significa spostare il “paradigma” economico dal consumo all’investimento, eliminando le disuguaglianze e moltiplicando le opportunità. Dobbiamo quindi valorizzare il nostro settore per quello che rappresenta veramente: un formidabile motore di crescita sostenibile, sociale ambientale ed economica.

1. Le infrastrutture per la sostenibilità: manutenzione, messa in sicurezza, edilizia scolastica

L’Italia è un Paese fragile, con la metà delle calamità naturali di tutta Europa. È ora che sia sancita definitivamente l’esclusione delle spese di prevenzione, manutenzione e messa in sicurezza dal patto di stabilità. Questi sì che sono interventi green e sostenibili: ogni euro investito in misure di prevenzione ne fa risparmiare 4 per riparare i danni derivanti dalle calamità naturali e dai cambiamenti climatici! Sono anni che ci battiamo per convincere le istituzioni nazionali ed europee che questa è l’unica strada percorribile.

Troppo spesso invece si vive alla giornata. Come nel caso degli interventi in materia di rischio idrogeologico. Basti vedere quello che sta accadendo in queste settimane in Piemonte, Lombardia e Liguria con fiumi che esondano, interi quartieri in allerta e le infrastrutture per la messa in sicurezza ferme da anni. Ancora una volta per cavilli burocratici e stallo decisionale: è inaccettabile per un Paese civile!

Emergenze che vanno affrontate con una strategia incisiva e di ampio respiro. Dai piani pluriennali a medio lungo termine stiamo tornando agli elenchi annuali dei lavori, senza alcuna prospettiva e senza alcun coordinamento. Altra emergenza nazionale è quella dell’edilizia scolastica. Nonostante alcuni sforzi fatti in questi anni per risolvere l’estrema frammentarietà delle fonti di finanziamento e dei centri spesa il piano per le scuole innovative e sostenibili è praticamente lettera morta.

Gli amici di Cittadinanzattiva hanno calcolato che nell’ultimo anno ogni tre giorni in una scuola italiana c’è stato un crollo. E d’altronde solo il 27% degli edifici scolastici ha effettuato interventi di manutenzione negli ultimi 12 mesi.

2. Agenda Urbana per la sostenibilità

Intervenire sulle nostre città con una politica organica e con una visione strategica è altrettanto urgente e indispensabile se non vogliamo condannare i nostri centri urbani alla decrescita e al degrado. Chiediamo quindi che entro dicembre, il Governo approvi un’Agenda Urbana italiana come modello da portare in Europa. Favorire le trasformazioni urbane sostenibili è imperativo categorico!

Vi chiedo: è possibile affrontare le trasformazioni in atto, in termini di digitalizzazione dei consumi, di risposta ai bisogni delle persone con regole pensate per un mondo che, in gran parte, non esiste più? È possibile governare processi complessi, che vanno dalla ricucitura urbana alla sostituzione di sue intere parti, con un sistema di regole fissate nella logica dell’espansione urbana?

Per adattare le regole al mondo di oggi occorre superare la logica di norme vecchie di 50 anni: il dm 1444 del ’68 va profondamente rivisto e adattato alle nuove esigenze dell’abitare e del vivere in città. Occorre sancire la valenza e l’interesse pubblico della rigenerazione urbana che va favorita anche con l’individuazione di misure fiscali adeguate e stabili nel tempo.

Per promuovere la messa in sicurezza degli edifici, il “Sismabonus acquisti” deve diventare anche un “Sismabonus vendita”, riconoscendo un incentivo a chi cede case da demolire, a condizione che, entro 12 mesi, riacquisti una nuova casa adeguata alle attuali norme antisismiche. Bisogna contenere il consumo del suolo e rigenerare l’esistente con una normativa urbanistica che consenta di demolire il vecchio, trasformare aree  degradate e favorire un reale processo di sostituzione e di rigenerazione delle nostre città. Basta con i programmi miopi e le risorse con il contagocce. Serve una pianificazione chiara per tutto il territorio che coinvolga i grandi come i piccoli e medi centri urbani. A cominciare dalla nostra Capitale.

Ci vuole un grande patto. Uno sforzo da parte di tutti: politica, istituzioni, finanza, forze sociali e sindacali, per ritrovare le condizioni per competere ad armi pari con le altre capitali del mondo. Cominciamo quindi a individuare soluzionei concrete e a utilizzare gli strumenti che abbiamo. Se veramente vogliamo raggiungere l’obiettivo di edifici a emissioni zero entro il 2050, come indicato dall’Europa, allora dobbiamo muoverci!

Il 36% delle emissioni di Co2 e il 40% dei consumi di energia sono legati all’edilizia. Occorre dunque prevedere sconti fiscali per le case più efficienti – che consumano 4 o 5 volte meno della media di quelle vetuste e inquinanti – e che invece oggi sono fiscalmente penalizzate. Intanto un piccolo esempio lo diamo anche da qui oggi. È la prima Assemblea di un settore industriale in Italia a essere organizzata e progettata secondo criteri di ecosostenibilità, in modo da minimizzare l’impatto di CO2 e sostenere un progetto di riforestazione dell’Amazzonia grazie alla Onlus Save The Planet.

3. Un Patto per l’economia circolare

Serve un Patto per l’economia circolare nell’edilizia. Oggi i rifiuti derivanti da costruzione e demolizione rappresentano un terzo dei rifiuti prodotti in Europa. Eppure riciclare è ancora troppo difficile e costoso per le imprese. Siamo i primi della classe nel proporre soluzioni innovative e poi però siamo anche i primi che facciamo di tutto per ostacolarle.

Abbiamo prodotti e tecniche all’avanguardia, da valorizzare in una logica di filiera di eccellenza a livello europeo. Dev’essere premiato chi riutilizza i materiali e riduce l’impatto del proprio cantiere, non chi porta tutto in discarica. La filiera delle costruzioni, con i professionisti del settore e i produttori di materiali, può vantare eccellenze uniche al mondo: dobbiamo valorizzarle non penalizzarle!

4. Un contratto improntato alla sostenibilità e al bene sociale

Il contratto dell’edilizia è un esempio da seguire per tutti gli altri settori industriali in termini di sostenibilità. Un sistema bilaterale di welfare avanzato, formazione continua, servizi dedicati ai lavoratori. Un modello vincente ottenuto anche grazie all’impegno delle imprese, che deve essere tutelato. E invece avere un contratto di lavoro sostenibile costa di più. Ci aspettiamo un impegno concreto delle istituzioni per evitare la fuga dal contratto. Con la legge di bilancio dell’anno scorso, inoltre sono stati tagliati i fondi Inail dedicati alle imprese più virtuose che investono nella sicurezza dei lavoratori.

5. Normazione sostenibile

Occorre un sistema di norme chiare e facilmente applicabile. Scritte con un linguaggio comprensibile a tutti. Le leggi vanno tradotte dal burocratese all’italiano! Non c’è barriera più odiosa di quella che impedisce ai cittadini di capire quali sono i propri diritti e i propri doveri. Un intrigo di rimandi, commi, riferimenti incomprensibili spalmati su pagine e pagine che vanno decriptate come fossero un testo per iniziati.

Una normativa che prima di essere adottata passi al vaglio degli effetti economici che produrrà, secondo un principio adottato da anni dal legislatore ma mai veramente attuato.
Troppe norme producono danni ingenti e “imprevisti”, proprio perché carenti di un’analisi preliminare sulla loro sostenibilità, economica e sociale.

6. Un credito a misura di cittadino e impresa

Sul credito va rivista in modo sostanziale la politica finanziaria europea e di conseguenza le ripercussioni che questa ha avuto sulle scelte adottate dagli istituti di credito italiani. Invece di dare linfa all’economia reale, sostenendo le imprese, si è deciso di chiudere i rubinetti al settore. Emblema di questa politica finanziaria sbagliata è stata la decisione, maturata in ambito europeo, di spingere le banche a svendere in massa i crediti deteriorati, causando gravi danni al settore e non solo.

La grande accelerazione nella svendita di Npl, e adesso anche degli Utp, come abbiamo denunciato fin da subito, non mette solo a rischio la sopravvivenza delle imprese, che vedono i propri crediti ceduti a fondi speculativi, ma sta  determinando anche una forte svalutazione del mercato immobiliare e quindi del patrimonio delle famiglie.

Il Governo deve dunque svolgere una decisa azione di pressing in Europa affinché siano riviste al più presto le regole, insostenibili, disposte dall’Autorità bancaria europea e tornare a sostenere l’economia reale. In gioco c’è la tenuta di gran parte del nostro sistema socio‐economico.

Un credito orientato alla sostenibilità deve puntare infatti a premiare la qualità e allo stesso tempo a salvaguardare tutte le imprese che hanno potenzialità produttive, con attenzione al medio‐lungo periodo. Un primo passo è stato compiuto con il Fondo per la rinegoziazione dei debiti creato prima dell’estate con il decreto crescita, ma sono passati quasi 5 mesi e manca ancora il decreto attuativo per avviare l’operatività dello strumento. Occorre che il Mise intervenga subito. Allo stesso modo chiediamo grande attenzione e cautela da parte del Ministero nell’individuare i criteri per la definizione degli indici di crisi delle imprese ai fini delle nuove procedure d’allerta.

Siamo fortemente preoccupati del rischio che le nostre imprese, a causa delle grave crisi, con i nuovi alert vengano segnalate come potenzialmente insolventi. Occorre un periodo sperimentale, rinviando l’entrata in vigore dei nuovi indici che devono, inoltre, tenere conto della specificità delle imprese di costruzione per le quali l’eventuale squilibrio patrimoniale va valutato su più anni. Solo così si tutela la continuità aziendale delle nostre imprese.

7. Un settore aperto ai giovani e alle innovazioni

E poi c’è la questione giovani. Ci siamo ormai arresi a vedere i nostri giovani scappare dal nostro Paese in cerca di opportunità formative e lavorative all’estero. È come se un allenatore facesse di tutto per regalare i propri giocatori migliori alle squadre avversarie. In edilizia stiamo assistendo a un lento e inesorabile impoverimento delle professionalità e dei profili lavorativi. Serve un ricambio generazionale.

Quanti dei nostri figli vogliono continuare a fare il nostro lavoro? Dobbiamo rendere il nostro settore più attrattivo anche attraverso la previsione di programmi educativi e formativi al passo con le nuove esigenze professionali (vedi Bim) e misure dedicate ai nostri giovani perché possano tornare a credere che c’è un futuro per loro anche qui. Proponiamo quindi di istituire un bonus assunzioni per il nostro settore che favorisca l’ingresso di giovani professionalizzati. Attraverso un meccanismo di decontribuzione totale per 10 anni‐finanziato coi fondi strutturali europei riservato a neo laureati o diplomati under‐35 con formazione sui temi dell’innovazione e digitalizzazione.

Bene quindi fa il Fidec, il nostro Forum italiano delle costruzioni, a dedicare quest’anno un’intera giornata ai giovani per provare ad appassionarli al mestiere più bello del mondo: quello del costruire. Nel nostro settore l’innovazione è solo agli inizi. Per questo è necessario prevedere al più presto un Piano edilizia 4.0: perché in edilizia non c’è la fabbrica ma il cantiere. Se vogliamo migliorare la qualità dei processi e dei prodotti dobbiamo avere strumenti per le nostre imprese. Serve una piattaforma digitale nazionale per le costruzioni. Adattare modelli pensati per altri non funziona.

Qualcuno può pensare che parlare d’innovazione e di assunzioni quando ancora la crisi ci aggredisce, quando ancora molti di noi ogni giorno combattono con le angosce di chi non sa ancora se potrà tenere in piedi la propria azienda, se potrà pagare i propri dipendenti, non sia opportuno. Queste ansie le conosco, le preoccupazioni le vivo ogni giorno sulla mia pelle. Ma non possiamo smettere d’immaginare e di lottare per un futuro diverso. Non possiamo arrenderci a lottare per la sopravvivenza! Dobbiamo pretendere strumenti che ci consentano di crescere e di continuare a fare il nostro lavoro. Il mestiere più bello del Mondo.

Con questa convinzione faccio mia la frase del Premio Nobel per la pace e XXVIII Presidente degli Stati Uniti Thomas Woodrow Wilson: “Un uomo incapace di avere visioni non realizzerà mai una grande speranza né comincerà mai alcuna grande impresa”.

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