Punti di Vista | Virginio Trivella, Comitato Promotore Renovate Italy

I nuovi incentivi per i condomini

Incentivare i condomìni significa stimolare la riqualificazione degli involucri. Facciate e tetti ben isolati, serramenti nuovi (tutti, non solo quelli dei pochi appartamenti ristrutturati), sistemi di ventilazione. Il che, sommato a impianti di climatizzazione performanti (che già ora s'installano, quando si rompono), significa fare deep renovation. La novità è che, questa volta, il Governo sta dando prova di volerlo fare.
Virginio Trivella | Comitato Promotore Renovate Italy.
Virginio Trivella | Comitato Promotore Renovate Italy.

Potrebbero essere la prima attuazione della ratifica degli Accordi di Parigi.
Da  alcuni mesi dal Governo giungono segnali che testimoniano un maggiore interesse per una più efficace stimolazione delle attività di rinnovamento anche in chiave energetica dello stock immobiliare nazionale. Non possiamo che esserne felici: da sempre ripetiamo che c’è una quantità sterminata di cose da fare, a vantaggio di tutti, e che quel che serve sono alcune modifiche alle regole, che rendano il contesto normativo meno ostile agli investimenti.

Sono ben chiari gli impegni per la riduzione delle emissioni climalteranti che il nostro Paese ha sottoscritto, resi ben più impegnativi dagli accordi di Parigi che saranno ratificati, si dice, entro poche settimane. Soprattutto è ben presente l’evidenza di un Pil sempre debolissimo e di un settore, quello dell’edilizia, che le politiche correnti non riescono a rianimare.condomini

I richiami delle istituzioni europee a un più forte impegno nell’attuazione di strategie a lungo termine per la ristrutturazione profonda del parco nazionale di edifici si moltiplicano.

Il driver dell’efficienza energetica oggi però sembra un po’ in declino. Il mito che il risparmio energetico possa “pagare tutto” si sta dissolvendo di fronte alla dura realtà dei brevi tempi di ritorno a cui sono abituati gli operatori specializzati. Le ESCo, questi soggetti a cui alcune disposizioni di legge sembrano affidare un ruolo taumaturgico, quando si parla di deep renovation si dileguano.

Un’altra certezza comincia a scricchiolare: che l’ecobonus funziona benissimo e che quel che serve è la sua proroga, meglio la sua stabilizzazione. Chi non si ferma ai titoli ma va a leggere i numeri capisce benissimo che l’ecobonus non va per niente bene, se l’obiettivo è quello di cambiare per davvero le cose, e non solo dare una mano a questo o a quel settore industriale.

Se si vuole passare dalla logica del sussidio (aiutare chi è in difficoltà) a quella dell’incentivo (stimolare lo sviluppo) questo sistema va profondamente cambiato. Ripetiamo fino alla noia che bisogna rimuovere gli ostacoli con strumenti più adeguati.

La novità è che, questa volta, il Governo sta dando prova di volerlo fare.

Si sentono dichiarazioni sulla necessità di attivare i condomìni (sono un bacino gigantesco, altro che edifici pubblici), puntare sugli interventi completi, premiare i risultati, rendere più stabile il quadro. Sono dichiarazioni molto frammentarie, a volte anche un po’ contraddittorie e la stampa non riesce ancora a cogliere un disegno complessivo. Ma ci sono, e non si erano mai sentite.

Chiariamo bene una cosa: incentivare i condomìni significa stimolare la riqualificazione degli involucri. Facciate e tetti ben isolati, serramenti nuovi (tutti, non solo quelli dei pochi appartamenti ristrutturati), sistemi  di  ventilazione.  Il  che,  sommato  a  impianti  di  climatizzazione  performanti  (che  già  ora  s’installano, quando si rompono), significa fare deep renovation.

Il potenziale è vastissimo ed è stato quantificato, diversamente dai benefici che possono essere tratti: sviluppo, occupazione, ambiente, salute, sicurezza energetica. Si sa che ci sarebbero, ma non quanto varrebbero, in Italia, se si attuasse un vasto piano di riqualificazione dello stock immobiliare. Guardiamo allora fuori dai confini nazionali: solo sotto il profilo fiscale i dati ufficiali del sistema d’incentivazione tedesco mostrano che ogni euro pubblico investito genera entrate addizionali da 4 a 5 euro.

Alcune priorità non devono essere trascurate se l’obiettivo è fare per davvero, e in grande.

Certezza. Oggi gli incentivi sono incerti: dipendono dalla condizione fiscale presente e futura dei singoli contribuenti. Soprattutto quando si è in condominio, l’incertezza devasta ogni buona intenzione e fa prevalere chi ritiene, e sono tanti, che l’efficienza energetica non sia una priorità.

Appetibilità. Gli incentivi attuali sono poco sexy: sono fruibili in un periodo molto lungo, mentre le fatture vanno pagate subito. L’incertezza impedisce di coinvolgere la finanza privata, in modo organizzato, nel fare ciò che lo Stato non si può permettere di fare: anticipare le risorse. La certezza può invece trasformare l’incentivo in moneta sonante, che per il cittadino medio ha un appeal ben diverso da una detrazione decennale.

Convenienza. Bisogna che il meccanismo, basato sulla certezza, consenta di organizzare strumenti finanziari che costino il meno possibile. E renda possibili offerte che sarebbe stupido rifiutare.

Coerenza. Sconfiggere la concorrenza sleale tra incentivi. È deleteria perché induce a fare il minimo, e in questo minimo l’efficienza, in presenza dei nuovi severi requisiti minimi, non trova spazio. La differenziazione dei benefici (qualitativi e quantitativi) offerta dai vari incentivi è essenziale.

Semplicità. Non s’introducano troppe complicazioni. La formazione del consenso sulle decisioni di spesa in condominio è un processo lento, faticoso. Basta un niente per rinviare di un anno le decisioni. Le regole devono essere poche, chiare e certe.

Poco deficit. Fare in modo che gli incentivi non generino nuovo debito pubblico in misura incompatibile con i vincoli di bilancio. Ma è un vero problema questo? In realtà, già oggi per le ristrutturazioni, stiamo impegnando 15 miliardi all’anno sotto forma di detrazioni fiscali, e di questi solo 2,3 sono per l’efficienza energetica. Risolvere questo rebus non è poi così complicato come sembra: esistono soluzioni. Di alcune si parla, di altre non ancora. Quel che serve davvero è coerenza e coraggio, pari a quello di chi ha affermato che, dal punto di vista delle Finanze, “meno successo hanno gli schemi d’incentivazione, e meglio è”.

Allo Stato conviene.

A sostegno del mantenimento degli attuali incentivi si afferma che il meccanismo si autoalimenta e fa emergere il “nero”. È vero ma, in realtà, non vale per tutto ciò che viene sovvenzionato: molto sarebbe fatto anche senza incentivi. Quanti resterebbero senza riscaldamento quando si rompe la caldaia?

Il legislatore questo lo ha capito, e infatti i calcoli che si trovano nella relazione di accompagnamento delle Leggi di Stabilità degli ultimi anni tengono in conto degli “effetti correlati” solo al 25% della spesa indotta dal sistema di incentivi. In altri termini, solo il 25% degli investimenti incentivati costituirebbe maggior base imponibile per imposte dirette e indirette aggiuntive, in grado di compensare quelle a cui lo Stato rinuncia con le detrazioni.

Si può invece ragionevolmente sostenere che l’effetto indotto sulla base imponibile dalla stimolazione delle riqualificazioni profonde sia di gran lunga superiore, prossimo al 100%, perché la deep renovation è una cosa che oggi non fa praticamente nessuno. Se poi si considera che il moltiplicatore degli investimenti generato dall’edilizia è tra i più alti, se non il più alto, tra i settori produttivi, il gioco sembra fatto e permette di coprire completamente le detrazioni con le entrate generate dagli interventi di riqualificazione indotti.

Fallimento del mercato o opportunità?

C’è chi sostiene che chiedere incentivi equivale ad ammettere il fallimento del mercato. Ma con la riqualificazione profonda il mercato ha fallito. Sostenere che bisogna fare a meno degli incentivi è come teorizzare un’istruzione senza scuola pubblica o una sanità solo privata, senza convenzioni né assicurazioni. Certo che si può fare, ma solo se ce lo si può permettere (e se lo si ritiene utile).

Gli incentivi esistono, sono già utilizzati in gran quantità e non stanno facendo fallire lo Stato. Proviamo a usarli meglio, per creare un mercato di deep renovation vasto e ben organizzato. Riusciremo a generare Pil e occupazione, a diminuire i consumi di energia fossile e a migliorare l’aria delle città. Oltre a ridurre le emissioni climalteranti di cui alla gente non sembra interessare molto, soprattutto se deve pagare di tasca propria.

Sarebbe un provvedimento in assoluta coerenza con la ratifica dell’Accordo di Parigi appena approvata dal Consiglio dei Ministri.

Virginio Trivella, Comitato Promotore Renovate Italy

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