Punti di vista | Angelo Ciribini

I nuovi profili formativi per la gestione dell’ambiente costruito

(...) La centralità della tematica gestionale, rivisitata alla luce delle trasformazioni in atto vorrebbe che l’Accademia, insieme agli ITS, iniziasse a preoccuparsi di formare, oltre che i tecnici intermedi, o superiori che dir si voglia, una nuova classe dirigenziale per il settore dell’ambiente costruito, immaginando nuove strutture professionali e imprenditoriali. Il fatto è che negli atenei italiani la riflessione su questi fenomeni epocali risulta davvero scarsa.
Angelo Ciribini | Università degli Studi di Brescia.

È interessante osservare, all’alba del nuovo decennio, con riferimento al settore della costruzione e dell’immobiliare, come si rendano necessari nuovi profili formativi che, peraltro, richiedono di essere promossi al di fuori delle logiche amministrative e burocratiche prevalenti nell’Università, che, all’insegna dell’aziendalizzazione e della partecipazione, espresse impropriamente in forme deleterie, hanno oggettivamente impoverito la progettualità innovativa nella gestione dei corsi di laurea (e forse pure di dottorato) e rischiano di originare generazioni di studenti privi d’iniziativa autonoma e di senso critico, tratti così fondamentali sui mercati avanzati del lavoro professionale e imprenditoriale.

Non è un caso, peraltro, che il Settore Scientifico Disciplinare ICAR 11 Produzione Edilizia, giusto tenendo l’assemblea annuale di ISTeA presso il ministero competente, abbia messo in risalto le gravi carenze nell’offerta formativa, oltre che nella ricerca scientifica e nel trasferimento tecnologico, che riguardano lo sviluppo dei saperi gestionali nel settore specifico.
È evidente, infatti, tanto più alla luce dell’emersione dei fenomeni della digitalizzazione e della sostenibilità, che occorra rifondare, anzitutto, sotto il profilo delle scienze economiche e sociali, paradossalmente prima ancora che di quelle architettoniche e ingegneristiche (o almeno contestualmente a), il settore dell’ambiente costruito, non limitandosi certo a proporre percorsi formativi «professionalizzanti», pur utili, ma certo non risolutivi.
La stessa tardiva fortuna di cui inizia a godere, in termini didattici e certificativi, il Project Management nell’ambito della AECO Industry appare più un sintomo che non una soluzione.
È chiaro, dunque, che generici accenni ai «processi» e alla loro «gestione», attuali negli scorsi decenni allorché s’invocava una maggiore «managerialità» nella conduzione delle organizzazioni professionali e imprenditoriali, contraddetta sistematicamente dalla natura frammentaria di un versante dell’Offerta sempre più indebolito (per non dire di quello della Domanda), suonino spesso oggi vaghi e fumosi.
In ogni modo, si trattava, allora, da un lato, d’introdurre razionalità sistemiche che collidevano con l’intima essenza di un settore da sempre refrattario a un pensiero «industriale» che, in realtà, più che parlare di metodi costruttivi improntati ai paradigmi manifatturieri, s’ispirava a forme di «ottimizzazione» legate all’integrazione tra gli attori su diversi piani: tecnico, organizzativo, giuridico, sociale.
Per un comparto che progressivamente rifiutava l’industrialesimo nella professione e che favoriva l’esternalizzazione nell’imprenditorialità, il deficit appariva prevalentemente «culturale».
D’altra parte, le materie economiche e quelle giuridiche nei percorsi formativi delle Scuole di Architettura e di Ingegneria hanno quasi sempre svolto ruoli complementari nel migliore dei casi: così come, invero, quelle legate all’informazione.
Soprattutto, tuttavia, il settore della costruzione e dell’immobiliare era sempre più percepito, dagli studiosi delle scienze economiche e sociali, come eccentrico e, di conseguenza, scarsamente meritevole di peculiare attenzione, se non per sottolineare modelli inefficienti. Di tutto ciò, però, oggi importa relativamente, poiché ci si riferisce a un ambito che si potrebbe definire «tradizionale».
Il punto è, infatti, che le nozioni aggiornate di «ambiente costruito» e di «nuova industrializzazione», di cui così spesso attualmente si discetta, impongono d’immaginare strutture professionali e imprenditoriali inedite, capaci davvero di promuovere operazioni di rigenerazione urbana connotate da «intelligenze» ibride e distribuite, da una con-fusione di genere tra tipologie di operatori e di manufatti.
Le distinzioni tra «professionalismo» e «imprenditività» oppure tra «edificio», «infrastruttura» e «rete», ovvero tra «distretto» e «agglomerazione», sono, in effetti, destinate ad attenuarsi, alla stessa stregua di quelle tra «prodotto» e «processo» ovvero tra «cespite» e «servizio».
La questione è che la pervasività delle dimensioni tipiche della circolarità, della decarbonizzazione, della digitalizzazione, tendono a ridurre le soluzioni di continuità, mettendo in relazione diretta (dis-intermediata) la possibilità di comprendere e di prevedere singolarmente le esigenze dei singoli utenti dell’ambiente costruito, le loro azioni, i loro movimenti e le loro interazioni «virtuose» (a elevato valore aggiunto e con alto margine di profitto) con i beni immobiliari e infrastrutturali.
La centralità della tematica gestionale, rivisitata alla luce delle trasformazioni in atto, non per nulla, vorrebbe che l’Accademia, insieme agli ITS, iniziasse a preoccuparsi di formare, oltre che i tecnici intermedi, o superiori che dir si voglia, una nuova classe dirigenziale per il settore dell’ambiente costruito, immaginando nuove strutture professionali e imprenditoriali. Il fatto è che negli atenei italiani la riflessione su questi fenomeni epocali risulta davvero scarsa.
Angelo Luigi Camillo Ciribini, eLux Lab, Università degli Studi di Brescia e CCLM

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