Costruire in Laterizio | Speciale Cupola del Brunelleschi

Il dispositivo a spinapesce: attualità e futuro della tecnologia costruttiva brunelleschiana

La letteratura su Brunelleschi ha tramandato una tecnica per la posa di mattoni a ‘spinapesce’ utilizzata per costruire cupole a volta autoportanti senza ricorrere a telai o casseforme di supporto. Lungo quasi due secoli la tradizione costruttiva fiorentina ha perfezionato e utilizzato ampiamente questa tecnologia.

(Cil 176) – Nel quarto decennio del Cinquecento, Antonio da Sangallo il Giovane ha disegnato il modello di questa procedura costruttiva e l’ha utilizzata in importanti opere. Questo articolo vuole mettere a fuoco i principi e le regole che stavano alla base di una tecnica allora tanto efficiente quanto poi dimenticata e misconosciuta: ed è proprio a partire da alcune opere dei Sangallo che siamo partiti per meglio comprenderla.

Sebben questa tecnologia venne abbandonata, oggi essa potrebbe tornare di grande attualità e persino innovativa dal punto di vista della sostenibilità.

Il ridisegno tridimensionale delle orditure dei laterizi di queste strutture spesso nascoste sotto gli intonaci, apre un campo di studi in gran parte inedito. A differenza delle canoniche rappresentazioni prospettiche o assonometriche, grazie ai moderni programmi di modellazione in 3D è possibile analizzare le condizioni di equilibrio legate a condizioni di reciprocità e di continguità tra i singoli elementi di laterizio che garantiscono la staticità di queste coperture voltate in condizioni di semplici sforzi di compressione e dei loro carichi. Ci troviamo davanti a un problema e a una tecnologia antica ma carica di suggestioni per lo sviluppo di applicazioni future.

Documento: II 1 74, c. 41 – Codice documento O0201074.041b – Tratto da: Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Consultabile online

La tradizione brunelleschiana

L’ingegnoso metodo brunelleschiano per voltare le cupole senza utilizzo di casseri, diffusosi in Toscana e nell’Italia Centrale con le opere dei Sangallo, può oggi tornare al centro dell’interesse dei progettisti proprio nella prospettiva di quella auspicabile innovazione che sempre più trova le ragioni della propria sostenibilità nel rapporto tra una tecnologia capace di integrare gli strumenti di calcolo e di rappresentazione più sofisticati della nostra modernità con quella tradizione della capacità costruttiva dell’uomo che dobbiamo valorizzare e saper riconoscere nel pensiero e nell’azione della storia e di coloro che ci hanno preceduto.

La manualistica architettonica colloca questa particolarissima orditura di posa tridimensionale dei mattoni “a spinapesce” tra gli esempi più stupefacenti della tradizione tecnologica e ne celebra le caratteristiche e la notorietà proprio nel fatto che essa permette di voltare le cupole senza l’utilizzo di casseri, eliminando cioè le centine di sostegno temporanee, con grande risparmio di materiali e realizzando quindi una economia esecutiva.

A dare fascino e senso del mistero a questa tecnologia contribuisce inoltre il mito della genialità di Brunelleschi, tanto che tutte le guide di Santa Maria del Fiore a Firenze, danno massimo risalto a questa “invenzione brunelleschiana” descrivendola come la caratteristica più significativa della costruzione della grande Opera fiorentina.

Quella di Filippo Brunelleschi fu certo una proposta tecnica così fuori dagli schemi della tradizione gotica e la sua proposta fu così economicamente determinante che l’Opera del Duomo, ben sei secoli fa, proprio nel mese di ottobre del 1418, non ebbe dubbi ad affidargli i lavori di edificazione della Cupola, scegliendolo tra una rosa di dodici maestri invitati da tutta Italia a fornire la soluzione esecutiva e il completamento di quel progetto che Arnolfo di Cambio oltre un secolo prima aveva lasciato ai suoi continuatori [1].

Non si trattava di una scelta formale o tipologica quella che l’Opera del Duomo fiorentino aveva sottoposto al concorso, ma di individuare la soluzione costruttiva per un problema strutturale di così eccezionali dimensioni come non era mai stato affrontato nella storia dell’umanità.

Le volte tonde di mezzane

La scelta fatta è ben documentata sei secoli fa nei registri dell’Opera fiorentina (fig. 1) dove si fornisce anche puntuale descrizione del tipo e dell’acquisto dei mattoni necessari a realizzare un modello costruttivo atto a dimostrare la validità della proposta.

Si legge infatti nei registri alla data del 26 ottobre 1418 di una spesa di Lire 121, 9 soldi e 4 denari per l’acquisto dal fornaciaio di via Ghibellina di 13.725 mattoni e mezzane “pro modello Filippi ser Brunelleschi”.

I mattoni lasciati a vista e senza intonaco ben visibili negli anditi e sulle pareti dell’intercapedine tra le due calotte sembrano voler testimoniare nel modo più palese e quasi con l’evidenza di un manifesto progettuale, la realtà e la concreta applicazione di tale tecnica costruttiva.

Sono trascorsi da allora sei secoli, ma malgrado tale evidenza la letteratura tecnica ancora avanza a proposito ipotesi e tesi contrastanti, interpretando nei modi più diversi la procedura costruttiva e l’equilibrio strutturale connesso a tale orditura di posa dei laterizi.

Le incertezze letterarie che ancora avvolgono questa tecnologia costruttiva sono ancora tali che nella concezione della “spinapesce” sembra doversi leggere il mistero di mirabolanti pratiche medioevali, o di indescrivibili genialità creative [2].

La pratica costruttiva dei Sangallo

Eppure oggi siamo tutti consapevoli che, ancora molti anni dopo la morte di Brunelleschi, tale pratica muratoriale veniva usualmente praticata e persino sembra essere stata notevolmente perfezionata lungo tutto il secolo XVI proprio per essere utilizzata in numerose coperture voltate.

Ne ritroviamo infatti riscontri e testimonianze in molte architetture realizzate soprattutto in Toscana e nel Lazio: leggiamo la struttura della “spinapesce” nelle volte della Fortezza Vecchia di Livorno, dove nel 1521 Antonio da Sangallo il Giovane realizza all’interno del Bastione di Santa Barbara una volta emisferica con apparecchiatura a spinapesce ad andamento sinistrorso, e la ritroviamo a Firenze nella volta ottagonale che copre la Sala d’Armi della Fortezza da Basso.

Negli anni Trenta del Cinquecento, Sangallo il Giovane realizza con questa tecnica costruttiva la cupola della chiesa di Santa Maria in Ciel d’Oro a Montefiascone (Viterbo). La troviamo nel 1484 nell’orditura dei laterizi delle volte nella chiesa di Santa Maria della Pietà a Bibbona.

Prima ancora, all’interno del Bastione dell’Aventino a Roma; appare in modo sorprendente in Vaticano all’intradosso lasciato senza intonaco nell’ “ottagono” di San Pietro dedicato a Simon Mago, dove le spinapesce ordiscono un decoro di losanghe di lossodromie contrapposte [3], le stesse di cui Antonio da Sangallo il giovane disegna con esattezza ogni mattone nel disegno conservato al Gabinetto degli Uffizi n. 594469. Persino Vasari, nelle “Vite”, ricorda come lo stesso Michelangelo avesse pensato a questa tecnologia per voltare la cupola della Basilica romana, ma la presenza delle spinapesce è registrata anche nella cupola del Calcinaio a Cortona (Arezzo) con orientamento diverso da Santa Maria del Fiore; nella cupola della Madonna del Sasso a Bibbiena (Arezzo); nella crociera di San Lorenzo a Firenze; nella calotta esterna di Santo Spirito a Firenze; nella crociera di San Sebastiano in Vallepiana a Siena; nella crociera di Santa Maria Nuova a Cortona. A queste opere ben note andrebbero poi aggiunte moltissime altre situazioni dove la presenza degli intonaci rende difficile ricostruire l’esatta orditura dei laterizi.

Il particolare costruttivo di Antonio da Sangallo il Giovane

Uno studio particolare meriterebbe la cupola della basilica della Santa Casa di Loreto (Ancona) per il coinvolgimento di numerose maestranze da Giuliano da Sangallo fino ad Antonio il Giovane, dove i brevi tempi di realizzazione, la leggerezza richiesta per la criticità dei pilastri di sostegno e la stessa preesistenza della “Santa Casa” indicherebbero l’uso di questa tecnologia per quanto non accertabile per la presenza degli intonaci.

Comunque, al di là di ogni verifica possibile o ancora da compiere sulla effettiva diffusione e presenza di questa tecnica di orditura dei laterizi nelle cupole quattro e cinquecentesche, la tesi che qui si vuole dimostrare, è che tale tecnologia fosse ben definita e conosciuta soprattutto in ambito fiorentino, ma in modo particolare come competenza specifica e gelosamente conservata dalla famiglia dei Sangallo, nasce dal disegno n. 639051 (1330 900A) (fig. 3) conservato nel Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi; un disegno generalmente attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane, che in tal senso dovrebbe essere datato ai decenni centrali del secolo XVI, nel disegno sono riportate con segno molto chiaro, in pianta e sezione, le tracce di tale “orditura di posa” e a maggior evidenza con in calce una didascalia esplicativa che recita: “Volte tonde di mezzane quali si voltano sanza armadura a Firenze”.

Questo disegno, citato per la prima volta da Pietro Sampaolesi, poi da Ludovico Ragghianti, e da Howard Saalman, e in seguito ripreso da quasi tutti i commentatori viene comunemente riferito al metodo di orditura brunelleschiano per Santa Maria del Fiore, fino ad affermare che sulla destra dovrebbe appunto leggersi lo spaccato a doppia calotta della cupola fiorentina.

2. Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi n. 639051. Rappresentazione della spinapesce, disegno attribuito a
Sangallo il Giovane.

Osservando meglio il disegno (fig. 2), che peraltro sulla sinistra riporta una pianta della Chiesa di Santo Spirito, sotto la parte centrale con l’orditura in pianta dei mattoni è chiaramente scritto “Volta tonda di mezzana quali si murano senza armatura …. a Firenze”.

Il disegno si compone poi di due parti: una pianta e una sezione. Il disegno in pianta mostra l’allineamento a spirale che i mattoni posati verticalmente assumono nella loro rappresentazione sul piano. In realtà si tratta di una linea spirale tridimensionale, la lossodromia, una spirale la cui doppia curvatura può essere meglio rappresentata in un modello tridimensionale o utilizzando metodi proiettivi più complessi.

Ciò che ci interessa evidenziare in questo  breve scritto è una lettura di quella parte che è sempre stata meno osservata del disegno Uffizi n. 639051  attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane.

A destra del foglio è infatti disegnata una “sezione” che molti storici e analisti hanno considerata lo schema della doppia calotta della cupola fiorentina. Valga per tutti il saggio di Mario Docci – Le volte autoportanti apparecchiate a spinapesce – alle p. 383 “Le Cupole Murarie. Storia, Analisi Intervento”, a cura di paolo Rocchi, Roma, dove si afferma: “Sul disegno è riportata una scritta che dice ‘Volte tonde di mezzane quali si voltano senza armadura a Firenze’ e inoltre vi è una sezione verticale di una cupola a doppia calotta che sembra voler rimandare alla cupola del Brunelleschi o comunque a una cupola a doppia calotta.” [4].

Interpretazione o fraintendimento del disegno

In realtà basta osservare meglio questa “sezione” per rendersi conto che non può trattarsi di una sezione di cupola a doppia calotta. La scala stessa dei mattoni posti all’intradosso di taglio e quelli piani messi all’estradosso sono il primo indizio che la rappresentazione riguarda una muratura voltata, realizzata con doppio corso dei laterizi e con uno schema di posa particolare.

Certamente, i mattoni all’intradosso, sono posti di taglio, tangenti ai meridiani, sono posati secondo un allineamento radiale convergente sull’asse centrale di rotazione e sembrano ben rappresentare la successione dei mattoni che affiancati e sfalsati fra loro costituiscono la spirale lossodromica della spinapesce.

Questi mattoni posati in verticale re- stano ben serrati nella posa dei corsi sottostanti e sporgono dai piani di posa costituendo dei bordi sui quali si appoggiano i mattoni posati tangenzialmente ai paralleli della cupola. Possiamo immaginare che la “spinapesce” costituisca proprio quel dispositivo che descrisse lo stesso Leon Battista Alberti nel suo trattato (“De Architettura”, Libro III cap XIV) dove parla espressamente delle cupole realizzabili senza armature, ove esse siano “realizzate in […] cerchi […]. ben ammorsati tra quelli inferiori e superiori”.

Diversa è invece la posizione orizzontale o sub-orizzontale dei mattoni che vengono posati tra i corsi successivi della spinapesce. Già in altri articoli e studi gli autori di questo articolo hanno affrontato il problema e rimandiamo per molti aspetti ai riferimenti citati in bibliografia [5 – 6], ma la corrispondenza con la realtà costruttiva delle affermazioni fatte sopra emerge chiaramente con l’evolversi di questa tecnologia e con il suo perfezionarsi in una pratica costruttiva più veloce e più efficiente dal punto di vista strutturale cosi come appare nelle opere cinquecentesche di Antonio da Sangallo.

Vi sono infatti almeno due cupole che, essendo ancora prive di intonaco all’intradosso, mostrano con evidenza come si fosse evoluta nel giro di un secolo questa “invenzione bunelleschiana” fino a diventare una diffusa e usuale tecnologia costruttiva: quella tecnologia che appare appunto chiaramente descritta nel d segno sangallesco della figura 2.

La più nota e significativa applicazione di questa tecnologia della ‘spinapesce’, che ormai non chiameremo più “brunelleschiana” ma “sangallesca”,  è la cupola per uno dei quattro Ottagoni della Basilica di San Pietro a Roma, quello dedicato a Simon Mago, già oggetto di studio da parte di Giuseppe Zander [3], e di cui riportiamo qui di seguito, in figura 4, il di- segno originale sempre conservato nel Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi al n. 594469 attribuito anch’esso ad Antonio da Sangallo il Giovane.

3. Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi n. 594469. Rappresentazione di una cupola emisferica realizzata con la spinapesce. Disegno attribuito a Sangallo il Giovane.

San Pietro in Ciel d’Oro a Montefiascone

Gli autori di questo articolo non hanno ancora potuto analizzare nello specifico la cupola di San Pietro peraltro studiata e riprodotta dallo Zander, ma hanno potuto studiare quella per molti aspetti analoga della chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro a Montefiascone che, come la prima, ha la particolare caratteristica di essere priva di intonaco all’intradosso.

Durante un sopralluogo con gli studenti dell’Università di Bergamo, è stato effettuato un rilievo fotografico e una indagine conoscitiva che ha evidenziato la regola geometrica di posa dei mattoni, il ritmo costante e l’esattezza dei nodi agli incroci delle spirali (fig. 4) e ne è stato impostato un modello tridimensionale per metterne in evidenza le caratteristiche meccaniche.

Anche questa Cupola di Montefiascone, è stata progettata e realizzata alla metà del Cinquecento su disegno di Antonio da Sangallo il Giovane e, come quella di Simon Mago a San Pietro, testimonia il massimo livello di perfezionamento e semplicità costruttiva al quale era pervenuta questa procedura esecutiva con l’uso della tecnica della spinapesce.

Innanzitutto le spirali lossodromiche, rispetto alla tipologia brunelleschiana, vengono ora raddoppiate (figg. 4, 5), in un disegno compositivo che presenta un corso di mattoni posati lungo una spirale lossodromica non solo con andamento destrorso, ma anche sinistrorso.

Queste due orditure, incrociandosi, vengono a delimitare delle losanghe romboidali tridimensionali di superfici sferiche, sulle quali sono posati e contenuti i corsi dei mattoni sub-orizzontali che anch’essi hanno un andamento curvo. La geometria, apparente- mente complessa da descrivere, nasce invece dalla successione dei corsi orizzontali e dalla geometria semplice della loro giacitura: ripartizione di ogni lato dell’ottagono con corsi orizzontali interrotti da mattoni posati ‘a coltello’, dove la misura del mattone e i rapporti proporzionali tra le dimensioni vincolano e definiscono la geometria stessa della lossodromia.

4. Cupola di Santa Maria in Ciel d’Oro a Montefiascone. In evidenzia le linee di posa della spinapesce. Immagine prodotta dagli studenti Andrea Parsani,Marco Morandi e Marco Pasta.

I mattoni posati a coltello lungo i meridiani della cupola disegnano così una doppia spirale lossodromica che continua anche oltre gli spigoli degli spigoli ottagonali.

In realtà la cupola pur apparendo ottagonale è derivata da una cupola di rotazione emisferica e la struttura ottagonale è ottenuta sul tracciamento dalle ‘stagge’ fissate come ‘regole di elevazione’ agli spigoli verticali della muratura voltata, negli angoli cioè di quell’ottagono di base costituito dalle pareti di base di pie dritto.

Materialmente la cupola viene e deve essere realizzata per anelli concentrici continui e sovrapposti, a partire dal muro ottagonale di imposta, mentre la forma voltata è ottenuta allineando in verticale questi anelli concentrici di muratura mediante ‘stagge curve‘ posate all’interno degli spigoli dell’ottagono.

Era questa una procedura già nota, e utilizzata dallo stesso Brunelleschi in Santa Maria del Fiore dove di queste ‘stagge’ è rimasta traccia e in recenti restauri sono state anche ritrovate, annegate nell’intonaco, le regge che le sostenevano e fissavano [7].

Una ipotesi strutturale

Nell’indagine che qui documentiamo abbiamo anche voluto introdurre,  sia pur sommaria- mente, il problema statico individuando le linee di concentrazione degli sforzi e le direzioni lungo cui si muovono i carichi e le sollecitazioni interne della struttura cupolata.

I corsi di mattoni sub-orizzontali compresi tra i mattoni verticali delle spinapesce, possiamo dire che lavorino strutturalmente come archi o piattebande, trasferendo ai mattoni posati ‘a coltello’ tutti i carichi propri e tutte le sollecitazioni di equilibrio; a loro volta è nella continuità di questi mattoni posati lungo la linea della spirale lossodromica che tutto il peso viene portato all’imposta stessa della cupola direttamente sui muri ottagonali di piedritto.

Le considerazioni qui svolte acquistano tutto il loro significato e la semplicità della procedura costruttiva appare evidente quando la leggiamo alla luce delle indicazioni grafiche contenute nel disegno Uffizi n. 639051 (fig. 6).

5. Particolare della cupola di Santa Maria in Ciel d’Oro a Montefiascone. In evidenzia il nodo di
intersezione formata dall’ incontro tra le due traiettorie della spinapesce (Disegno di A. Parsani, M
Morandi e M. Pasta).

Se ci dimentichiamo d’interpretarlo, come troppo spesso è stato fatto, come schema di una cupola a doppia calotta, emerge con chiarezza come la struttura a spinapesce venga essa stessa ad assumere un ruolo di cassaforma poiché in grado di autosostenersi.

I mattoni orizzontali posti nello strato extradorsale della cupola (quella che generalmente è stata letta come calotta esterna) oltre alle malte e allo spessore decrescente verso l’alto contribuiscono poi e sono determinanti proprio con il loro peso alla stabilità generale della struttura voltata.

Appare così chiaro perché nel disegno citato degli Uffizi, il paramento all’estradosso sia composto solo da mattoni posti quasi in orizzontale (come se fossero ‘embrici’ o tegole piane), mentre del paramento all’intradosso viene chiaramente evidenziato l’allineato al centro della cupola e la centralità dell’asse di rotazione della struttura voltata.

Dal mattone alla spirale lossodromica: una geometria proporzionale

Resta da approfondire il significato costruttivo che ha in questa tecnologia l’uso dei mattoni cosiddetti “mezzane”: un tipo di mattoni di media grandezza, di misure che variano anche notevolmente da luogo a luogo, ma che come dato di riferimento comune hanno il fatto di presentare un rapporto semplice tra la le dimensioni: ½ tra spessore e larghezza, ½ la larghezza e lunghezza. Sono queste le proporzioni che compaiono nei mattoni che il Sangallo disegna nel foglio citato degli Uffizi. Il G. C.

Romby, in: “Misure e Proporzioni dell’architettura nel tardo quattrocento. Materiali da costruzione Materiali da costruzione e misure dell’edilizia fiorentina”, Firenze, 1996, pp. 38-39, riporta come nello Statuto dell’Università dei fabbri- canti, 1544-1568, [8] esistano le specificazioni delle forme standardizzate delle mezzane.

Riportando in centimetri tali grandezze, che lo statuto definisce in ‘bracci’, ‘punti’ e ‘denari’ fiorentini, sembra  venire confermato che la dimensione dei mattoni utilizzati per tali strutture, le cosiddette ‘mezzane’ citate dal Sangallo, risulterebbe essere molto simile a quella dei mattoni tradizionali ancora in uso oggi di circa cm 6x12x24.

Si tratta cioè di mattoni in cui più delle misure dimensionali assolute sembra essere determinante, ai fini proprio della loro orditura a ‘spinapesce’, il rapporto proporzionale che lega tra loro le dimensioni: 1/2/4.

Conclusioni

La letteratura critica brunelleschiana ha tramandato e ampiamente celebrato quella tecnica di posa dei mattoni, con orditura cosiddetta “a spinapesce”, che lo stesso Brunelleschi avrebbe inventato o, quanto meno, messo a punto desumendola da antichi monumenti, e utilizzandola in maniera tanto sorprendente e innovativa nell’opera di Santa Maria del Fiore, secondo una procedura costruttiva che rimase a lungo celata nei segreti professionali della tradizione muratoriale fiorentina per realizzare cupole autoportanti voltate senza l’ausilio di centine e di casseri di sostegno.

La tecnica richiedeva una sofisticata competenza nei tracciamenti e nelle procedure esecutive, così con la fine del secolo XVI, si perse completamente la sua applicazione e la sua pratica costruttiva venne dimenticata. Lo schema di posa restò a indicare una giustapposizione di mattoni non meglio definita ma geometricamente disposti secondo allineamenti divaricati nelle due dimensioni del piano; venne dimenticato, tuttavia, il ruolo strutturale che assumevano i mattoni nella collocazione tridimensionale della cupola.

Trascurando del tutto quella “terza dimensione” spaziale si perse anche l’uso di quella famosa “squadra a tre braccia” che Brunelleschi chiamava il gualandrino, una sorta di leggendario strumento sempre citato nella letteratura brunelleschiana che nessuno ha mai saputo descrivere ma che probabilmente serviva per disporre correttamente i mattoni nello spazio, su piani di posa allineati secondo le tangenti dei meridiani e dei paralleli della superficie di rotazione, e realizzando quella indispensabile e necessaria ammorsatura tridimensionale che consente di realizzare l’equilibrio dei mattoni stessi nella geometria a doppia curvatura della cupola.

Ecco, la tesi che qui si vuole enunciare nasce proprio da questa palese notorietà e diffusione di una tecnica costruttiva che per almeno due secoli informa i progetti costruttivi dell’architettura rinascimentale e che a un tratto scompare da ogni manualistica, superata a sua volta da tecnologie costruttive più leggere e quindi più economiche.

Ma oggi, forse, studiare strutture che si autosostengono in funzione di una ricerca formale specifica e di una particolare geometria di allineamento dei singoli elementi accostati tra loro per semplice sollecitazione di compressione, certo può introdurre nel mondo della produzione edilizia una suggestiva ricerca di innovazione e una sostenibilità anche legata all’uso di materiali antichi e tradizionali come il laterizio, legati profondamente alla materialità della terra, ma integrandoli in quella ricerca di forme e di architetture della modernità, affiancando potenti gli strumenti di calcolo ai pensieri più immaginifici di quei maestri che ci hanno preceduto.

Attilio Pizzigoni,
Professore associato, Dipartimento d’Ingegneria e Scienze Applicate
Università di Bergamo
Vittorio Paris
ph.d. student, Dipartimento d’Ingegneria e Scienze Applicate
Università di Bergamo

Riferimenti bibliografici

[1] S. Di Pasquale, Brunelleschi: La costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore, Marsilio,  Venice, 2002.
[2] M. Haines, Myth and management in the construction of Brunelleschi’s Cupola, I Tatti Studies in Italian Renaissance, vol. 14 (2012), 47-101.
[3] G. Zander, Gli ottagoni di San Pietro riconosciuti nel dis. Arch. Uff. N.1330, Palladio, no. 1 (1988), 67-82.
[4] M. Docci and R. Migliari, La costruzione della spinapesce nella copertura della sala
ottagonale di Simon Mago nella fabbrica di San Pietro, Palladio, no. 3 (1989), 61-72. [5] A. Pizzigoni, Brunelleschi’s  Bricks, IASS Journal, Vol 56 (2015), no. 184, 137-14. ISSN: 1028-365X.
[6] V. Paris and A. Pizzigoni, The Hidden Structure. A likely hypothesis for Florentine Dome: the  three-dimensional model of the herringbone warping of the bricks and their ordering in space,  Structural, no. 205 (2016). DOI
10.12917/Stru 205.14
[7] R. Della Negra, La cupola del Brunelleschi: il cantiere,le indagini, i rilievi, in Cupola di SantaMaria del Fiore. Il cantiere di restauro 1980-1995, Acidini Luchinat C. and Dalla Negra R. (ed.),1995, 1-45.
[8] G. C. Romby, Misure e Proporzioni dell’architettura nel tardo quattrocento. Materiali da
costruzione e misure dell’edilizia fiorentina, Alinea, Firenze, 1996.

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