Punti di Vista | Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

Il ponte di Genova da Morandi a Piano, un miracolo esecutivo o un banale errore di progettazione?

Abbiamo rilevato come per costruire il viadotto si è sospeso il puntiglioso diritto in vigore, si sono scavalcate le norme e le cautele che bloccano tutti gli altri operatori e si sono scelte, con criterio fiduciario, competenze e capacità realizzative, a discapito della concorrenza. Ora un banale errore avrebbe vanificato una buona parte di queste deroghe, restituendo al pubblico un’opera meno efficiente della precedente! Che qualcuno voglia indurci a credere che snellimenti e semplificazioni sono pericolosi, anzi impossibili da gestire e che quindi è meglio non toccare le norme bizantine e lasciare come stanno i relativi poteri di controllo?

Il progetto di Renzo Piano del nuovo viadotto di Genova sortì come il classico coniglio dal cilindro, poco dopo il crollo e anche per questo esprimemmo le nostre riserve su queste pagine, già nel settembre 2018.

Non ci spiegavamo come potesse essere data per scontata la demolizione del ponte di Morandi, che era una meraviglia ingegneristica del XX secolo, che rivestiva un forte ruolo urbanistico, caratterizzava il paesaggio ed era testimonianza della capacità innovativa ed esecutiva dell’Italia, nella stagione della sua affermazione internazionale tra i paesi sviluppati.

Ma nel momento del disastro si verificò una grande confusione e la legittima carica emotiva dell’opinione pubblica portò a rendere l’incolpevole ponte di Morandi, simbolo di quella cattiva amministrazione e trascuratezza, che ci perseguitano da troppo tempo.

Inoltre, vedemmo come un pericolo il fatto che il progetto di fattibilità fosse stato donato. Il dono ha impedito un concorso di progettazione e quindi l’acquisizione di un’idea geniale come lo fu l’opera sostituita, ma soprattutto ha contribuito a radicare nella mentalità degli italiani, la convinzione che il progetto non ha un valore venale e con esso tutta l’attività intellettuale ed artistica.

Una convinzione che ha ancora rovinose ricadute sui compensi dell’attività di tutti i giorni degli architetti e degli ingegneri, ma anche degli artisti in generale.

Infine, non ci convinse nemmeno lo sbrigativo superamento di tutti i vincoli procedimentali che vigono per l’assegnazione degli incarichi professionali e degli appalti di costruzione; quegli stessi vincoli che sono invece ineludibili per tutte le imprese appaltatrici e tutti gli ingegneri e gli architetti italiani, che sostengono spese e fatiche spropositate, per concorrere su opere incomparabilmente minori, dovendo rispettare quel macchinoso, sfiancante, sospettoso Codice degli appalti, che rende difficile ogni realizzazione e costosissimi tutti i procedimenti.

Però questo codice infelice è anche un tentativo (pur poco efficace) di scoraggiare i favoritismi e la corruzione, che da sempre infettano il nostro Paese.

Ora, con la medesima sbrigatività con la quale si è demolito il ponte “Morandi” (e proprio sull’onda del successo di quello nuovo di Renzo Piano) si vuole cancellare anche questo codice, che va sì abrogato, ma non senza aver prima posto in essere strumenti più efficaci, che snellendo le procedure, garantiscano anche l’equa attribuzione degli incarichi e degli appalti.

Tuttavia, da questo quadro di partenza fortemente negativo, nacque una brillante operazione d’immagine, che condusse a realizzare il nuovo viadotto nei ristretti tempi prestabiliti. Un successo esecutivo, che ha consentito di rimediare almeno in parte alla brutta figura internazionale, a dimostrare che l’Italia può cambiare e che è ancora in grado di produrre opere di grande rilievo.

Il sacrificio (inammissibile) delle garanzie di legge ha così sortito il miracolo di realizzare rapidamente l’opera, dimostrando in una volta sola, che il codice dei contratti deve essere urgentemente emendato e che il nostro mondo professionale e produttivo possiede ancora grandi energie e capacità realizzative.

Purché la deroga sia da considerarsi esclusivamente emblematica e una tantum, forse si può sostenere che il risultato abbia giustificato il vulnus del diritto, tanto più che ai tempi della Peste, siamo ormai abituati ad accettare anche leggi d’emergenza.

Ma sembra che il nostro Paese attraversi proprio un periodo sfortunato. Su Il Sole 24Ore del 18 luglio è apparso un articolo: “Ponte di Genova fuori norma… Sono i limiti di velocità, di appena 80 km/h verso Genova e forse addirittura di 70 verso Savona, contro i 90 consentiti sul Morandi: il tracciato non è a norma. Gli addetti ai lavori lo sanno già da quando i monconi del vecchio ponte dovevano essere ancora demoliti (vedi Il Sole 24 Ore del 15 dicembre 2018), ma la fretta di ricostruire e l’esigenza di non alimentare ulteriori contenziosi hanno portato a non correggere l’errore.”

Ammesso che sia proprio così e volendo evitare qualsiasi giudizio avventato prima che i fatti siano accertati, ci asteniamo dal commentare questo eventuale errore, tutto da dimostrare e valutare.

Temiamo però che da questa intricata vicenda, una volta di più, esca trionfante proprio il potere della burocrazia che perseguita la vita quotidiana di tutti noi.

Abbiamo rilevato come per costruire il viadotto si è sospeso il puntiglioso diritto in vigore, si sono scavalcate le norme e le cautele che bloccano tutti gli altri operatori e si sono scelte, con criterio fiduciario, competenze e capacità realizzative, a discapito della concorrenza.

Ora un banale errore avrebbe vanificato una buona parte di queste deroghe, restituendo al pubblico un’opera meno efficiente della precedente!

Che qualcuno voglia indurci a credere che snellimenti e semplificazioni sono pericolosi, anzi impossibili da gestire e che quindi è meglio non toccare le norme bizantine e lasciare come stanno i relativi poteri di controllo?

Bruno Gabbiani, ALA Assoarchitetti

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