Imprenditoria | Competitività

Imprenditori compatti: “non parliamo di dl Rilancio senza sostenere imprese e investimenti pubblici”

In una nota, Gabriele Buia, presidente dell'Ance, ha ritenuto «inspiegabile dietrofront del Governo e impossibile rilancio dell’economia se le annunciate misure urgenti sull’accelerazione degli investimenti per far partire le opere pubbliche fossero state eliminate nell’ultimo testo del decreto». Siamo di fronte a un dl Rilancio che potremmo invece definire dl "tampone".

Gabriele Buia | Presidente Ance

Gabriele Buia | Presidente Ance.

«Non si può parlare di vero rilancio dell’economia senza misure concrete per sostenere gli investimenti pubblici e per sostenere le imprese che devono realizzarli. Siamo in attesa del testo definitivo del cosiddetto decreto Rilancio approvato dal Consiglio dei Ministri. Stando agli ultimi testi circolati, sarebbe stato espunto dal decreto tutto il capitolo degli appalti pubblici comprese le misure per accelerare gli investimenti e per garantire pagamenti regolari alle imprese. Mi chiedo come sia possibile in questo modo, senza aggredire l’inerzia burocratica e consentire alle amministrazioni di spendere i soldi disponibili, pensare di rilanciare veramente il Paese. Si tratterebbe peraltro di un dietrofront inspiegabile da parte del Governo: sono settimane che il Governo ripete all’unanimità che per far crescere l’economia occorre pensare a un grande piano di sviluppo e di manutenzione infrastrutturale, accelerando procedure e sbloccando risorse incagliate da anni e poi che fa cancella tutto? Ogni giorno di ritardo dei provvedimenti di sblocco si traduce in mesi di ritardo per interventi sul territorio. Nell’ultima bozza del decreto sembrerebbero infatti uscite norme importanti come lo sblocco del contratto di programma di Anas e Rfi che è incagliato da due anni e mezzo con cospicue risorse per la manutenzione stradale e ferroviaria, così come sarebbe saltata una norma che consentirebbe alle stazioni appaltanti di pagare subito alle imprese i lavori svolti finora per evitare che vadano a corto di liquidità, come peraltro suggerito anche dall’Anac visto il rischio per migliaia di imprese di fallire e diventare facili prede del malaffare. Spero di sbagliarmi e che il testo definitivo confermi l’impostazione iniziale del provvedimento che prevedeva alcune misure importanti per accelerare la spesa e quindi per far ripartire realmente il Paese. Né si può accettare che queste norme che riguardano il rilancio dell’economia vengano ancora una volta rinviate a un futuro altro decreto: sono passati due mesi dall’inizio della crisi e ancora non c’è traccia di veri snellimenti e di interventi decisivi per alleggerire la zavorra burocratica, cosa aspettiamo che le imprese siano tutte morte?».

Il dl Rilancio? Meglio dire dl Tampone

Il presidente Buia è stato chiaro nella sua dichiarazione agli organi d’informazione. Nel piccolo noi riportiamo il sentore che abbiamo colto più volte nei commenti degli operatori della filiera delle costruzioni, commenti che considerano il dl Rilancio con un “dl Tampone”, un’occasione che sembra ormai mancata.

Veniva chiesto al Governo di spostare le tasse di almeno 8 mesi: e lo spostamento è stato minimo, solo tre mesi, con un intervento ritenuto non totale per quanto riguarda l’Irap.

Per gli imprenditori era importante togliere di mezzo tutte le altre imposte e il taglio delle tasse avrebbe permesso di fatto una maggiore liquidità, anche perché in questa fase emergenziale per fronteggiare i danni che ha portato il coronavirus, le imprese si trovano di fronte alle spese per aprire secondo le disposizioni di sicurezza e anticipare per i dipendenti la cassa integrazione.

Può essere ora una soluzione il credito d’imposta: molti però sostengono che “andava rimodellato in liquidità diretta attraverso la Cassa Depositi e Prestiti e Agenzia delle Entrate e non tramite la Sace“.

Un altro tasto dolente è quello della burocrazia: le imprese da sempre chiedono semplificazione ma il decreto varato dal Governo sembra l’antitesi della semplificazione, a partire dal documento base di 500 pagine, testo che è stato considerato “illeggibile, quasi solo per gli addetti ai lavori” (leggi: i burocrati ministeriali).

Per le imprese la parola d’ordine era e resta ancora oggi la necessità di abbattere gli aspetti burocratici, sviluppare l’autocertificazione e far si che tutto quanto non è vietato risulti di fatto permesso.

Un altro aspetto che ha destato perplessità negli imprenditori è il palese ritardo del provvedimento: sono passati due mesi da quando è stato affrontato il cosiddetto decreto di aprile, poi divenuto dl di maggio.

Sulle grandi opere dal Governo solo silenzio, su Ecobonus e Sismabonus e sulla mancata occasione per far ripartire le opere pubbliche è stata manifesta la critica dell’Ance e nel discorso non va dimenticato il comparto delle piccole imprese, che per il 70% è in crisi e già si parla di eventuale chiusura per il 25% di queste.

Se consideriamo solo le piccole imprese dobbiamo tener presente che siamo di fronte a un comparto di 85mila realtà imprenditoriali che danno lavoro a 1 milione e 200mila unità.

Per quanto concerne gli Ecobonus gli imprenditori erano dell’idea che dovevano essere ad appannaggio anche dei fabbricati industriali per lavori di ampliamento e ammodernamento.

Un ultima considerazione sui sussidi di questa fase emergenziale. Quanto dureranno? E poi, valeva davvero la l’idea di elargire sussidi per i monopattini e le biciclette così come che senso ha avuto il bonus vacanze (per potenziare il turismo) in un momento in cui al posto delle vacanze nella bella Italia si rischia di rivedere quanto è successo nel 2009. Una crisi come quella però significherebbe andare incontro a un completo disastro sociale i cui sintomi, purtroppo, si stanno già manifestando.

di Livia Randaccio

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