Indagine | Guamari

Imprese di costruzioni: migliorano gli stati patrimoniali delle top 150

Non avendo l’Italia seguito gli esempi europei di rafforzare al vertice un minimo di tre gruppi, diversificati nei servizi e nelle concessioni, la formazione attuale dell’offerta preoccupa perché debole e monotematica. Nessuno ha la “massa critica” per una gerarchia che vada a vantaggio anche delle imprese dell’indotto. Una stagione di rilancio della domanda potrà spingere a quelle aggregazioni e diversificazioni per creare veri “campioni nazionali” che finora non si sono viste?  

Come si presenta l’offerta di costruzioni all’appuntamento di una ripresa del mercato se gli investimenti del recovery fund si concretizzeranno, dopo un 2020 da dimenticare?

Gli ultimi dati certi sono relativi al 2019, desunti dall’esame dei bilanci che la società di ricerca Guamari ha pubblicato nel Report 2020 on the Italian Construction, Architecture and Engineering Industry.

150 maggiori imprese di costruzioni italiane.

Se ne evince che le maggiori 150 imprese di costruzioni (con l’esclusione di Condotte e Inso che non hanno presentato il bilancio 2018) nel 2019 hanno sommato una cifra d’affari di 23,1 miliardi (più 6 percento).

Questo nonostante un calo della quota di fatturato all’estero dal 49,8 percento al 44,5 percento (con 53 imprese che esportano per 10,3 miliardi a cui si aggiungono i 63 milioni dell’impresa kazaka Todini Costruzioni Generali, il cui bilancio è stato reperito successivamente, che fu il primo acquisto di Salini, nel 2009, prima di Impregilo, che la rivendette nel 2016).

Gli indici reddituali d’insieme, ripuliti dai dati di Astaldi che con il suo 2018 “horribilis” (in previsione dell’acquisto da parte di Webuild, già Salini Impregilo) edulcorerebbe il confronto con il 2019, evidenziano cali di ebitda ed ebit (rispettivamente del 4 e del 2,7 percento) mentre l’utile netto cresce del 19,9 percento e raggiunge 278 milioni (1,3 percento del fatturato).

Migliorano in generale gli stati patrimoniali delle top 150 ma la riduzione dell’indebitamento finanziario (7,7 percento) e la crescita del patrimonio netto (13,1 percento) non bastano a riportare il debt equity sotto la soglia di sicurezza dell’unità.

In controtendenza rispetto alla produzione continua il ridimensionamento, ma rallentato al 2 percento, della forza lavoro che nel 2019 conta circa 75mila unità (per le 143 imprese che forniscono il dato).

I top e i flop

Analizzare le prestazioni delle singole imprese (evidenziando quali si sono distinte in positivo e in negativo) aiuta a capire come si sono presentate all’appuntamento del 2020 e come potranno approfittare del rllancio atteso nel 2021.

Il primo focus riguarda le società che hanno mostrato la maggiore crescita di fatturato: questa graduatoria è guidata, come era facile aspettarsi, dalla newco Fincantieri Infrastructure, fondata nel marzo 2017 e che nel 2018 aveva un fatturato limitato a 7,4 milioni, nell’ultimo esercizio è cresciuta di 15 volte superando i 110 milioni e puntando più in alto con l’acquisto di Inso e della controllata Sof (specializzata in gestione) da Condotte (in amministrazione straordinaria, che potrebbe essere anch’essa sua “preda”). Anche la seconda è una newco, Fincosit (in realtà un marchio storico tornato indipendente dopo la richiesta di concordato di Glf) che ha quasi triplicato il volume d’affari, terza è l’impresa di edilizia privata Grassi e Crespi (più 139,6 percento). Da notare anche il più 105,8 percento, di Percassi (anch’essa specializzata in edilizia privata), destinato a proseguire in quanto unica ad aver osato la “crescita esterna” fondendosi con Mangiavacchi Pedercini nell’ambito del gruppo Costim.

La classifica delle imprese più internazionalizzate vede al comando quattro specialistiche (Bentini Construction, Sicim, Bonatti e Trevi) che hanno esportato per oltre il 90 percento, seguite da Webuild (82,8 percento), che è 18° al mondo per fatturato all’estero, Ghella (75,9 percento) e Rizzani de Eccher (75,2 percento).

A livello reddituale spiccano per l’ebitda margin (margine operativo lordo su fatturato) due imprese attive in edilizia privata come Giambelli (impresa che opera soprattutto in proprio e con forte vocazione immobiliare) con il 55,4 percento e Cds Costruzioni (specializzata nel retail real estate) con il 44 percento, seguite dall’impresa specializzata ferroviaria Micos (31,7 percento).

Sono al contrario 11 le società con ebitda negativo, con i numeri peggiori registrati da Condotte (in amministrazione straordinaria), Colombo Costruzioni (una tantum) e dalla filiale del gruppo austriaco Strabag. Giambelli, Cds Costruzioni e Micos sono sul podio anche per l’ebit margin (margine operativo netto su fatturato) mentre a livello di net margin (utile netto su fatturato) le tre sono sopravanzate da Fondamenta, specializzata in opere del sottosuolo.

17 sono le imprese che chiudono il 2019 in perdita, a partire da tre in procedura concorsuale: Trevi, Astaldi, e Condotte.

Sono invece 45 le imprese che nel 2019 hanno potuto vantare una posizione finanziaria netta attiva, tra queste spiccano Sa-Fer (edilizia privata), Sicim (pipeline) e Salcef (armamento ferroviario) che in novembre ha debuttato nel segmento AIM di Borsa Italiana.

41 invece sono le società con debt equity (indebitamento finanziario netto/patrimonio netto) oltre la soglia di sicurezza dell’unità: i valori più elevati sono quelli di Solesi (gruppo Irem), Pavimental (gruppo Atlantia) e Acmar, cooperativa che però punta a uscire in bonis dal concordato.

Prospettive

Non avendo l’Italia seguito gli esempi europei di rafforzare al vertice un minimo di tre gruppi, diversificati nei servizi e nelle concessioni, la formazione attuale dell’offerta preoccupa perché debole e monotematica.

A Webuild (ancora troppo sbilanciata sull’estero) e alla sua potenziale concorrente, Fincantieri Infrastructure, si contrappongono le poche imprese davvero generali, tutte familiari, quali: Pizzarotti, Itinera, Ghella, Rizzani de Eccher, Toto, Icm, Inc, … e la cooperativa Cmb.

Nessun soggetto però può vantare un presidio del mercato nazionale sufficiente a metterlo al riparo da una continua logorante guerra di “tutti contro tutti” con alleanze di convenienza che si fanno e disfano di volta in volta.

Nessuno ha la “massa critica” per una gerarchia che vada a vantaggio anche delle imprese dell’indotto. Una stagione di rilancio della domanda potrà spingere a quelle aggregazioni e diversificazioni per creare veri “campioni nazionali” che finora non si sono viste?

a cura di Aldo Norsa 

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