Il fienile oggetto d’intervento è parte di un antico plesso di edifici denominato Corte Jacobella, già documentato nella cartografia storica ottecentesca. Una maglia puntiforme di possenti pilastri in muratura (di lato pari a 5 teste di mattoni pieni) ne articola il primitivo scheletro per l’intera altezza: in prevalenza chiusa al piano di campagna, per assicurare tepore ai capi bovini che vi trovavano dimora, al piano superiore la struttura si librava in forma di grande ‘nave’ a stivare paglie e foraggi, frutto di fertili medicai e poderose arginature.
Il fronte verso corte, in origine aperto, è stato nel tempo tamponato con murature piene, traforate nella fascia sommitale secondo una tessitura ‘a croce’ (‘gelosie’), filtro di correnti d’aria garanti della microventilazione interna.
Nelle antiche stalle, coppie di colonne in fila indiana, smussate e concluse da eleganti capitelli ‘a gola incavata’ di grazia padana, reggevano longarine a imposta dei soffitti voltati con mattoni ‘in foglio’. Tracciato su un sedime quadrilatero (18×20 m), l’edificio incorpora un volume baricentrico (ex stalle e fienile), tripartito al piano terra e superiormente libero, affiancato da due volumi laterali a doppia altezza scanditi da 5 campate di luce diseguale.
Prototipo della locale manifattura costruttiva – e probabile opera di squadre già specializzate nell’arte muraria – il fienile dovette di volta in volta resistere alle traversìe del tempo: dapprima la “iattura” di persistenti inondazioni (le “allagazioni” già descritte nella Corografia del 1896), quindi, al ritiro delle acque, la furia di perfidi incendi di dubbia natura ne saggiava e disabilitava strutture e resistenza.
Ma ancor più impervio è stato l’ultimo banco di prova che gli eventi hanno inteso riservargli. E gli eventi questa volta sono di natura sismica: nel maggio 2012 le onde scuotono a più riprese la Bassa Valle emiliana, arrestando la vivacità produttiva delle sue terre e delle sue genti.
All’amplificazione del danno hanno in parte contribuito la pronunciata vulnerabilità dell’edificio, formato da volumi a doppia altezza e strutture puntiformi, vetustà e stato manutentivo della costruzione (con murature non in grado di garantire un comportamento meccanico monolitico), carenza di presidi strutturali (quali adeguati incatenamenti metallici), connessioni murarie assenti o inefficaci. Il ‘rocking’ sismico ha pertanto generato:
- lesioni sommitali dei pilastri, con fessurazioni diagonali estese ai quadranti contigui;
- distacchi tra pannelli murari, causa della formazione di puntoni che hanno trasmesso ai pilastri azioni di taglio alla base e nei vincoli col solaio mediano
- fessurazioni a taglio e spanciamenti di murature;
- lesioni multiple sulle pareti, azionate dal martellamento della copertura, non contrastato da un coronamento sommitale in grado di ridistribuire le sollecitazioni dinamiche;
- attivazione di meccanismi di ribaltamento con formazione di cerniera cilindrica all’altezza dell’impalcato intermedio, in conseguenza della spinta delle longarine interne sulle murature perimetrali di scarico;
- lesioni nei solai voltati e nelle rispettive connessioni con le murature d’ambito;
- scorrimenti tra travi di copertura e pilastri di appoggio, con scompaginamento dei conci di contatto;
- cedimenti di fondazione con formazione di lesioni agli angoli.
Il cantiere di recupero
L’intervento riguarda lo svuotamento integrale di un cascinale padano dalle sue strutture interne, ormai compromesse dal violento sisma del 2012, e l’inserimento al suo interno di una nuova ‘incastellatura’ metallica, snella e reversibile, in grado di riabilitare l’edificio a una nuova flessibilità funzionale.
L’esistente e ciò che viene aggiunto o sostituito, l’antico e il nuovo, s’integrano e commentano a vicenda, in un dialogo che ne dichiara identità e differenze. Il montaggio e il dosaggio di materiali costruttivi odierni, meccanici e di produzione seriale (putrelle e tubi in ferro, grigliati metallici), espone i materiali dell’involucro conservato, teneri e artigianali (paramenti in mattoni e lacerti d’intonaco), che dal contrasto risultano più caldi e vivaci.
Il progetto è pertanto conservazione e interpretazione del testo materiale sedimentato dal tempo – quanto era ancora in grado di essere recuperato – e incorporazione di un meccano (‘mazzocchio’) sospeso ai nuovi portali, staccato dalla pelle muraria ma ancorato a essa tramite presidi di solidarizzazione.
L’inserto meccanico all’interno del manufatto storico è dichiarazione ideologica della propria alterità, ma anche reale flessibilità e reversibilità d’uso. Del vecchio fienile si cerca di recuperare la dimensione integrale dello spazio e quindi la possibilità di percepirne l’invaso in modo unitario. È stata riscoperta la calda grana della tessitura muraria, in modo da svelarne ed esporne le connessure e le ricuciture, accentuando il messaggio espressivo dell’ondulazione parietale.
Così, il rigore filologico che ha guidato la rilettura dell’edificio ha portato ad attribuire a ogni elemento materiale superstite una riconoscibilità quasi didascalica. Il nuovo inserto meccanico si accosta all’antico rinunciando alla sua imitazione riverente, in nome di una contrapposizione attiva che riscriva usi e dinamiche spaziali all’interno del guscio esistente.
Il calcolato equilibrio statico traduce le misurate proporzioni del fienile originario: ne deriva una nuova articolazione spaziale ‘intra-muros’, quella necessaria a rinnovare l’edificio evocandone il passato e ridefinendo nuovi usi in grado di farlo rivivere nel presente.
Concezione morfologico-strutturale
La nuova incastellatura metallica, incorporata dal fienile esistente in forma di struttura reticolare spaziale, è attrezzata per ospitare un impalcato intermedio e libera l’intero piano terra, meglio adattabile alle nuove dinamiche produttive.
Prima di essere svuotato integralmente dalle parti ormai compromesse, il perimetro murario è stato rinforzato al piede con un doppio cordolo di fondazione – uno interno, di sezione 70×50 cm, e uno esterno, di sezione 30×30 cm – attraversato per ciascun metro di sviluppo da profili metallici (Hea 100, di lunghezza 1,50 m) con funzione di scarico delle murature.
Lungo la linea sommitale la scatola esistente è coronata da un cordolo di confinamento solidarizzato alla sottostante muratura tramite barre (Ø14/100) inghisate con boiacca di cemento in appositi prefori (Ø20 mm). Le fondazioni sono costituite da una platea in c.a. (di spessore 25 cm) nervata in corrispondenza degli allineamenti dei nuovi pilastri (tramite cordoli 40 x 25 cm), armata con doppia rete elettrosaldata (superiore ed inferiore, Ø8/20 x 20 cm), spolverata con miscela di quarzo lisciata ad elicottero.
Particolare attenzione è stata riservata alla demolizione delle strutture interne, avendo cura di ribaltare pilastri e pannelli murari tramite implosione controllata, in modo da non arrecare danno ulteriore al già lesionato perimetro.
Il nuovo scheletro metallico è impostato sugli stessi allineamenti dei pilastri esistenti, descrivendo così 5 campate strutturali (due di luce 3,70 m, tre di luce 3,20 m). In direzione ortogonale, la struttura ridisegna la geometria “a capanna” del primitivo profilo, spingendosi a un’altezza di 9,25 m lungo la linea di colmo.
Gli allineamenti primari sono costituiti da pilastri Hea 160 su cui appoggiano travi Ipe 330 di luce pari a 17,50 metri, a costituire il corrente superiore di un sistema reticolare completato da aste verticali (profili accoppiati 2 Upn 100) e inclinati (tubi Ø 90) a reggere la trave maestra dell’impalcato intermedio (profilo Upn 300).
Controventi di parete nei piani nord e sud (e nelle campate dei piani est e ovest prossime agli angoli) e controventi di falda in corrispondenza delle campate perimetrali completano il sistema, altresì solidarizzato da aste oblique a doppia angolazione (tubi Ø 90) nelle campate alle estremità.
La morfologia strutturale del sistema conserva una precisa gerarchia, suggerita dal modello di trasmissione delle forze: profili Hea (160) per i pilastri e Ipe per le travature (Ipe 330 in copertura e Ipe 300 nell’impalcato intermedio), profili Ipe 140 per l’orditura secondaria di tutti i solai, doppi profili (2 Upn 100) – accoppiati con calastrelli – per i tiranti che pendinano il solaio mediano alla copertura, tubi a sezione circolare (Ø 90) per i tiranti obliqui a semplice e doppia angolazione, tubi quadri (150×150, 120×120, 100×100) per i controventi di parete, profili aperti (L 50×50) per i controventi a croce dei piani di falda, piatti (55×15 mm) per i controventi di piano dell’impalcato.
Il meccano strutturale è stato assemblato in situ in meno di 50 ore, procedendo dapprima col montaggio delle campate maestre e, quindi, col pendinamento e serraggio del solaio portato. La struttura primaria di copertura accoglie un’orditura secondaria di travetti in legno (sezione 10×12 cm) con soprastante tavolato (di spessore 22 mm), battentato e impermeabilizzato, a ricostruire il tegumento secondo la sagoma originaria.
Pianura emiliana | Dalle “allagazioni” al rischio sismico
Non lontano dall’argine maestro del “Grande fiume” Po, in quella ferace pianura emiliana scossa da un insolito sisma nel 2012 – ormai 10 anni or sono – si presentava il tema di riabilitare un vecchio fienile da sempre conteso tra terre e acque, un tempo dormiente tra filari di vite e piantate di gelsi e oggi vivace ricovero di frutti e ortaggi in attesa di salpare per la grande distribuzione.
Ma prima che il terremoto ne saggiasse la congenita vulnerabilità costruttiva, fatta di esili strutture puntiformi librate al limite della propria resistenza – in un serrato dialogo tra gravità e leggerezza – il fienile dominava in forma di baluardo a proteggere animali e prodotti dalle rovinose “allagazioni” che segnavano un territorio dai precari equilibri idraulici, “terre guaste e corrotte” da desolanti paludi.
Lo storico Erminio Porta narrava di inondazioni tali “permettere di spostarsi in barca e col solo valico di qualche argine divisorio” (in La Bonifica di Burana, 1949). La “travolgente marea” rovesciò per secoli le proprie furie sui domini austriaci, pontifici ed estensi: febbri malariche e pellagra erano soltanto alcuni dei flagelli che tormentavano le genti locali.
Ma i tempi della rivoluzione idraulica erano ormai alle porte: in data 19 gennaio 1885 l’allora Regio Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici approvò il progetto generale di bonificazione dell’Agro Ferrarese e di lì a poco, il 30 dicembre 1892, il Re Umberto I appose la propria firma sul progetto di legge “Genala”, che prevedeva la costituzione di un Consorzio Interprovinciale di Bonifica coordinato da un comitato tecnico-esecutivo.
La “redenzione” del territorio fu disegnata da una rete capillare regolata da idrovore, sifoni e impianti di sollevamento: l’acqua, da gravoso flagello del territorio, divenne, ora, risorsa primaria per regolarne la fertilità. Risolto il problema del rischio idraulico, queste terre divennero una “civilissima campagna, dove si scopre ogni tanto un’architettura estense ridotta a casa di contadini”, con “le grandi stalle e gli archi dei portici e dei fienili” a dominare gli insediamenti agricoli.
Rimaneva tuttavia in agguato il rischio sismico, sebbene fenomeni di rilevanza disastrosa risalissero al terremoto del 1570, noto alle cronache come il più disastroso della Bassa Valle Padana. Sornione ma non dormiente, poiché nel maggio 2012 un serrato sciame sismico risvegliò le memorie locali, compromettendo gran parte del patrimonio costruito.
Struttura geologica
Dal punto di vista geologico-strutturale la Valle Padana presenta, al di sotto della potente coltre sedimentaria quaternaria (riempimento di avanfossa delle catene alpina e appenninica), un complesso sistema di elementi tettonici, indice di movimenti compressivi in direzione nord-est, che a partire dal Terziario hanno determinato la formazione della catena appenninica.
Benchè il versante padano dell’Appennino settentrionale e la pianura a sud del Po siano due ambienti geomorfologici distinti, sul piano geologico-strutturale risultano strettamente correlati. Il fronte della catena appenninica, infatti, non coincide con il limite morfologico catena-pianura (il margine appenninico-padano, coincidente con l’asse della via Emilia), bensì è individuabile negli ‘archi esterni’ delle Piaghe Emiliane e Ferraresi mascherate dai sedimenti quaternari padani, il cui vero fronte attivo sovrascorre verso nord circa all’altezza del fiume Po.
L’analisi sismotettonica della regione evidenzia come parte delle strutture afferenti a profili sismici che interessano il riempimento Plio-Pleistocenico, siano caratterizzate da attività molto recente, se non attuale. Il fenomeno può essere figurato dal movimento di una mano aperta ad arco posizionata su un piano rigido ricoperto da uno strato di sabbia: esercitando una pressione in un data direzione, le dita sovrascorreranno sul piano profondo attivando in superficie micromovimenti superficiali più o meno apprezzabili in funzione della spinta esercitata.
In particolare, sono tuttora attivi i sovrascorrimenti sepolti relativi agli archi di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e, appunto, Ferrara. A tali strutture, e in particolare alla dorsale Ferrarese, sono associabili fenomeni di fagliazione superficiale nei quali rientra lo sciame sismico del 2012.
L’area su cui insiste l’edificio oggetto di intervento è prossima a uno dei fronti di accavallamento della successione carbonatica cosiddetta meso-cenozoica (con andamento ovest-est); non solo: una decina di chilometri a sud sono parimenti localizzate le più recenti strutture sepolte: tre sovrascorrimenti attivati e un fronte di accavallamento della successione carbonatica mesozoica.
In conclusione, materassi argillosi di formazione alluvionale nascondono la soltanto apparente letargìa di una diffusa microfagliazione realmente attiva (dal “sovrascorrimento profondo post-tortoniano dedotto” alla “faglia profonda diretta dedotta”), a testimonianza di un dinamismo compressivo tuttora operante.
Caratterizzazione sismica
Le onde meccaniche attivate da un sisma subiscono riflessioni e rifrazioni durante la loro propagazione, dovute alle eterogeneità crostali. Sotto l’effetto del dinamismo vibratorio i terreni possono reagire con comportamento stabile o instabile, a seconda che le sollecitazioni indotte siano inferiori o superiori alla loro resistenza a taglio, ovvero a seconda che i terreni siano caratterizzati da ghiaie, sabbie addensate e argille consistenti, oppure costituiti da argille molli, facilmente degradabili per perdita di pressione interstiziale.
La classificazione sismica vigente (Del. Reg. n. 112/07) individua per l’area in cui risiede l’intervento (Zona 3, ai sensi del Dpcm 3519/2006) un’accelerazione massima orizzontale pari a (a = 0,130 g). In particolare, l’area di riferimento dista rispettivamente 13 km dall’epicentro del primo sisma del 20 maggio 2012 e 25 km dal secondo evento del 29. Dai dati registrati presso le stazioni sismiche e dalla mappa delle linee di uguale accelerazione è possibile dedurre che l’area sondata è stata interessata da un’accelerazione di circa 0,20 g nel primo sisma e di circa 0,10 g nel secondo.
Portanza dei terreni in condizioni pseudo-statiche e cedimenti post-sismici. Sebbene la letteratura non fornisca a oggi criteri generali circa la previsione della variazione della capacità portante e della deformabilità del terreno durante il moto sismico, è comunque indubbia la riduzione delle sue proprietà resistenti.
Se sottoposti ad azioni dinamiche temporanee, quali intense vibrazioni o movimenti tellurici, i terreni incoerenti subiscono un riordino delle particelle con relativa compattazione dello strato interessato, che si traduce in un cedimento denominato ‘post-sismico’. L’entità della deformazione verticale è funzione della densità iniziale e del grado di sovraconsolidamento del deposito, del suo spessore e della resistenza massima che si genera nello strato.
Mentre in depositi incoerenti asciutti il cedimento post-sismico si verifica pressochè immediatamente all’azione dinamica, nei depositi incoerenti e coesivi plastici si completa con la dissipazione delle sovrappressioni interstiziali. Benchè operato di norma per terreni incoerenti, lo studio delle deformazioni post-sismiche viene altresì effettuato in presenza di depositi coesivi soffici e/o plastici, suscettibili anch’essi di un riassetto particellare a fronte di carichi dinamici particolarmente intensi.
Nel dettaglio, accertata l’assenza di eterogeneità geologiche significative nei suoli di fondazione, i cedimenti post-sismici rilevati in situ, pur essendo apprezzabili e di carattere areale, non risultano tali da generare danni in strutture dimensionalmente contenute quali l’edificio in esame. In particolare, la disomogeneità litologica e meccanica rilevata si traduce in una differente risposta sotto stress sismico in termini di cedimenti post-sismici; per terreni coesivi e granulari, per un sisma di Magnitudo M = 6,14 ed un fattore di accelerazione ag = 0,22 g, si è stimata una deformazione verticale massima pari a 11,9 cm e differenziale pari a 4,6 cm.
CHI HA FATTO COSA
- Opera: Insediamento produttivo agricolo biosostenibile, Bondeno (Ferrara)
- Committente: Privato
- Superficie totale: 450 mq
- Progetto e direzione lavori: Arch. Moreno Pivetti
- Strutture: Ing. Andrea Brighenti
- Appaltatore: Lavina Costruzioni srl, Tambre (Bl)
- Indagini geologiche: Gaia srl
- Foto e contributo al testo: Arch. Moreno Pivetti
Solo avrei lasciato le facciate esterne parlare con i colori naturali dei mattoni e dell’intonaco vetusti, dopo la manutenzione.
Ottimo l’intervento delle strutture metalliche sapientemente concepite per un piano di calpestio appeso mediante tiranti d’acciaio per la non invasività al piano inferiore.
Rodolfo Corrias
Conservatore Restauratore
già nei ruoli del MiC