Economia digitale | Nuova edilizia

Industrializzazione delle costruzioni: circular, digital, social

Economia circolare, digitalizzazione del settore e socializzazione delle esperienze. Questo è il nuovo orizzonte anche per il settore edilizio italiano, un orizzonte che va sotto il nome di industrializzazione delle costruzioni. Un tema antico, certo, ma che oggi riprende nuovo interesse grazie alla rivoluzione tecnologica, alla digitalizzazione e alle nuove forme di produzione e anche a causa della crisi economica, delle costruzioni in particolare. I dati macroeconomici non lasciano scampo: nulla sarà più come prima.

Guardare al futuro. È questo il messaggio recentemente indirizzato al settore delle costruzioni  da Rebuild 2016, la manifestazione promossa da Re-Lab e Habitech, la società di ricerche e servizi innovativi di Rovereto.

Un appuntamento, quello che da cinque anni si tiene a Riva del Garda, le cui parole d’ordine sono state: circular, digital, social. Perché, piaccia o no, questo è il nuovo orizzonte anche per il settore edilizio italiano, un orizzonte che va sotto il nome di industrializzazione delle costruzioni.

Un tema antico, certo, ma che oggi riprende nuovo interesse grazie alla rivoluzione tecnologica, alla digitalizzazione e alle nuove forme di produzione e anche a causa della crisi economica, delle costruzioni in particolare.
REbuild 2016_4I dati macroeconomici non lasciano scampo: nulla sarà più come prima. E molti degli elementi che tradizionalmente formano il mercato sono oggi radicalmente mutati. Per sempre.

A pensarla così è anche Filippo Delle Piane, vicepresidente di Ance. «Stiamo assistendo a una fase economica di profonda trasformazione. Occorre capire le logiche e le dinamiche odierne del mercato che abbiamo di fronte – sostiene convinto Delle Piane -. Se non riusciremo in questo intento ben difficilmente potremo concepire modelli di impresa efficienti ed efficaci adatti a competere». E le differenze tra ieri e oggi per Delle Piane, che oltre a ricoprire un importante ruolo all’interno dell’associazione costruttori nazionale fa parte del comitato scientifico di Rebuild, non so poche.

«Anni fa la casa rappresentava la risposta a un’esigenza primaria, poi, successivamente è diventata il bene rifugio per eccellenza – precisa Delle Piane -. Oggi non è più così. Oggi, l’obiettivo della casa in proprietà viene sostituito dalla disponibilità a pagare ciò che si utilizza in modo da poter avere il prodotto più aderente alle esigenze del momento. Ieri il sistema creditizio ha sempre dato il suo sostegno alle operazioni immobiliari qualunque esse fossero. Oggi, abbiamo un mondo bancario che scoppia di liquidità ma che non può offrire al mondo delle imprese delle nostre dimensioni perché troppo rischioso, secondo i criteri di una finanza contabile lontana dal territorio. Tutto ciò non significa che non esista più un mercato, ma che esso è diventato selettivo ed esigente, come ogni mercato che passi dal soddisfare i bisogni primari a una nuova realtà di sostituzione».

Insomma, niente è più come prima. Ma se il mondo, a causa della crisi e della rivoluzione tecnologica, è cambiato, come deve cambiare anche il sistema delle imprese?
«In questa nuova situazione serve un modello di impresa completamente nuovo – afferma il vicepresidente di Ance -. Non possiamo più permetterci di fare un mestiere di tipo approssimativo. I tempi e i costi di realizzazione di un’opera non possono più essere considerati come fattori aleatori e in mutamento continuo. Dobbiamo pretendere una progettazione veramente esecutiva e coordinata in tutti gli aspetti e il Bim può essere di grande aiuto a una pianificazione e a un monitoraggio approfonditi delle attività di cantiere. Insomma, i nuovi operatori del mercato delle costruzioni saranno sempre più grandi, strutturati e professionali».

È stato questo il claim dell’edizione di quest’anno di Rebuild. Tre parole chiave che hanno scandito gli interventi della due giorni di Riva. Tre parole che rappresentano il futuro delle costruzioni di casa nostra, che deve passare – secondo gli organizzatori della kermesse – per l’industrializzazione del settore.

Thomas Miorin, fondatore di Rebuild e presidente di Re-Lab.
Thomas Miorin, fondatore di Rebuild e presidente di Re-Lab.

Ma cosa significa oggi industrializzare il settore delle costruzioni del nostro Paese? «Tre sono le strade che il comparto deve percorrere. – attacca Thomas Miorin, fondatore di Rebuild e presidente di Re-Lab – Economia circolare, digitalizzazione del settore e socializzazione delle esperienze. Ciò che abbiamo proposto a Riva del Garda è proprio questo: offrire uno sguardo al futuro e lavorare nel campo dell’innovazione. Non solo sul piano teorico, ma nel concreto. Perché concrete sono le esperienze di innovazione che in Italia e all’estero si stanno poco a poco sommando. Quella dell’impresa svedese Skanska, per esempio, la multinazionale svedese delle costruzioni e quinta impresa di costruzioni più grande al mondo, che è in grado di realizzare la propria produzione prefabbricata all’interno di immobili in disuso vicino ai cantieri, in cui vengono poi assemblati i vari componenti edilizi prefabbricati. Oppure le esperienze di prefabbricazione, più contenute, di alcune aziende italiane in Veneto, Trentino e Lombardia o quelle di alcune piccole imprese che praticano il principio della circolarità. O ancora esperienze interessanti di utilizzo di tecnologie digitali e del Bim. Sono tutti elementi e casi concreti che stanno contribuendo all’evoluzione del settore».

Ma cos’altro deve cambiare per avviare le costruzioni verso un approccio industriale della produzione?
«Serve – aggiunge Miorin – un nuovo processo produttivo, che sia industriale, che faccia propri i parametri economici dell’efficienza e del costo, che faccia leva sul parametro dell’energia, sull’aumento dell’intensità d’uso dei beni e soprattutto sull’economia di scala, sull’economia di varietà e sul flusso continuo delle informazioni in tutto il processo».

Insomma, l’edilizia italiana sta cambiando in profondità e occorre puntare, in tutte le fase della produzione – dall’ingegnerizzazione all’assemblaggio alla finitura e alla gestione post vendita – all’efficientamento dell’intero sistema: i margini ci sono e sono ampi, stando a quello che è stato detto a Rebuild.

«L’edilizia del futuro – prosegue Miorin – si spiega con tre cifre: 20, 60, 20. Il primo 20 per cento sarà ancora rappresentato dall’edilizia tradizionale, il 60 per cento sarà la quota di prefabbricazione, il restante 20 sarà appannaggio delle costruzioni speciali. Il processo industriale necessiterà perciò di un’infrastruttura digitale a partire dalle operazioni di rilievo e rappresentazione; la scansione 3D sarà il punto di partenza di un processo imperniato sul Bim, in grado di gestire molteplici dimensioni del progetto: quelle fisiche, i tempi, i costi, l’energia, gli approvvigionamenti e la gestione del cantiere. Il passaggio a forme di prefabbricazione spinta dovrà includere la capacità di processi produttivi capaci di minimizzare lo spreco di tempo, di materiali e di energia, secondo i principi della cosiddetta lean production, e di produrre con tempi e costi industriali soluzioni personalizzate, come teorizza la digital manufactoring. La fase di cantiere richiederà nuove competenze e nuovi strumenti; i nuovi sistemi di controllo e di regolazione cambieranno la gestione degli edifici e degli impianti. È questo il momento di ripensare l’industria italiana delle costruzioni, pena un’ulteriore forte perdita di competitività del nostro comparto».

Enzo Micelli, docente allo Iuav di Venezia e presidente del comitato scientifico di Rebuild.
Enzo Micelli, docente allo Iuav di Venezia e presidente del comitato scientifico di Rebuild.

Ma in che modo e in che forme lo sviluppo di un’economia circolare riguarda anche i settori delle costruzioni e dell’immobiliare, tradizionalmente ad alto consumo di risorse e capitale? «La fase espansiva della produzione edilizia lascia al nostro Paese un patrimonio di beni immobili pubblici e privati significativo – sostiene Enzo Micelli, docente allo Iuav di Venezia e presidente del comitato scientifico di Rebuild -. Continuare a produrre nuove costruzioni appare ingiustificato. Occorre ripartire dalla città che già esiste per promuoverne la rigenerazione di tutte le sue parti: questa è l’agenda degli operatori alle prese con i nuovi processi di creazione del valore immobiliare pubblico e privato. Un programma simile appare in linea con i principi dell’economia circolare».

Ma se è questo è l’orizzonte possibile del settore, a chi spetta il compito di dare il via? Ai produttori di componenti, ai costruttori, ai progettisti, agli sviluppatori immobiliari? Al legislatore e quindi alla politica? «Bella domanda – ammette Micelli -. Sicuramente il compito centrale spetta alla politica, che a mio modo di vedere dovrebbe affermare una volta per tutte che la fase espansiva è finita, che occorre riusare, che occorre produrre meno e meglio. E poi tutti quanti dovrebbero capire che in questo contesto di mercato a vincere è la domanda non più l’offerta, come un tempo.

L’edificio di corso XXII marzo a Milano. A breve partiranno i lavori di riqualificazione di un edificio con la formula del cohousing,
L’edificio di corso XXII marzo a Milano. A breve partiranno i lavori di riqualificazione di un edificio con la formula del cohousing,

Oggi, se si vogliono fare case per essere subito abitate occorre aggregare la domanda, che si compone su basi nuove come la possibilità di godere di spazi condivisi, come sta avvenendo con l’esperienza di Co22 di via XXII marzo a Milano, per esempio. Poi, a ruota sono tutti gli attori del processo produttivo edilizio che devono fare proprie le tre parole dell’economia circolare: riduci, riusa, ricicla. Un percorso nuovo per le costruzioni, ma già intrapreso da altri settori manifatturieri, penso al caso dell’automotive. Ciò che importa è immaginare e costruire una filiera produttiva che abbia queste caratteristiche. Le tradizionali ricette, quelle di un tempo, basate sugli sgravi fiscali, non servono. Nelle costruzioni si può aprire una fase di radicale sperimentazione di un percorso di industrializzazione sposato sul nuovo paradigma della manifattura digitale, che appare l’unica strada per conciliare industrializzazione e prototipazione sistematica della specificità delle costruzioni».

Ma in questo nuovo processo, chi, degli attori protagonisti delle costruzioni, è un passo avanti gli altri? «A Rebuild si è visto che il fattore comune – afferma Delle Piane – è oggi rappresentato dalla digitalizzazione e in questo contesto, grazie all’uso del Bim, i più avvantaggiati sono i grandi studi di progettazione e le grandi imprese di costruzione. Le imprese di medie e medio-grandi dimensioni – dobbiamo ammetterlo – hanno perso la centralità nella filiera delle costruzioni. Oggi, questo ruolo lo svolgono le grandi società. Non si tratta di proporre la crescita dimensionale delle imprese, ma di lavorare a un modello parallelo di integrazione della filiera produttiva dei diversi soggetti. A mio giudizio, le imprese di costruzione dovranno diventare il fulcro, il pivot di questo coordinamento di filiera».

Differente, su questo tema, il punto di vista di Miorin.
«Non mi pare che si possa dire che esista un soggetto che oggi è più avanti di altri – sostiene Miorin -. Anzi, oggi occorre pensare a un riallineamento complessivo della filiera. Quando parliamo di open innovation parliamo anche di questo. Serve, a mio modo di vedere, mettere in contatto in modo nuovo i diversi attori della filiera delle costruzioni. Forse serve un soggetto terzo, capace di mediare. Noi, con il nostro lavoro, cerchiamo di creare uno spazio, una piattaforma per costruire un cambio radicale».

A sostegno della necessità di cambiamento ci sono alcune importanti iniziative di alcuni paesi del Nord Europa. Della Germania, per esempio, che ha approvato un piano per trasformare il patrimonio immobiliare: da consumatore qual è oggi a produttore netto di energia entro il 2050. Di Svezia e Danimarca, i cui sistemi energetici verranno alimentati al cento per cento da fonti rinnovabili. Dall’Olanda e dalla Norvegia che stanno lavorando per disporre di una mobilità dei loro rispettivi paesi senza l’uso di combustibili fossili entro il 2025.
Poi, ci sono le aziende private, le multinazionali come la Philips. La multinazionale olandese sta infatti trasformando la propria natura aziendale: dalla vendita di lampade alla fornitura di un servizio di illuminazione ad hoc; per questo motivo Philips investe su prodotti disassemblabili e riutilizzabili.

Ma non sono poche le imprese del nord Europa che negli ultimi anni hanno intrapreso un percorso di innovazione radicale. Diverse grandi aziende del Vecchio Continente, come la già citata Skanska, stanno esplorando la possibilità non solo di progettare con maggiore standardizzazione e prefabbricazione, ma anche di produrre queste piccole serie a kilometro zero, all’interno di capannoni posti nei pressi del cantiere, nei quali temporaneamente viene svolto l’approvvigionamento e l’assemblaggio. In questo elenco di imprese virtuose troviamo anche i gruppi imprenditoriali inglesi come Royal Bam Group, Laing O’Rourke e Volkerwessels.

David Chesire, regional director di Aecom.
David Chesire, regional director di Aecom.

Nel suo intervento a Riva del Garda, David Chesire, regional director di Aecom, multinazionale anglosassone e leader mondiale nella progettazione e costruzione di opere di ingegneria, ha sostenuto la necessità di applicare i principi dell’economia circolare al mondo del real estate e delle costruzioni.

«Dobbiamo pensare – ha detto – di progettare a strati, minimizzare gli sprechi, selezionare materiali e componenti, costruire tenendo presenti i processi di disassemblaggio e l’adattabilità. Lo scarto deve essere ridefinito come una risorsa di valore e gli edifici devono diventare delle banche di materiali per le future generazioni. Possiamo raggiungere questo obiettivo creando costruzioni che possano essere smontate, in parte o completamente, per poter riusare i diversi componenti, recuperare i materiali e ricostruire gli interi edifici in un altro luogo». Insomma, una rivoluzione ci attende.

Filippo DELLE PIANEFilippo Delle Piane,  vicepresidente di Ance |«Stiamo assistendo a una fase economica di profonda trasformazione. Occorre capire le logiche e le dinamiche odierne del mercato che abbiamo di fronte. Se non riusciremo in questo intento ben difficilmente potremo concepire modelli di impresa efficienti ed efficaci adatti a competere…In questa nuova situazione serve un modello di impresa completamente nuovo – afferma il vicepresidente di Ance -. Non possiamo più permetterci di fare un mestiere di tipo approssimativo. I tempi e i costi di realizzazione di un’opera non possono più essere considerati come fattori aleatori e in mutamento continuo. Dobbiamo pretendere una progettazione veramente esecutiva e coordinata in tutti gli aspetti e il Bim può essere di grande aiuto a una pianificazione e a un monitoraggio approfonditi delle attività di cantiere. Insomma, i nuovi operatori del mercato delle costruzioni saranno sempre più grandi, strutturati e professionali».

di Pietro Mezzi

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