Punti di Vista | Antonio Ortenzi, Vicepresidente Esecutivo Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture Confassociazioni

Infrastrutture: Recovery Plan e commissari non basteranno

Antonio Ortenzi: «Se non troveremo il modo di porre le basi per una legislazione performante e moderna ci sono tutti gli ingredienti perché tutto si affossi nell’arco di pochi mesi o, ancor peggio, di sprecare risorse».

Sulle infrastrutture ci sono alcune riflessioni su problemi rispetto ai quali il Presidente Draghi si troverà, in questo momento storico così importante, a dover trovare la quadra.

Avere una visione sull’attuale situazione del Paese e immaginarlo nel futuro ci aiuta sicuramente ad andare oltre i numeri, seppur importanti, di tipo economico finanziari del Recovery Plan e verso i quali sembra che tutti stiano puntando o dicendo la loro, saltando a piè pari la questione del rinnovamento del modello legislativo e culturale.

Gentilissimo Presidente, la crescita annuale della produttività del comparto AEC negli ultimi 20 anni è stata solo un terzo delle medie economiche totali. L’avversione al rischio, la frammentazione e le difficoltà ad attrarre i talenti digitali rallentano l’innovazione.

La digitalizzazione è inferiore rispetto a quasi tutti gli altri settori e la redditività è bassa, con un margine EBIT intorno al 5%, nonostante vi siano rischi elevati e molte insolvenze. La soddisfazione del cliente pubblico o privato è ostacolata da ritardi in termini di tempi e costi che incidono sul budget e che innescano lunghe procedure di malcontento (o di riserve).

Clienti e proprietari sono sempre più sofisticati ed esigenti e l’industria delle costruzioni ha visto un impegno di capitali da parte di clienti sempre più pretenziosi. A partire dal 2014 al 2019, ad esempio, le società di private equity hanno raccolto oltre 388 miliardi di dollari per finanziare progetti infrastrutturali, tra cui $ 100 miliardi nel solo 2019, un aumento del 24 percento rispetto al 2018. Anche le richieste dei clienti si stanno evolvendo per quanto riguarda prestazioni, costo del ciclo intera di vita e sostenibilità.

Ciò richiede in maggior misura edifici intelligenti, efficienza energetica e operativa, e la flessibilità assieme all’adattabilità delle strutture diventeranno priorità sempre più centrali nel processo di costruzione. Inoltre, le aspettative dei clienti sono in aumento verso le interazioni digitali che devono essere semplici e dunque le strutture dovranno rispondere sempre di più a criteri di adattabilità.

Se da un lato il bonus 110% sta tendando di trainare il mercato, di contraltare, di questo passo, assisteremo in maniera crescente alla persistente scarsità di manodopera specializzata e alle modifiche delle equazioni di logistica che impatteranno sulla catena del valore e quindi delle forniture. Ad esempio, già oggi manca la materia prima per la fabbricazione dei ponteggi.

La carenza di manodopera qualificata è diventata un grave problema in diversi mercati mondiali e i pensionamenti non vengono sostituiti con nuovi talenti. Circa il 41% del l’attuale forza lavoro statunitense nel settore delle costruzioni dovrebbe ritirarsi entro il 2031 e in Italia non siamo messi meglio.

Per migliorare i propri margini e livelli di differenziazione, le aziende inizieranno a specializzarsi in nicchie e segmenti target (come abitazioni unifamiliari di lusso, edifici residenziali multipiano, ospedali, o impianti di trasformazione) in cui possono creare vantaggi competitivi. E si specializzeranno nell’uso diversi materiali, sottosettori o metodi di costruzione.

Sarà necessario anche il passaggio alla specializzazione delle aziende nello sviluppare e conservare conoscenze e capacità per mantenere i loro vantaggi competitivi. Ovviamente, le imprese dovranno valutare attentamente l’efficacia, l’efficienza e il posizionamento del marchio, oltre alla specializzazione, valutando i potenziali rischi o benefici di ciclicità di un portafoglio più diversificato.

Grazie a una crescente pressione sull’industria AEC dei media e dell’Europa, che va verso un Green New Deal, è aumentata la sensibilità alla riduzione delle emissioni di carbonio in favore della sostenibilità e la sicurezza in cantiere.

Ricordiamo che a gli inizi del secolo scorso, nella produzione di aeromobili commerciali, ad esempio, il panorama industriale era fortemente frammentato. Ogni aereo è stato costruito da zero in una configurazione di produzione su misura e basata su progetto.

L’industrializzazione ha innescato uno spostamento verso la produzione in catena di montaggio, che in seguito è divenuta altamente automatizzata. Come conseguenza la successiva standardizzazione dell’industria è entrata in una fase di consolidamento che ha messo in evidenza due attori principali: Airbus e Boeing.

La trasformazione ha comportato un significativo spostamento di valore per i clienti. Il completamento di questo viaggio di trasformazione è durato circa 30 anni, a fronte della produzione di velivoli commerciali che hanno avuto ostacoli al cambiamento simili a quelli che sta affrontando l’industria delle costruzioni.

Il nuovo paradigma del comparto delle costruzioni porterà a nuovi modelli di industrializzazione attraverso nuovi materiali e la digitalizzazione dei prodotti e dei processi.

La tecnologia digitale cambierà il modello d’interazione e i modelli BIM (Building Information Modeling) porteranno ad avere più decisioni nelle fasi iniziali del processo costruttivo, la distribuzione si sposterà verso piattaforme online e gestione logistica avanzata e piattaforme software end-to-end consentiranno alle aziende di controllare e integrare meglio il valore ottimizzando tutta la filiera. Il controllo o l’integrazione della catena del valore ridurrà i “colli di bottiglia” e i momenti “morti o di attesa” e renderanno l’innovazione più agile.

In questo momento storico pur avendo un occhio attento al futuro dobbiamo cristallizzare asset e capire a che punto siamo. Per dare spinta alle grandi infrastrutture si è deciso di “usare” i commissari.

Qualcuno si è lasciato influenzare da un ipotetico modello Genova, un grande progetto che ha avuto un grande commissario ove  si è fatto presto e bene ma che modello non dovrebbe essere. Dovrebbe essere la normalità.

Lo sforzo, certo è stato straordinario, ma in troppi, tralasciano il fatto che per eseguire quei lavori, a quella “velocità” a parità di qualità ci vogliono dei modelli organizzativi da applicare su ogni singolo progetto che hanno nome e cognome ovvero Project Management.

Proprio, uno dei primi decreti del commissario Bucci è stato quello che recitava in uno dei passaggi che cercava competenze appropriate: “ … Responsabile del controllo dello stato di avanzamento del progetto e supporto gestionale dall’avvio dell’iniziativa fino al collaudo definitivo delle opere realizzate (UNI ISO 21500:2013* – Guida alla gestione dei progetti – project management); Assistenza al Collaudatore;  due diligences tecniche, economiche, finanziarie e ambientali;  assistenza nelle procedure autorizzative;  assistenza nelle procedure di finanziamento…..

Sì proprio così, quel Project Management che si è tentato di far permeare nella cultura dei Rup con le linee guida dell’ANAC (la 1007 del 2017) che esplicitava nelle competenze dei Responsabili del Procedimento ci dovesse essere quella del Project Management e che è stata completamente disattesa, finendo poi in un cassetto del Mit all’interno di un ipotetico regolamento al Dlgs 55 del 2017 sui contratti pubblici.

E allora si fa affidamento, per le opere da realizzare con i soldi in cassa e con quelli che verranno dal Recovery Plan ai commissari straordinari. Coloro che altro non sono che Project/Program Manager. Dunque, è questione di cambio paradigma e di cultura prima di tutto.

Se continuiamo a stare dietro alle norme che come spirito hanno procedure, processi, provvedimenti e procedimenti che si accavallano tra loro oltre che moltiplicarsi (ad esempio, L. n. 241/90; L. 69/2009; L. 190/2012 e non da ultimo il Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, così come convertito dalla L. n. 120 dell’11 settembre 2020 che modifica il decreto sblocca cantieri), non otterremo mai quelle performace desiderate, e da più parti acclamate, di matrice agile che sono proprie di un paese che mira alla modernità, alla digitalizzazione e alla sostenibilità in ottica green.

In conclusione, il processo di costruzione di oggi basato sul progetto sembra destinato a spostarsi radicalmente verso un approccio basato sul prodotto. Ecco perché il ponte di Genova non è un modello ma è stato allo stesso momento un buon esempio di organizzazione e realizzazione che ha creato un ottimo prodotto (il ponte e le opere minori attorno) ma che è unico e non può essere ripetuto.

Ci saranno altri “prodotti” che avranno bisogno di altri modelli (e in questo caso si parla di sviluppo) che per essere realizzati dovranno perpetrare le “nuove” tecniche di gestione Agile.

Oggi, in tutti i settori, le organizzazioni leader continuano a investire pesantemente nella tecnologia, molte con particolare attenzione alla digitalizzazione e ai prodotti e servizi che si basano sui dati. Basti, ad esempio, guardare il nuovo prezzario dell’ANAS dedicato ai prezzi BIM per la modellazione di asset esistenti.

Purtroppo invece abbiamo in Italia (per quanto riguarda la P.a. e i piccoli comuni che riferiscono a sistemi centrali degli appalti) molti database riguardanti i lavori pubblici che sono inutilizzabili per dare vita a un ecosistema di sviluppo sostenibile e per creare di fatto una vera semplificazione e accelerazione di tutto il processo del costruito. Perché? Semplicemente per il fatto che non si “parlano” tra loro.

di Antonio Ortenzi,
Vicepresidente Esecutivo Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture Confassociazioni

Nota
*La norma UNI ISO 21500 sta per essere sostituita dalla nuova ISO 21502 in fase di recepimento dall’ente normativo italiano UNI.

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