WTC 2019 | Il punto di vista degli operatori

Infrastrutture, serve una visione diversa

Perché in Italia non si fanno infrastrutture? Imprenditori e professionisti, costruttori e progettisti, interpellati sul punto, nel corso del WTC 2019 che si è svolto a Napoli dal 3 al 9 maggio, hanno espresso la necessità di una nuova visione che possa dare maggiore centralità alle opere, intese come strumento fondamentale per consentire ai territori di esprimere tutte le potenzialità economiche di cui godono, e che non riescono a emergere.

Al World Tunnel Congress 2019 che si è tenuto a Napoli dal 3 al 9 maggio ( con 2.500 partecipanti di 60 Paesi e 200 espositori) non è mancato uno sguardo d’insieme al settore delle costruzioni in sotterraneo e delle grandi opere in generale, ovviamente con riferimenti anche al nostro Paese.

Perché in Italia non si fanno infrastrutture? Imprenditori e professionisti, costruttori e progettisti, interpellati sul punto, hanno espresso la necessità di una nuova visione che possa dare maggiore centralità alle opere, intese come strumento fondamentale per consentire ai territori di esprimere tutte le potenzialità economiche di cui godono, e che non riescono a emergere.

Pietro Salini, presidente del WTC 2019 e ad di Salini Impregilo, il maggiore gruppo di costruzioni italiano operante all’estero, lo ha detto a chiare lettere. «Le infrastrutture sono importanti, lo sono in tutto il mondo ma noi ci dobbiamo fare una domanda in più rispetto agli altri», ha affermato rispondendo a domande di Imprese Edili. È il caso di chiederci «che cosa abbiamo fatto di sbagliato, perché gli altri crescono e perché nel nostro Paese il segmento si è ridotto ai minimi termini e non si fanno le opere che servono».

Il segmento, è il dato citato da chi guida un colosso operante in più di 50 Paesi, dovrebbe dare lavoro a mezzo milione di persone. E il richiamo alla politica è esplicito. «Il tema è di carattere generale – ha continuato Salini -, sta alla politica rispondere, mentre noi costruttori dobbiamo porre il tema. Noi siamo un’azienda di successo perché operiamo esclusivamente all’estero. I politici dovrebbero domandarsi che cosa hanno fatto durante la giornata e cosa è cambiato, come fanno i costruttori. Se lo facessimo tutti questo Paese lo ribalteremmo».

È un invito, quello a cambiare rotta, che è emerso anche in conferenza stampa. Rispondendo alle domande dei giornalisti Renato Casale, presidente del comitato organizzatore del WTC, ha ricordato una «patologia» del complesso sistema autorizzativo italiano, aggravatasi nel corso dei decenni.

Ed è stato lapidario chi nel processo politico e legislativo è stato direttamente e pienamente coinvolto, l’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, membro del governo dal 2001 al 2006. «Il motivo per cui 600 opere non si fanno è solo politico. Nel 2001 con la legge obiettivo abbiamo fatto lavori per 12 miliardi l’anno. Il governo attuale con lo Sblocca Cantieri mette a disposizione non meno di un miliardo. Questa è la verità: non è un problema economico ma politico», ha dichiarato ai giornalisti.

Insomma, troppa burocrazia e assenza di una visione di lungo periodo. Questi gli elementi da analizzare. «Le infrastrutture non si fanno, ma non per mancanza di risorse», ha ribadito a Imprese Edili anche Gabriele Scicolone, presidente dell’Oice e ad di Artelia, un gruppo leader nel settore dell’ingegneria integrata, nel project & construction management e nella consulenza. Sì, c’è una «farraginosità delle autorizzazioni» ma, se guardiamo alle opere che servirebbero al Paese, dal punto di vista politico «c’è un cambio di strategia che non fa bene». Il riferimento è soprattutto agli ultimi interventi legislativi della maggioranza: alle modifiche del codice degli Appalti, con il ritorno all’incentivo del 2% per i progettisti interni alla Pubblica Amministrazione, e al decreto Sblocca Cantieri, che – ha detto il presidente delle Organizzazioni di ingegneria e consulenza – «non sblocca i cantieri, non funziona».

Sul primo punto Scicolone ricorda che «oggi occorre tenersi aggiornati con le nuove macchine, le nuove tecnologie, i nuovi software, ma la macchina pubblica non ha questa dinamicità e speditezza». In altre parole «le funzioni del funzionario pubblico in un Paese moderno sono e dovrebbero essere sempre più di programmazione e controllo» e «l’operatore economico all’avanguardia dovrebbe fare il proprio mestiere sul mercato», «bisognerebbe riposizionare l’apparato pubblico nel suo ruolo importante e fondamentale di grande pianificatore», che significa anche «rivedere alcune scelte sulle grandi opere».

Nessuno tira in ballo la Tav, ma è chiaro che pensare le infrastrutture in una mera logica di costi-benefici a breve termine, come se si trattasse di un centro commerciale, è riduttivo.

Scicolone ha ricordato che la A1 Napoli-Roma-Milano, pensata negli anni ’60, è ancora l’arteria principale del Paese: «Un’opera non diventa desueta nell’arco di un decennio o di un ventennio, ma è destinata a durare». E ciò andrebbe considerato in misura maggiore in un Paese che ha raggiunto la stabilità demografica e va verso la decrescita economica.

L’Italia, spiegano i big del settore delle grandi costruzioni edili, certamente non può essere definito un Paese non infrastrutturato, il boom economico è stato trainato anche dalla realizzazione di grandi infrastrutture, ma è chiaro che dopo gli anni ’80 c’è stata una frenata e negli ultimi decenni non si riescono a fare quelle che servirebbero in alcuni territori depressi.

Non è un caso se le zone più solide dal punto produttivo sono quelle meglio infrastrutturate, come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. È il modello da seguire, ribadisce Scicolone. La provincia e il centro meridionale potrebbero avere delle opportunità invece che freni. La Calabria, ad esempio, «ha un prodotto interno lordo più basso rispetto anche alle aree più depresse dell’Europa continentale».

La svolta arriverebbe dal superamento di un dibattito che potrebbe essere riassunto in un interrogativo: «Viene prima l’infrastruttura che consente di creare aziende che possano poi portare i propri prodotti in tutto il mondo o bisogna aspettare che il territorio generi Pil per poi realizzare le infrastrutture?». Nel mondo delle imprese e delle professioni non hanno dubbi.

Servizio e video interviste a cura di Donato De Sena

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