Il progressivo intensificarsi dei processi di trasformazione dell’ambiente, causato, spesso da una frenetica e ingiustificata ostentazione tecnologica che respinge l’idea di architettura come disciplina, ha prodotto un contesto sfuggente e contaminato, dove è sempre più difficile orientarsi quando si è chiamati a progettare un nuovo cambiamento.
Sono i paesaggi del mondo, per loro natura stratificati, ognuno con la propria identità, a invitarci a una lettura trasversale delle vicende che hanno prodotto quell’insieme di architetture sovrapposte, di linguaggi e di tecniche costruttive differenti, di materiali nuovi, alternati a quelli di «reimpiego», cui affidare una necessaria continuità materiale dell’opera dell’uomo nel tempo. Occorre, allora, una sensibilità che consenta di tracciare linee di ricerca libere da virtuosismi linguistici dettati da espressioni autoreferenziali e dal richiamo di un’architettura globalizzante, evidentemente inadeguata, ammettendo anche poetiche personali in grado di offrirsi come possibili riferimenti di fronte alle contraddizioni e alle incertezze che oggi pervadono il dibattito disciplinare.
È proprio l’inconsueta sensibilità nei confronti del contesto e dei materiali da costruzione a caratterizzare il lavoro dell’architetto paraguayano Solano Benítez che, grazie alla sorprendente qualità mostrata dalle opere realizzate, ha ricevuto negli ultimi anni importanti riconoscimenti, fra i quali il BSI Swiss Architectural Award e il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2016. Impegnato nell’attività professionale e in quella accademica, è fondatore del «Gabinete de Arquitectura», attualmente condiviso con gli architetti associati Gloria Cabral e Solanito Benítez.
Nella sua personale ricerca Benítez riesce, quindi, a coniugare capacità creativa e coscienza etica, prima ancora che estetica, impegnandosi a costruire un’architettura per gli uomini, elaborando soluzioni originali, suggerite dal luogo e dal tema affrontato.
L’impiego di materiali poco costosi e facilmente reperibili «gli consentono di raggiungere forme espressive di grande impatto e dall’intensa carica poetica; la povertà dei mezzi utilizzati risulta inversamente proporzionale alle emozioni che l’architettura riesce a trasmettere. I valori ambientali propri di quel contesto latino-americano si rafforzano nella loro identità attraverso architetture con inediti linguaggi, nuove tipologie e inaspettate qualità abitative».(1)
Le architetture prodotte, a partire dall’opera prima, il suo Studio nella periferia di Asunción, sono la testimonianza concreta di una ricerca intensa, alimentata dalla sperimentazione empirica, senza la quale Benítez non potrebbe proseguire il suo esemplare lavoro, e dall’uso del mattone cui ricorre perché costa poco ed è prodotto in grande quan-tità dal Paraguay. Ispirata dalla lezione del maestro Eladio Dieste, grazie al quale scopre un modo nuovo di utilizzare il mattone, l’opera di Benítez risente l’influenza di Le Corbusier, che egli stesso riconosce raccontando come per la sua prima casa abbia osservato attentamente le foto della Villa Savoye. Ogni figura della composizione si offre come fertile campo di ricerca: le membrature in muratura portante si piegano, s’incurvano, si svuotano.
Il mattone, talvolta assemblato a piè d’opera con del cemento a basso impatto tecnologico, dà luogo a componenti strutturali, cui appoggiare l’intero palinsesto compositivo. Volumetrie stereometriche composte da solidi geometrici elementari sovrapposti o compenetrati a creare degli ambienti accoglienti, spesso disposti a formare sequenze spaziali, si alternano a «figure» più organiche dove la sfida con la materia si compie al livello più alto, come nel caso delle volte «traforate» o delle reticolari prefabbricate. La narrazione proposta da Benítez è complessa e chiara allo stesso momento.
Nelle sue architetture è contenuta una dimensione artigiana che le rende incredibilmente suggestive e contribuisce a rinnovare un dialogo umano tra luogo, materia e costruzione che le sospende e le colloca fuori dal tempo storico. Gli spazi progettati, più che luoghi, sono tuttavia il riflesso di una maniera di pensare e lavorare che incorpora la prova e l’errore come strategia progettuale. La «brutalità» di certi elementi architettonici, dovuta all’impiego di mano d’opera non specializzata e ai mezzi economici limitati, si identifica con uno degli aspetti peculiari del lavoro di Benítez: le superfici scabre, quasi incomplete, i mattoni sfalsati, la malta in eccesso dei giunti non puliti, trattengono la luce e conferiscono un valore plastico ed espressivo a ogni elemento che contribuisce alla definizione del manufatto architettonico.
Forma e linguaggio non sono preordinate da precise regole compositive o volontà estetiche. Benítez si preoccupa più della materia che dell’immagine; sono i materiali impiegati a suggerire, di volta in volta, il disegno delle soluzioni da adottare: «bisogna pensare al mattone non come a un materiale, ma una materia, che offre continue nuove opportunità di sperimentare cose mai tentate prima, anche quando sembra impossibile: perché è solo questione di prospettiva». Solano Benítez, di fronte alla diffusa incapacità dell’architettura contemporanea di annullare la distanza tra tecnica e composizione architettonica, s’interroga su quale debba essere oggi la responsabilità dell’architetto, sottolineando la necessità, anzitutto, di sviluppare una capacità critica che sposti, giorno dopo giorno, l’orizzonte delle nostre conoscenze. « Il nostro compito – ha dichiarato in una recente conferenza stampa – è quello di essere liberi da ogni paura per avere la possibilità di ridefinire tutto, senza alcun limite. Ed è la capacità di pensare e capire, l’intelligenza, che permette di vincere la paura. Un concetto che appartiene a tutti con il quale dobbiamo migliorare il mondo e sviluppare una nuova condizione».(2) Questa è «la grande lezione d’architettura che riafferma il primato dell’innovazione attraverso un approccio semplice e poetico anche di fronte alla complessità dei problemi indotti dalle nuove sfide».(3) ©Cil 171
di Riccardo Butini, architetto
Riferimenti Bibliografici
[1] Discorso di Mario Botta in qualità di presidente della giuria, composta da Emilio Ambasz, Valentin Bearti, Zhi Wenjun e Davide Croff, in occasione del conferimento del Premio BSI Swiss Architectural Award (2008).
[2] Estratto dalla conferenza tenuta da Solano Benítez al Cersaie (Bologna, 28 settembre 2016).
[3] Mario Botta, ibidem.